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Home RubricaSport

L’eroe solitario del campo da calcio, 90 minuti con Carlo Duranti

Redazione by Redazione
6 Marzo 2017
in RubricaSport, Archivio notizie
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di Gabriele Polleggioni

La storia del calcio ci insegna che ci sono 1000 modi per difendere i pali della propria porta, 1000 modi per respingere un fendente avversario, 1000 modi per rendere unica la ribelle solitudine dell’ultimo baluardo. Con estremo piacere vi racconto la “pazza” storia di un numero 1: Carlo Duranti.

Ciao Carlo, quanto è stato bello infilare i guanti da portiere per la prima volta?
A dirti la verità, mi ritrovai in volo, deciso ad oppormi ad un tiro angolato di un mio coetaneo in una delle tante partitine con scenario piazza San Giovenale a Orvieto, fu una splendida sensazione che mi proiettò, per un istante, in un’altra dimensione. Ho scoperto così il mio istinto, senza nemmeno rendermene conto, capii soltanto che non né avrei più potuto fare a meno.

Perché questo ruolo è così unico?
Tanti aspetti rendono questo ruolo davvero unico,a partire dal modo di vestire che si distingue dai compagni di squadra,fino ad arrivare alla tecnica di gioco completamente diversa dagli altri ruoli.
In mezzo c’è una prestazione sportiva basata esclusivamente su se stessi, sulle proprie capacità fisiche, fisiche e soprattutto mentali.
La figura del portiere è inconfondibile come lo è la sua spettacolarità d’azione, ci troviamo di fronte ad un uomo solo, disposto a tutto per non farsi trafiggere da un “tracciante” avversario, solo chi come me ha provato certe sensazioni può capire cosa significa.
Trovo tutto questo molto divertente e molto “poetico”.

12 anni in maglia biancorossa, dal 1979 al 1981, poi F.Mosconi e Castiglione in teverina, cosa significava essere portiere negli anni ’80?
Dell’Orvietana ricordo con affetto il compianto Bruno Giovannini,che volle fortemente il mio esordio in prima squadra quando ancora non ero maggiorenne, con lui Antonio Tito,fondamentale per la mia crescita introdusse per primo esercitazioni specifiche per i portieri,sapeva documentarsi pur avendo vissuto la propria carriera calcistica in un ruolo del tutto diverso.
Farei mille altri nomi se potessi, tra cui Mister Gigi Simonetti e l’indimenticabile avvocato Giuseppe Mariani,con lui ho vissuto fianco a fianco la mia ultima stagione da calciatore a Castiglione in teverina,mancherà molto a tutto il calcio orvietano.
Riguardo al “portiere” anni ’80, era tutto più semplice, il compito primario era quello di impedire la segnatura, la parata era la funzione principale e la partecipazione era piuttosto limitata, oggi viene richiesta l’impostazione del gioco, impensabile ai miei tempi.

A chi ti sei ispirato e perché?
Ho ammirato tantissimo la sobrietà,lo stile,l’essenzialità degli interventi di Dino Zoff,un signore dentro e fuori dal campo,così come l’esplosivita, la bellezza del gesto tecnico,il singolare modo di stare in porta di Ricky Albertosi e del “giaguaro”Castellini, due veri numeri 1,”predatori pronti a ghermire la loro preda…

Quale gesto tecnico ti dava maggior soddisfazione?
Con la parata in tuffo provavo un senso di goduria interiore davvero unico,l’uscita alta dava un contributo importante alla squadra,con l’area di rigore piena zeppa di maglie avversarie riconquistare il possesso palla diventava fondamentale.
Credo sia proprio questo l’intervento più difficile da mettere in atto.

Terminata la carriera calcistica a 31 anni,diventi “preparatore dei portieri”,non poteva essere altrimenti…come è modificato negli anni questo ruolo?
Agli inizi l’allenamento dell’estremo difensore era molto semplicistico,basato per lo più su tiri in porta o cross dalla linea laterale, oggi tutte le qualità del ragazzo vengono preparate e, di conseguenza,migliorate.
L’aspetto psicologico va curato nei minimi dettagli, occorre grande capacità di concentrazione e reazione ai momenti difficili(conseguenti ad un errore),oltre ad attitudini fisiche e tecniche anch’esse migliorabili.
Mi piace definire questo ruolo “UNO SPORT NELLO SPORT” e l’evoluzione del calcio non fa che confermare questa mia tesi.

Quali caratteristiche deve avere un portiere per potersi definire tale?
Per infilare i guanti da portiere ci vuole una buona dose di coraggio,utile in un certo tipo di intervento(uscite basse sui piedi dell’attaccante in corsa), si distingue chi compie il gesto tecnico con estrema naturalezza,chi reagisce ad un intervento maldestro senza farsi minimamente scalfire, soprattutto bisogna sentirsi portieri nell’anima, nel proprio intimo, questo è ciò che serve di più.
L’amore per questo “sport nello sport” mi ha portato a scrivere,nel 2016,”IL MANUALE DEL PORTIERE”(edito da Hoepli),come coautore assieme a due allenatori professionisti come Alessandro Carta e Gino De Luca, una soddisfazione e un’emozione veramente difficili da descrivere.

Dopo una vita dedicata a questa disciplina,quale consiglio ti senti di dare un un giovane numero 1?
Il consiglio è quello di pensare a divertirsi,di vivere la partita con assoluta serenità godendosi ogni attimo della propria prestazione,il divertimento deve essere l’unico stimolo per tutti i componenti di ogni singola squadra.

Alla luce di tutto questo,portieri si nasce o si diventa?
Entrambe le definizioni possono essere giuste,ci sono casi in cui un ragazzo estremamente dotato, se non adeguatamente seguito e formato, può arrivare a perdersi senza mostrare e senza raccogliere i frutti del proprio talento, di contro c’è chi riesce, con carattere e una forte personalità, a sopperire a evidenti lacune tecniche riuscendo ad emergere e a distinguersi rispetto a “colleghi” con un bagaglio tecnico di qualità superiore.
Non può esserci una verità così netta, si nasce portieri ma si può anche diventarci!

Concludiamo con l’augurio di Carlo al calcio orvietano e non solo…
L’augurio è quello di vivere lo sport con maggiore entusiasmo, Orvieto città vive sulla gloria sportiva di un passato ricco di soddisfazioni,l a speranza è quella di superare gradualmente questa grave crisi economica per tornare ad investire sulle strutture sportive, essenziali per ripartire verso sempre più ambiziosi traguardi.

Ringrazio infinitamente Carlo Duranti che, sul palco di un campo di calcio, ha interpretato la difficile parte dell’EROE SOLITARIO, con eleganza e un pizzico di simpatica follia.

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