Un’altro anno dedicato a Signorelli, dopo quello celebrato nel 2012. Oltre 100 opere in mostra a Perugia, Orvieto e Città di Castello, un evento promosso dalla Regione Umbria e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
I motori si sono già accesi con l’incontro tenuto dal cardinale Gianfranco Ravasi sul tema “Le opere d’arte raccontano”. Sì raccontano, anche se quella del raccontare sembra diventata ormai una moda. In questo caso non lo è perché la bellezza dell’arte non va solo declamata, ma raccontata. La gente è sempre più attratta dalle grandi opere d’arte e questo rappresenta uno dei fenomeni sociali più significativi del nostro tempo: “In tale contesto sociale, culturale e psicologico – afferma Jean-Paul Hernandez, fondatore di Pietre Vive – si cercano luoghi che parlano di un senso forte, di una identità sicura, ed è allora che i capolavori d’arte acquistano tutta la loro forza e la loro efficacia”.
Il problema della modernità è proprio quello di perdere il contatto con i propri luoghi che spesso corrono il rischio di essere banalizzati, indeboliti o persino snaturati. Ogni bene culturale va ogni volta riscoperto per cercare di renderlo ancora vivo, dinamico e partecipativo. Il Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che per l’occasione ha dato il suo patrocinio all’evento che si svolgerà nel 2023, lo ricorda con forza sottolineando come l’arte sia stata da sempre un veicolo per arrivare alla gente. “Per secoli la Bibbia -evidenzia Ravasi – è stata il grande codice iconografico dell’arte occidentale con le sue narrazioni, coi suoi personaggi, coi suoi simboli e i suoi temi. Si è creata, così, una sorta di particolare esegesi del testo sacro secondo molteplici modelli che illuminavano, attualizzavano, trasfiguravano e talora anche deformavano il messaggio biblico”.
Ma non basta esporre delle belle opere. C’è bisogno di capire cosa in realtà queste opere vogliono comunicare. È quindi giunto il momento che anche l’apocalisse di Signorelli sveli il suo messaggio, dica cosa l’artista ha voluto esprimere con le sue grandiose scene. L’apocalisse di Orvieto rappresenta una profezia senza tempo, una visione del futuro, qualcosa che dovrà avverarsi o che forse si sta già avverando.
L’Anticristo, i suoi seguaci e il mondo confuso, sedotto da ammaglianti parole, il caos che genera corruzione e violenza, ma anche la virtù di pochi uomini che non cadono nell’inganno di quei giorni dove il potere governerà la mente e il cuore delle nazioni; e poi i segni che vengono dal cielo e dalla terra e che preannunciano distruzione e morte, fino alla rinascita di una nuova umanità fondata sull’aiuto vicendevole, sull’amicizia e sulla concordia, sulla conoscenza e sulla pace, sull’amore perfetto che tutto dà senza chiedere nulla in cambio.
Insomma la visione di una città utopica, la città del futuro, la città nuova che nasce dalle rovine, dalla morte di quella precedente. Questo e molto altro è l’apocalisse del Signorelli, un affresco del destino del mondo ancora incredibilmente e inaspettatamente attuale! Del resto non era lo stesso Paolo VI a dire, nel maggio del 1964, che la grande sfida degli artisti è proprio quella di carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità? Ebbene “questo – osserva Ravasi – è un insegnamento attuale di fondamentale importanza per comprendere l’opera d’arte approcciandosi ad essa con uno spirito giusto, ma anche uno stimolo per la progettazione delle attività di valorizzazione dei nostri beni culturali che non sono solo un luogo dedito alla tutela e alla conservazione, ma devono essere terreno fertile di incontro e di comunicazione tra generazioni“.