di Dante Freddi
Qualche settimana fa si è costituito un gruppo di lavoro sul Turismo a cui partecipano Comune, operatori turistici, categorie economiche. Il fine è conoscere le problematiche del turismo e individuare le azioni del futuro prossimo.
“Un gruppo di lavoro – ha precisato il sindaco– che vogliamo il più armonico e collaborativo possibile, allo scopo di migliorare tutto quello che è migliorabile dal punto di vista della promozione ed offerta turistica della nostra città, anche in termini di servizi. Perché questo comparto così promettente colga tutte le opportunità di sviluppo nel presente e nel futuro, dobbiamo infatti lavorare insieme e coesi senza inutili recriminazioni e dietrologie”.
Un evidente richiamo all’unità d’intenti, che è il minimo per poter lavorare e ottenere risultati, ma che non è scontato e facile da raggiungere.
I dati favorevoli sul turismo nell’Orvietano a dicembre, con 150mila arrivi, e il trend favorevole registrato tutto l’anno offrono occasione di ottimismo, nonostante su FB ci sia qualcuno che pubblica ancora foto del centro storico deserto, magari di lunedì alle 22:00, come se non sapesse che in una città dove il genere merceologico caratterizzante è la mutanda, quella è l’ora per togliersela e non per acquistarla.
Questo spunto mi serve per gettare nello stagnetto nostrano ancora una volta un sassolino: l’invito ai commercianti della città di affidare a una società di consulenza Martketing l’incarico di studiare la struttura della nostra offerta commerciale e turistica, perché tra una fotografia scientifica e documentata e la visione sfocata offerta dai nostri occhi, opacizzati da affetti, preconcetti, convinzioni, paure, potrebbero scaturire differenze consistenti.
Si parla del centro storico come mercato naturale, ma cosa propone, a quale target, con quale comunicazione? al di là di una visione generale e imprecisa, che sappiamo?
Sapere è propedeutico, perché per decidere come far funzionare meglio gli affari, dato che i commercianti lamentano sempre tasche vuote, bisogna conoscere perfettamente che cosa si vende in questo presunto centro commerciale naturale di cui si parla.
Sindacati di categoria e aziende dovrebbero prendere atto che un problema in bottega c’è se, nonostante l’aumento continuo di migliaia di persone che salgono a Orvieto, le casse languono.
Orvieto oggi com’è? su questo dobbiamo ragionare, iniziando da una domanda: perché i 40mila abitanti del nostro bacino commerciale dovrebbero venire in città?
I 150mila ospiti che sono giunti a Orvieto a dicembre cosa hanno trovato, come sono stati accolti, quali negozi e che merce hanno contribuito a posizionare l’offerta della città ai loro occhi?
Cosa avranno pensato? bella città, bei negozi, roba raffinata o grossolana, gente accogliente, gastronomia eccellente?
Se poi a qualcuno fosse venuto in mente, secondo la logica liberista della domanda e dell’offerta, di aumentare il costo del caffè o dell’aperitivo o del liquore o del panino, evidentemente non si è reso conto che il danno prodotto è proporzionale all’afflusso di clienti, a cui rimarrà impressa una città bella ma da cancellare.
Non credo che questa ignominia sia avvenuta, come accade in alcune città turistiche, ma comunque è certo che una città che punta sul turismo e sul commercio e sull’agricoltura, che produce vino e olio comunque da vendere, ha bisogno impellente di crearsi una “cultura” corrispondete all’ambiente e alle merci che offre.
Sarebbe quindi utile che questo gruppo di lavoro si aprisse a quei cittadini che vogliono collaborare fattivamente con i turisti per far godere meglio Orvieto e l’Orvietano. Dei volontri dell’accoglienza.
C’è bisogno di persone che si preparino, senza pretese professorali, a raccontare, indicare, seguire, sostenere, consigliare gratuitamente gli ospiti: una forma di volontariato che c’è in molte città e che produce risultati straordinari sulla qualità dell’accoglienza. C’è bisogno di costruire un nuovo volontariato o soltanto di indirizzare e valorizzare una risorsa che è già presente. E poi inserire i volontari nel gruppo di lavoro, perché sarebbero oggettivi e attivi portatori di una mole utilissima di notizie.
Semplice da organizzare e poco costoso da istruire, perché questo volontariato non sostituisce le guide, sarebbe soltanto un’anima viva della città, che indirizza e accompagna sottobraccio con discrezione.
In età di informazione digitale, quando i turisti girano con il tablet, sarebbe un bellissimo passo indietro.