di Dante Freddi
Il calice del giubileo è stato smontato ed è tornato a Erba, da dove proviene.
Scrivono i pentastellati orvietani che togliere il calice installato a piazza Cahen nel 2013, in occasione del giubileo eucaristico, è un peccato: ”Perché ora? Perché nel mezzo della stagione turistica, prima delle manifestazioni tradizionali e religiose legate proprio al Corpus Domini? Perché non ci viene detto cosa verrà al suo posto e come faremo a sostituire un’icona tanto potente?”.
Un lettore rileva l’aspetto religioso dell’opera: “Orvieto Città del Corpus Domini! Dove lo si può leggere? Su quale cartello stradale? In quale didascalia promozionale?…Il Calice, quale monumento al Corpus et Sanguis Domini, ne è appunto il segno simbolo a memoria e monito. Segno e simbolo della Città, Sede Apostolica, in cui nel 1264 la solennità della Chiesa cristiana universale fu istituita da papa Urbano IV.
Segno e simbolo di un Luogo Sacro ancestrale, dall’Età del Ferro: quando la locale Civiltà Villanoviana volle inumare i propri defunti nel ventre della Rupe; dal tempo degli Etruschi del Santuario Celeste al Fanum Voltumnae di Campo della Fiera”.
C’è anche chi era contrario all’installazione già nel tempo del giubileo e ancora di più lo è oggi, soprattutto per motivazioni estetiche.
Il dato di fatto è che il calice, detto a Erba, città natale dell’autore Angelo Miotto, il “calicione”, non è del Comune di Orvieto, non è di Orvieto e nessuno si sogna di acquistarlo né qualcuno di venderlo.
Quindi parole al vento, come spesso accade quando la politica vuole stare sul “pezzo” , che spesso si rivela una “bufala”.
Il “calicione” ha sicuramente svolto il suo ruolo durante l’anno giubilare e ha accolto dignitosamente i pellegrini, ma non è stato costruito per quella piazza, è un corpo estraneo e si vede. Addio.
I pentastellati, che si erano affezionati all’opera e sentono il bisogno di occupare quel vuoto con qualcosa d’altro, ci hanno imbastito sopra un vibrante intervento di protesta e si sono chiesti anche “perché ora”, a inizio stagione turistica. Azzarderei un’ipotesi, non confermata ma plausibile: perché prima c’era la volontà di restituire un oggetto di altri che ce lo avevano prestato ma non c’era un euro per smontarlo, riconsegnarlo ai legittimi proprietari e liberare la piazza, dove insiste ancora quel monumentino del Pozzo di san Patrizio, la fortezza Albornoz, il tempio etrusco.
Rimane un fatto. Orvieto è la città del Corpus Domini e su questa realtà straordinaria non si è mai investito, né ieri né oggi, né per comunicare questo aspetto saliente della città ai pellegrini, ai turisti, agli orvietani, né in educazione. E’ più usuale che Orvieto sia identificata come città del Duomo, bellissima cattedrale, sic et sempliciter, o di Umbria Jazz o del vino piuttosto che la città dove è conservato il sacro lino con il sangue di Cristo.
Mi sembra evidente che c’è davvero da riempire un vuoto, “calicione” sì o no.