di Pier Luigi Leoni
Il sinodo dei vescovi è chiamato a pronunciarsi su argomenti fondamentali che dividono i fedeli e la gerarchia. Un argomento è quello del trattamento da riservare ai cattolici divorziati e risposati che chiedono di ricevere l’Eucarestia; cioè di partecipare compiutamente al rito istituito dal Cristo poco prima di lasciare questo mondo: “transiturus de hoc mundo”, come ricorda la celebre bolla di Papa Urbano IV. Questo tema mi riporta a un dopocena di quarant’anni fa nella canonica di Sant’Angelo. Erano presenti, oltre al sottoscritto, il parroco don Marcello Pettinelli, Paolo Borri e un affascinante eremita, dalla lunga barba grigia, ospite di don Marcello. Non mi ricordo di altri presenti, quindi sono probabilmente l’ultimo testimone di quella lunga conversazione. Era il tempo del referendum sul divorzio e quindi il discorso cadde su quel tema. L’eremita chiese e ottenne da don Marcello il testo greco del Vangelo di San Matteo. Lesse il versetto 19,9 che recita: “Chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di “pornéia”, e ne sposa un’altra, commette adulterio”. La chiave di lettura del termine “pornéia”, ci ricordò l’eremita, aveva diviso la Chiesa cattolica dalle Chiese ortodosse (e successivamente da quelle protestanti). La chiesa cattolica aveva tradotto la parola greca col termine “prostituzione” e quelle ortodosse col termine “adulterio”. Vale a dire che, per la chiesa cattolica, il Cristo aveva dichiarato indissolubile il matrimonio purché fosse vero matrimonio e non relazione sessuale senza intenzione di vincolo; invece, per le chiese ortodosse, la rottura del vincolo di fedeltà rompeva il matrimonio. Ma l’eremita ci invitò a considerare una terza interpretazione, secondo lui più conforme alla coerenza della dottrina del Cristo, radicale nei suoi principi, ma consapevole della psicologia umana e della sua fragilità, e confidente nella infinita misericordia del Padre. Vale a dire che il vincolo tra l’uomo e la donna nasce quando l’amore reciproco genera un concorde desiderio di vivere insieme per sempre e si manifesta in una reciproca promessa. In questo senso il vincolo è indissolubile, perché nasce come tale nel cuore e sulla bocca degli innamorati, indipendentemente dal modo con cui la volontà viene manifestata. I fidanzati che si amano e si sono promessi di vivere insieme per sempre, si sono vincolati già prima della ufficializzazione del vincolo col matrimonio. Ma quel vincolo si spezza quando uno dei due muore (e questo è pacifico anche per la rigorosa dottrina cattolica), ma anche quando per colpa di uno o di entrambi (o senza alcuna colpa,come nel caso dell’impazzimento) la fragilità umana prevale. Quindi, nel caso dei divorziati risposati, il vecchio vincolo non c’è più, non perché l’ha sciolto il giudice, ma perché non ha retto ai colpi della fragilità umana; mentre si è creato un altro vincolo analogamente fondato su una promessa d’amore. Non voglio certo suggerire ai vescovi come comportarsi, ma un pensierino sulla tesi del vecchio eremita lo farei.