di Paolo Scattoni*
Orvieto è stata una delle prime città italiane ad avere il suo giornale online. Oggi se ne contano ben cinque. Queste iniziative rappresentano una grande ricchezza per diversi motivi. In primo luogo offrono informazione locale completa e dettagliata. Inoltre consentono, meglio di ogni altro media locale, un confronto fra diverse opinioni. C’è però un terzo grande vantaggio: un accesso semplice ai loro archivi. Troppo spesso la memoria collettiva di una città diventa labile e incerta. Gli archivi ci permettono, quando necessario, di riportarla alla realtà di ciò che è avvenuto.
Propongo allora un piccolo esercizio di memoria del percorso parallelo degli ultimi tempi di due “riferimenti” che si sono incontrati nell’ultimo decennio e a forza separati nell’ultimo anno: l’ex ospedale Santa Maria della Stella e il Centro Studi Città di Orvieto.
Qualche anno fa è iniziato un dibattito sull’opportunità che il Centro Studi occupasse (non da solo per la verità) un complesso così prestigioso come quello dell’ex ospedale. In pratica si voleva far passare l’idea che il Centro Studi fosse un inutile carrozzone, mentre l’antico edificio poteva essere una grande risorsa per l’economia della città entrata in crisi con la dismissione dell’ex caserma Piave. Si è favoleggiato di un hotel a tante stelle con annesso centro benessere e altre qualificate amenità che avrebbero dato lavoro e ricchezza.
Fra qualche giorno sarà passato un anno da quando il Centro Studi ha “traslocato” a Palazzo Simoncelli. Appena qualche mese più tardi emerse l’idea di liquidarlo. Fu soltanto grazie all’iniziativa del consigliere di maggioranza Leoni, che si decise, nell’adunanza consiliare del 26 novembre, di far precedere l’eventuale chiusura dal lavoro di una commissione tecnica con il compito di fornire raccomandazioni al Consiglio. A quella commissione veniva dato un termine quasi impossibile: 15 giorni. Ne ho fatto parte e insieme al professor Riccetti presentammo una relazione di minoranza. Nelle nostre argomentazioni c’era anche una richiesta di proroga almeno sino alla vigilia della successiva adunanza di consiglio. La proroga non fu concessa perché si disse che la consegna c’era stata e quella bastava.
Sembrava che non si potesse attendere. Sta di fatto, però, che i lavori della commissione tecnica non sono mai arrivati alla discussione del Consiglio. Veniva così ad aumentare l’incertezza intorno al Centro Studi, un’incertezza che nei mesi precedenti aveva allontanato importanti iniziative (leggi Scuola Librai Italiani) e aveva reso assai arduo attrarne di nuove. Nel frattempo però, fra stipendi non riscossi e non piacevole incertezza sul futuro, il piccolo gruppo (direttore, tecnico informatico e due impiegate con compiti di tutorato) che gestisce il Centro Studi ha permesso che le iniziative più importanti potessero procedere. Se oggi nel centro storico risiedono 90 studenti e una ventina fra docenti e loro familiari della University of Arizona, lo si deve a loro e al ruolo giocato dal professor Claudio Bizzarri. Una qualificata attività che porta non poche risorse a Orvieto.
Confrontiamo allora questa realtà con quanto successo all’ex ospedale. Niente. Nessun albergo a tante stelle e nessuna nuova risorsa. Anzi, mi correggo, qualcosa è successo. Ce lo raccontano quelli che l’hanno visitato di recente. La struttura è in larga parte in rovina. Ci voleva poco ad immaginarlo. Quando veniva presidiata, il degrado se non fermato veniva rallentato. Vi si sarebbe potuto intervenire a costi rilevanti, ma non impossibili. Ora chi si preoccupa di mettere riparo al disastro? Si tratta di un edificio vincolato di proprietà della Regione e amministrato dalla AUSL Umbria 2. Il Comune non ha da dire niente?
Quest’ultimo passaggio non lo trovate sugli archivi dei giornali orvietani online. Forse è venuto il momento che lo registrino.
* l’autore è docente di urbanistica alla “Sapienza” Università di Roma