<<Credevo che ogni momento che passava era l’ultimo perché non vedevo nessuno, nessuno mi veniva ad aiutare, per due ore e mezzo sono rimasta aggrappata alla rete del De Martino.>> sono le parole accorate di Patrizia Ancaiani, operatrice socio sanitaria al Santa Maria della Stella di Orvieto che il 12 novembre è stata travolta dalla piena del Paglia mentre a bordo della sua auto era in attesa di passare sul ponte dell’Adunata per recarsi al lavoro. Ѐ trascorso un mese ma il ricordo di quella giornata è un incubo continuo, in particolare la notte.
Ma come è potuto succedere, perché Patrizia è passata visto che il ponte era bloccato?
Patrizia non è passata, non ci ha nemmeno provato. Ha solo spiegato che lavorava all’ospedale e quando le hanno detto di aspettare lei si è fatta da parte.
<<Non c’erano transenne così mi sono accostata con l’auto ancora in moto. Ed è stata la mia rovina perché è arrivata la piena che ha trascinato via la macchina che si è spenta ed ha cominciato a girare come una trottola. L’acqua era già arrivata sui sedili… ho visto una rete dalla parte di guida. Subito ho preso la borsetta con il cellulare, per fortuna la portiera mi si è aperta, sono saltata fuori e mi sono aggrappata alla rete. Quando due secondi dopo mi sono girata la macchina non c’era più. Dalle 6,45 sono stata due ore e mezza aggrappata alla rete del De Martino con l’acqua che cresceva e mi sbatteva addosso ogni cosa. Con una mano sola perché con l’altra ho cominciato subito a telefonare. Telefonavo a mio marito che era passato sul ponte ed era già in ospedale ma non riuscivo a raggiungerlo. Poi mi sono ricordata il numero del centralino dell’ospedale. Disperata ho chiesto che mi passassero la Protezione civile. La centralinista mi ha passato un signore che mi rassicurava, mi raccomandava di resistere, di non lasciare la presa. Intanto vedevo che l’acqua cresceva e portava di tutto, vedevo passare tronchi e pensavo che se l’acqua trasportava tronchi così grossi prima o poi avrebbe portato via anche me. Avevo paura e gridavo: <<Non voglio morire, non voglio morire!>> E chiedevo aiuto, pregavo, chiamavo il mio babbo morto tanti anni fa… e mi aggrappavo ancora più forte alla rete e telefonavo. Alla fine mio marito ha trovato tutte quelle telefonate e mi ha richiamato.>>
L’emozione nel raccontare è ancora forte, come la commozione nel ripensare al marito che ha cercato in ogni modo di correre a salvarla, alla fatica fatta per farsi ascoltare perché nessuno si era accorto dell’accaduto, nessuno credeva alle sue parole finché non hanno sentito al telefono la voce di Patrizia che chiedeva aiuto.
<<Lui è arrivato subito ma non è potuto passare, è dovuto restare sulla riva opposta del ponte. Aveva paura che mi arrendessi, che svenissi per il freddo così per tenermi vigile mi telefonava in continuazione e mi rassicurava… Quando ho visto passare nel De Martino il gommone con tre vigili ho cominciato a urlare: “Sono qui, sono qui!” Loro hanno preso a raccomandarmi: “Signora, si regga ‘ché arriviamo a liberarla.”>>
Il salvataggio è stato complicato perché gli alberi continuavano a cadere e anche le onde provocate dalle eliche dell’elicottero che avrebbe dovuto tirarla su e portarla all’ospedale mettevano a rischio il gommone dei vigili del fuoco. Finché l’elicottero non è stato inviato da un’altra parte.
<<C’è voluto tanto perché nel frattempo era caduto un albero proprio vicino a me. – racconta Patrizia. -Il ragazzo che con l’aiuto dei suoi colleghi mi è venuto a salvare mi ha messo il giubbotto, mi ha legato e mi ha detto di staccarmi dalla rete. Poi mi ha trascinato verso il gommone ma proprio in quel momento è arrivato un tronco che mi ha colpito al ginocchio, sono andata giù, ho bevuto…>>
Non ricorda altro Patrizia Ancaiani. A quel punto dovrebbe essere svenuta. Portata al pronto soccorso da un mezzo dei vigili del fuoco, non c’erano più ambulanze, la situazione è apparsa subito piuttosto grave tanto che la temperatura corporea era scesa a 29 gradi!…
Ѐ passato un mese, Patrizia si sta ancora curando, in particolare sta facendo delle terapia per rimettersi in piedi e buttare via le stampelle. Più lunga sarà la terapia dell’anima. Certe esperienze così prossime alla morte provocano cambiamenti profondi, anch’essi bisognosi di sostegno e di affetto.
Nel frattempo come prima cosa Patrizia ha pensieri di riconoscenza verso tutti coloro che l’hanno aiutata, i suoi salvatori, i sommozzatori dei vigili del fuoco di Terni, in particolare Antonio Saponaro, il ragazzo che per primo è riuscito a raggiungerla ponendo fine alla sua disperazione. <<Potrebbe essere mio figlio.>> dice Patrizia parlando di lui.
<<Poi ho saputo perché nessuno veniva a salvarmi.- continua il racconto – Né le forze dell’ordine né la Protezione civile ne avevano i mezzi.>>
Ma come ha fatto con il buio, il freddo, la paura di morire, come ha fatto a resistere per due ore e mezzo immersa fino al petto nell’acqua in tumulto?
<<Forse la forza della disperazione, poi pregavo tutti, pregavo che mi aiutassero, non volevo morire da sola lì, in quel modo così atroce. Mano a mano l’acqua saliva, saliva….>>
La foto in home è di Anacleto Santori