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Home Politica

Orvieto non è un paese per giovanissimi e famiglie. Ma può e deve diventarlo. Dobbiamo volerlo

Redazione by Redazione
7 Maggio 2025
in Politica, Secondarie, Archivio notizie
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Il degrado, a volte, si misura nei centimetri di plastica per terra. In un’altalena rotta. In una deiezione canina dimenticata nel punto esatto in cui un bambino dovrebbe imparare la libertà. Altre volte, invece, il degrado è più sottile ma ancora più violento: è l’ironia di chi ride sopra a un post indignato, la complicità di chi mette una faccina sorridente sotto la denuncia di uno spazio giochi trasformato in bivacco, la superficialità di chi crede che una madre esasperata stia esagerando. Il degrado più pericoloso è quello che si finge normale.

Eppure quella sporcizia non è un’eccezione: è un sintomo. Orvieto, oggi, non è un luogo per giovanissimi. E non lo è per colpa di chi ci abita, ma per colpa di un sistema politico e amministrativo che ha abbandonato l’idea che un bambino sia una risorsa collettiva. Lo diciamo con chiarezza: senza una visione, senza una vera cura, Orvieto non avrà futuro.

Le famiglie che decidono di restare o di trasferirsi in una città come la nostra lo fanno sulla base di tre cose: spazi pubblici vivibili, servizi sociosanitari accessibili e un’alleanza reale tra istituzioni e cittadini. Oggi, su tutti e tre i fronti, siamo in ritardo. Abbiamo aree giochi degradate, reparti pediatrici ridotti all’affanno, un reparto maternità sempre più a rischio.

Abbiamo un Comune che non ascolta, che non risponde, che ha smesso di progettare. Non è solo una questione di decoro urbano, è una questione di dignità civile.
Sono tante le sollecitazioni che abbiamo ricevuto. Abbiamo letto con empatia le parole di tante mamme e nonne inacerbite dalla questione delle aree giochi, con attenzione e con ammirazione le parole dei professionista sanitari che raccontano come un territorio come il nostro abbia bisogno di tornare a parlare di nascite e di vita, con assoluta empatia le parole dei giovani padri che non capiscono perché la Gonfaloniera debba diventare una “bretella stradale” proprio nel periodo dell’anno in cui i loro giovani figli possono godere di quello spazio della città. Anche per loro a noi il dovere e l’impegno di provare a immaginare e proporre un modello diverso.

Un modello che parte dai bambini, perché tutto comincia da lì. Il Reggio Emilia Approach, riconosciuto nel mondo come eccellenza pedagogica, ci insegna che i bambini non sono vasi da riempire, ma cittadini completi, portatori di diritti e di visione. Educare, allora, significa costruire ambienti capaci di ascoltare, di accogliere, di trasformarsi insieme a chi li abita. Non si tratta solo di creare asili o aree gioco, ma di fondare una città che riconosce nella crescita dei suoi piccoli il proprio atto politico più radicale.

Ed è da questo approccio che vogliamo partire. Non con un elenco di cose da fare, ma con una promessa: restituire ai bambini e alle famiglie il diritto a restare. Restituirlo con una riqualificazione vera degli spazi pubblici, con un reparto maternità che non sia un reparto qualsiasi ma una Casa della nascita, con dotazioni all’avanguardia e un’équipe stabile e motivata. Restituirlo con una sanità territoriale che sia davvero accessibile e integrata, con percorsi perinatali che coinvolgano consultori, pediatri, psicologi. Restituirlo con politiche di sostegno alla genitorialità che non siano spot elettorali ma azioni quotidiane: voucher per i nidi, supporti psicologici scolastici, contributi per il tempo libero, spazi coworking a misura di neogenitori, sostegno alla casa e alla residenzialitá delle famiglie.

In altri comuni d’Italia, tutto questo già accade. A Fidenza, il Comune ha creato un sistema di accoglienza alla nascita fatto di visite domiciliari e gruppi di sostegno. A Ponte nelle Alpi i parchi sono stati ripensati insieme a educatori e psicologi. A Torino esiste un programma comunale permanente per accompagnare i genitori nel primo anno di vita del bambino. Non si tratta di utopie: si tratta di scelte. Di priorità.
E allora diciamolo con chiarezza: se oggi Orvieto è un luogo in cui fare un figlio appare quasi una forma di ostinazione, domani può diventare un luogo in cui farlo è una possibilità desiderabile. Ma per farlo dobbiamo mettere in campo una visione lunga, che non abbia paura di nominare le difficoltà, ma nemmeno di sognare in grande.

Ogni volta che una madre scrive una lettera che resta senza risposta, ogni volta che un bambino gioca accanto alla sporcizia, ogni volta che un professionista sanitario pensa che non ci sia spazio per parlare di “vita” e di “nascita” qui, stiamo scegliendo che tipo di città vogliamo essere.

Noi del Partito Democratico vogliamo una città che dice sì alla cura. Che dice sì alla genitorialità. Che dice sì all’infanzia. Non per nostalgie identitarie, ma perché sappiamo che una città che non difende i suoi bambini è una città che ha già deciso di morire. Perché siamo convinti che la famiglia è la più importante e plurale infrastruttura sociale sulla quale dobbiamo investire per il cambiamento. Orvieto può essere altro. Se lo vogliamo. Se lo scegliamo.  Se cominciamo, insieme.

Partito Democratico Orvieto

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