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Home Cultura

L’arte che unisce l’Europa: all’insegna dell’antico legame tra Orvieto e Bruges

Redazione by Redazione
9 Maggio 2025
in Cultura, Notizia Principale, Archivio notizie
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Cappella del Corporale, duomo di Orvieto

di Mirabilia Orvieto

È proprio vero. La vera unità e identità europea non è né economica, né militare, ma culturale. Un valido esempio lo abbiamo nella nostra città. Come? Mettendo uno vicino all’altro due capolavori d’arte distanti tra loro appena 1.200 km. Si tratta sta della rappresentazione della messa leggendaria di Acri nella Cappella del Corporale nel duomo di Orvieto e del polittico dell’agnello mistico nella cattedrale di san Bavone a Gand, in Belgio. Due artisti di epoche diverse, fine del Medioevo e inizio del Rinascimento: Ugolino di Prete Ilario e Jan van Eyck, detto Giovanni da Bruggia nel testo di Vasari, il pittore fiammingo vissuto tra il 1390 e il 1441. Fu proprio lui a perfezionare la tecnica della pittura ad olio che gradualmente sostituì in Europa l’uso del colore a tempera.
Ad unirli in modo sorprendente sono le immagini delle due opere che sembrano una la copia dell’altra, anche se con le opportune differenze di stile. Chi ha potuto visitare l’opera di van Eyck è rimasto letteralmente impressionato, soprattutto dopo l’ultimo restauro conclusosi agli inizi del 2020 in occasione del quale si è inaugurata nel Museo delle Belle Arti di Gand la più grande mostra fotografica mai realizzata sul pittore.

Polittico dell’Agnello Mistico, cattedrale di san Bavone

Il Polittico è un’opera monumentale d’incomparabile maestria e genialità, composta da 12 pannelli di quercia, dipinti avanti e dietro. Il tema iconografico è quello della Redenzione. Nel restauro avvenne una scoperta sconcertante: il vero muso dell’agnello, ritratto nel 1432 dai fratelli van Eyck. L’animale era stato ridipinto attorno nel 1550, e per secoli nessuno aveva potuto osservare l’agnello così come l’avevano raffigurato Jan e Hubert. Quello che oggi si vede, e che giaceva nascosto sotto la vecchia immagine, è il volto umano dell’Agnello che si rivolge allo spettatore con lo sguardo fisso, interpellandolo direttamente. Un particolare a dir poco inquietante che turbò il pubblico del Cinquecento tanto che si dovette procedere a coprirlo, dando all’Agnello un’apparenza più naturale per adeguarlo meglio al sentimento di devozione del tempo.
Ma la sua particolarità sta proprio nella somiglianza con la messa miracolosa di Acri, dipinta settant’anni prima da Ugolino. Il dipinto di van Eyck riprende sorprendentemente il ‘fanciullo’ passionato della cappella di Orvieto che Ugolino ritrae sopra l’altare allestito in mezzo al campo di battaglia; al suo posto l’artista fiammingo rappresen ta invece un mi te ‘agnello’, ispira to al libro dell’Apocalisse(5,6), ritto anch’esso sopra la mensa eucaristica che si erge questa volta sopra una collina, al centro del nuovo paradiso terrestre.
Le due figure appaiono mentre zampillano sangue dal costato che viene raccolto in un calice, quello della Passione, che sembra identificarsi con il sacro Graal della leggenda medioevale, e cioè la coppa dell’Ultima Cena in cui Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue della crocifissione. Ai piedi dell’altare in cui si trova l’agnello non ci sono i soldati crociati e musulmani raccolti in adorazione durante il miracolo di Acri, ma una corte di angeli che portando i simboli della Passione, cospargono il profumo del loro incenso sull’altare ultraterreno. Qui non sono più gli uomini in armi a venerare la liturgia terrena, ma delle creature celesti che s’inginocchiano davanti a quella ultraterrena dell’agnello dell’Apocalisse, letto anch’esso in chiave eucaristica.
Un’incredibile analogia che fa sorgere la domanda: ci troviamo di fronte ad una straordinaria coincidenza o alla prova tangibile che l’artista fiammingo si sia ispirato, per la sua opera, proprio al ciclo pittorico di Ugolino di Prete Ilario?

Miracolo eucaristico di Acri, cappella del Corporale

Quest’ultima tesi potrebbe essere avvalorata dal ruolo svolto in Europa dallo stesso pittore, come l’importante missione nel Portogallo dove contrattò il matrimonio di Isabella di Spagna. Jan van Eyck non fu soltanto un geniale pittore di corte, ma anche un abile ambasciatore a cui vennero affidati, a detta degli storici, incarichi
diplomatici in Terrasanta e forse anche in Italia. A dimostrarlo è il dipinto stesso che ai raggi X ha rivelato alcuni importanti correzioni. Nei pannelli dei Pellegrini e degli Eremiti, per esempio, accanto alla vegetazione delle regioni del nord si trovano raffigurati degli alberi tipicamente mediterranei, tutto ciò a riprova che il pittore era
andato in pellegrinaggio in Terrasanta passando per l’Italia. Nulla può dunque escludere che in uno di questi viaggi l’artista abbia avuto modo di visitare il duomo di Orvieto e ammirare la cappella del Corporale che custodiva la reliquia del miracolo eucaristico di Bolsena.
Un particolare questo non di poco conto se si considera il clima profondamente religioso della sua terra, che lo influenzò dal punto di vista umano, prima che artistico. Tutti infatti conoscevano la profonda spiritualità riflessa nelle sue inconfondibili opere, come i dipinti sulle Stimmate di san Francesco(1428-1429), uno dei quali è conservato nella Galleria Sabauda di Torino, o il dittico della Crocifissione e Giudizio finale, databile intorno al 1430 e conservato nel Metropolitan Museum di New York. Per non parlare dello stretto rapporto con la sua amata città, Bruges, che fungendo da ricettacolo dei grandi simboli della cristianità, indusse il pittore fiammingo a sceglierla come la culla della sua arte e della sua creatività. Fu proprio a Bruges, una delle maggiori capitali dell’economia e della cultura del Nord, ad accogliere fra le sue antiche mura la reliquia del Sacro Sangue custodita nella Basilica di Gand.

(foto 3: Basilica del Sacro Sangue, cappella superiore, Gand)

Ed ecco allora spiegato il probabile legame che Jan van Eyck instaurò con la città di Orvieto, ritrovandovi la sua cara Bruges. Due città che onorarono per secoli quel ‘sangue di Cristo’ gelosamente custodito nelle rispettive cattedrali, ancora oggi accumunate da una ‘testimonianza’ che segnò per sempre la loro storia e la loro spiritualità. Da una parte la città umbra che dal 1263-64 custodisce il lino insanguinato della messa di Bolsena, dall’altra, nella cappella superiore della Basilica, la venerabile reliquia della Passione di Cristo che, si legge nell’antico documento degli Acta Sanctorum(una monumentale raccolta di fonti agiografiche), “venne conservata a Bruges, nella chiesa di san Basilio, grazie all’abate Leone, cui era stata affidata dal conte Teodorico, genero del re di Gerusalemme Baldovino, nell’anno 1148.
Tale sangue rimaneva coagulato nella fiala di cristallo, tranne una volta a settimana, durante la quale, per miracolo, si scioglieva e defluiva goccia a goccia lungo il cristallo: il che continuò a verificarsi senza interruzione fino all’anno 1309”. Due città fortemente spirituali, il cui legame venne suggellato dal celebre Jan van Eyck attraverso la mirabile composizione dell’Agnello Mistico, un’opera che il grande Durer descrisse, nel suo viaggio nelle Fiandre, come  “immensamente preziosa e stupendamente bella”.

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