di Dante Freddi
Riprendo il ragionamento accennato nello scorso editoriale, in cui affermavo che senza una visione d’insieme di un problema o di un progetto è difficile compiere scelte organiche, giuste quanto possibile e durature.
Mi sembra che ci sia poco da eccepire su questa lapalissiana constatazione. Eppure non manca chi si appella costantemente a questo aspetto di metodo soltanto perché va sempre bene in qualsiasi dibattito e non costringe ad approfondimenti e scelte su particolari contingenze. Sono i fautori del benaltrismo, dietro cui si nasconde spesso la pigrizia di affrontare il particolare, che rimane pur sempre una parte del tutto.
Esempio. Non si può parlare di parcheggi se non si opera sulla viabilità, non si può programmare la viabilità se non si decide l’uso dei luoghi a cui sono indirizzate le auto, non si può decidere il ruolo di un immobile o di un servizio se non si decide quello degli altri che completano la cosiddetta VISIONE. Quindi, altro che discussione sulla viabilità se prima non si decide l’uso di questo e quell’immobile e così via: il risultato è la scelta sbagliata o l’immobilismo .
La complessità richiede metodo, ma in alcuni casi l’appello positivo alla VISIONE serve soltanto per rimandare scelte parziali, che comunque debbono essere compiute, pur sempre dentro una cornice di massima e mai se risultano in grado di inficiare scelte successive e prevedibili.
Non voglio buttarla in filosofia, come direbbe qualcuno con valore spregiativo, ma è necessario chiarire qualche passaggio sul Metodo del pensiero.
Leggo spesso sui social e sui giornali post o articoli di cittadini che propongono idee per risolvere quasi tutti i problemi, da quelli di politica internazionale a quelli più modestamente locali.
Punto di partenza positivo, perché dimostra interesse, ma spesso quelle idee non hanno la possibilità di diventare pensiero, perché manca il confronto dialettico con altre idee. A volte non c’è l’occasione logistica (mancano occasioni di comparazione) e molto spesso chi ha un’idea si affatica a dimostrare la validità di quanto gli è passato nella testa e non a trovare un pensiero condiviso, che è il punto di successo.
Mancano occasioni di comparazione perché i partiti non promuovono incontri con i cittadini, come era un tempo, e perché chi amministra non cerca il rapporto con i cittadini, anzi. Le occasioni promosse da associazioni su temi diversi sono snobbate dai decisori, a ribadire il mancato riconoscimento di quei luoghi di elaborazione non istituzionali.
Vorrei stabilire un principio condiviso e da quello partire per il futuro. Un PENSIERO non si crea dopo aver valutato il pro e il contro di alcune idee, richiede maggiore profondità.
Richiede un onesto impegno a demolire il valore della nostra idea di partenza e altrettanto impegno nel demolire il risultato ottenuto, cercando tutti gli elementi per affermare con lealtà che questo è il PENSIERO MIO che pongo a disposizione del confronto con altri pensieri.
Un PENSIERO da cui i decisori possono giungere alle AZIONI si può ottenere soltanto con almeno questi minimi passaggi. Sennò parliamo di idee, magari di buonsenso, ma che sono soltanto deboli opinioni che potrebbero essere annientate da altre deboli opinioni di buonsenso.
Faccio un esempio, tanto per calarci nella realtà: la scelta di costruire ospedale e casa di comunità nell’ex ospedale in piazza Duomo. In una fase di perseguimento del PENSIERO su cui si basa la scelta, sicuramente con il nostro metodo il decisore non sarebbe riuscito a superare con facilità l’ostacolo di un piano comunale completo e convincente di viabilità e sosta su cui misurarsi. Qualsiasi negozio, anche di bagattelle, avrebbe posto questo tra i problemi prioritari. Il Comune di Orvieto ha risolto ignorando l‘aspetto, tant’è che a oggi nessuno che io conosca sa da dove arrivino e da dove escano le auto e quanti posti auto ci siano per la sosta gratuita e come siano gestiti. È un caso di scuola e forse fa capire meglio i miei tentativi di razionalizzare il METODO DEL PENSIERO. Ma insisterò e ne riparleremo.