Se la ex Caserma Piave, da decenni abbandonata, privata della ragione stessa della sua esistenza e lasciata in progressivo degrado, potesse parlare, direbbe semplicemente: “Basta giochi sulla mia pelle aggrinzita dal tempo e ferita dagli uomini, fatemi tornare a vivere! Posso farlo, non sono un vuoto da riempire come capita, non sono un peso di cui liberarsi, sono una risorsa per la città, sono anche io la città!”. Un grido ormai forse disperato, ma chi, avendone animo e testa, sarà capace di ascoltarlo, sarà anche chi darà un futuro ad Orvieto ed al suo territorio, oggi a rischio di avvitamento irreversibile nella marginalità.
Come si sa, la Piave nacque negli anni trenta del secolo scorso per volontà di chi allora reggeva la città con l’idea che quello fosse un modo possibile per avere un futuro. Era appunto, in fondo come oggi, “la linea del Piave” di cui allora si aveva ancora memoria, la linea di resistenza ultima per poter ripartire. E così fu. La Piave è stata lavoro e ha dato lavoro. Da lì sono passati migliaia e migliaia di reclute, tanti sottufficiali e ufficiali, non pochi dei quali si sono fermati in città e hanno messo su famiglia. Per cinquant’anni ha fatto vivere la città e ne ha segnato il carattere, non solo economico e non tutto in positivo. Così oggi farci un giro dentro o vedere i filmati amatoriali girati furtivamente e pubblicati sulla pagina fb di “Quelli della Caserma Piave” per constatarne il degrado fa veramente male.
Quella storia da decenni è irrimediabilmente finita, e volerla riproporre oggi sotto altra forma (la scuola di polizia) ma con la stessa logica è cosa priva di fondamento e appunto di logica. Denuncia insieme impreparazione ed estraneità dal contesto, distacco dai bisogni reali, sottovalutazione della complessità dei problemi, della loro interconnessione e dunque del modo di affrontarli. Il riuso sensato di un complesso così importante è oggettivamente legato al riuso degli altri immobili nel quadro di un progetto a scala urbana.
L’iniziativa di Stefano Spagnoli va in direzione opposta. Dunque non è solo improvvisazione, è errata interpretazione dei bisogni e delle potenzialità, è ripetizione di vecchi schemi e mancanza di visione, è assenza di destino. Continua la linea Tardani del governo spot, che annuncia e non risolve. Una linea antiquata, superata dal suo stesso fallimento.
La ex Piave è una grande risorsa, una straordinaria opportunità, che però, davvero incredibilmente, è stata trasformata in problema da decenni di esercizio di una rara miopia politica trasversale, che è riuscita, negli anni duemila, nell’impresa di fermare il progetto RPO perché stava per essere realizzato (proprio così!) e, negli anni recenti, di far passare come irrealizzabile il progetto MOST senza manco verificarne la fattibilità (proprio così), forse (azzardo) perché proposto da altri.
Occorre una svolta, lo griderebbe la caserma stessa se potesse farlo. Ci deve essere perché ci può essere, se si riprende il filo interrotto di una progettualità che connette i particolari in un disegno complessivo pensato e poi attuato con metodo. C’è un patrimonio di idee a cui naturalmente si possono aggiungere altre idee e trasformarle tutte in nuova visione, ma è importante che emerga un disegno di futuro possibile su cui la comunità venga chiamata a riconoscersi e lo senta suo perché sintetizza il passato con le potenzialità e le aspirazioni del presente. La città deve ritrovare sé stessa, deve potere di nuovo credere di avere un compito, come è accaduto in qualche altro momento della sua storia in cui la sua classe dirigente si è comportata come tale. Qualcuno è chiamato a farsene interprete. Oggi c’è. Non è difficile capire chi.
Franco Raimondo Barbabella,
consigliere comunale uscente
presidente CiviciX