di Valentino Saccà
Paolo Mauri se ne è andato lo scorso 24 aprile, portandosi dietro una nutrita fetta di cultura italiana. Con la scomparsa di Mauri è morta un’idea di giornalismo culturale che ha segnato un’epoca. Il suo modo originale e irripetibile di fare critica letteraria e giornalismo mantenendo sempre un certo distacco dall’opinione comune e al contempo rivelando una semplicità nei rapporti umani e professionali, sono qualità in via di estinzione.
Milanese, coltissimo e raffinato, Mauri non ostentava mai un sapere accademico ma gli preferiva l’ironia arguta e la chiarezza espositiva, permettendo così di farsi immediatamente amare da allievi e colleghi come maestro e amico. Presso il Museo Emilio Greco di Orvieto è stato celebrato il ricordo di questo grande intellettuale (nella giornata di venerdì 24 giugno), che nella città della Rupe era stato spesso ospite amandola e intessendo rapporti di amicizia e di collaborazione con alcuni intellettuali del posto.
L’incontro si è articolato su una serie di ricordi affettuosi e ironici dedicati alla figura di Paolo Mauri da parte di colleghi e amici. Ha introdotto e moderato il pomeriggio il professor Giuseppe M. Della Fina, il quale ha parlato del legame tra Mauri e la città di Orvieto, nato quasi per caso da una quartina del poeta e pittore Toti Scajola che recita: Il sogno segreto dei corvi di Orvieto è mettere a morte i corvi di Orte.
Poi c’è stato Luigi Malerba come figura chiave che ha legato Paolo Mauri alla città della Rupe, autore che il critico letterario ha studiato capziosamente fin dagli anni 70 per poi diventarne amico e frequentarlo anche durante serate conviviali proprio nel piccolo borgo umbro. Tra gli intellettuali orvietani amici di Mauri c’è stato anche Toni Concina, ex sindaco della città, il quale è intervenuto con un ricordo tenero in cui la cultura libraria si legava con la cultura della buona tavola, sottolineando di essere entrato in amicizia tardi con il giornalista milanese e per questo motivo considerava il loro rapporto spontaneo come quello di due bambini.
Corrado Augias, scrittore, giornalista e conduttore, ha ricordato gli anni passati con Mauri alla redazione di Repubblica e dell’ironia provocatoria del collega nascosta dietro una barbetta severa, capace persino di sbalordire con i suoi raffinati motti di spirito Eugenio Scalfari, fondatore e all’epoca direttore del quotidiano (erano gli anni 70). Dopo l’intervento di Francesco Erbani, che ha tirato un po’ le fila della carriera giornalistica e culturale di Mauri c’è stato quello di Simonetta Fiori, forse l’intervento che ha sintetizzato al meglio la figura dell’intellettuale milanese.
Allieva di Mauri per circa 20 anni a La Repubblica, quando lui ne era il capo redattore, Simonetta Fiori ha estrapolato con poche parole l’anima del suo mentore elogiandone la mitezza, ripercorrendo le parole di Norberto Bobbio nel suo saggio “Elogio della mitezza”. La mitezza è una disposizione d’animo che rifulge solo alla presenza dell’altro: il mite è l’uomo di cui l’altro ha bisogno per vincere il male dentro di sé, diceva Bobbio e questa qualità così alta e preziosa è stata l’epitome perfetta per chiudere un affettuoso ricordo.