di Danilo Stefani
Brescia. Marzo 2020, in pieno exploit epidemico, in un supermercato.
Un tizio con tutti i requisiti: guanti, mascherina e un gran rispetto per le regole è alla ricerca disperata dello zucchero. Manca solo quel prodotto per uscire da quella zona di terrore, essenziale, che sono diventati i supermercati. Ma il tizio vaga come un disperato, non trova commesse né commessi, finché, in apparenza, non arriva vicino alla fine del tunnel: una signora, di profilo, lo precede.
E’ il momento di chiedere, perché il tizio nel frattempo sta sudando. “Scusi, signora…” ma nessuna risposta. Il tizio insiste: “Scusi, sa dove posso trovare lo zucchero?” La signora sbatte le palpebre, perché vede il tizio che nel frattempo è avanzato di un passo, forse mezzo passo, e fugge. Sì, fugge.
Un viso esterrefatto sotto la mascherina. E’ il viso del tizio, che alla fine trova il suo zucchero e si rilassa. Smette di sudare e va verso la cassa. Si piazza sulla riga prevista per il distanziamento. E guarda avanti. C’è una signora che depone i suoi articoli sul rullo. Sì, proprio quella signora dello zucchero… filante. Per un attimo gli sguardi si incrociano, le distanze si annullano. Attimo di terrore. La signora ha una gran fretta di allontanarsi. “Ah guardi che l’ho trovato…lo zucchero” dice il tizio, e glielo lo mostra. La signora arrossisce oltre la mascherina. Completa le operazioni farfugliando, e si defila veloce. È solo un piccolo episodio tra le migliaia che si potrebbero raccontare della povera Italia dell’emergenza.
Estrapolo da un articolo del 1946. “Nel ritorno alla vita di tutti i giorni dopo le ristrettezze del secondo conflitto mondiale prevalse la maleducazione: dai ristoranti ai mezzi di trasporto, ai negozi, agli uffici” lo racconta il cronista Egisto Corradi in una inchiesta pubblicata sul ‘Corriere della Sera’ di quell’ottobre del ’46. La differenza con la signora dello zucchero, è che in quest’ultimo caso eravamo alla fine della tragedia e non all’inizio.
Ma certe cose non cambiano, né prima né dopo. Dio è morto, ed è stufo di sentirselo dire. Eppure, nel terrore, ci appelliamo sempre a Lui. Ama Deus è una speranza in saldo per l’occasione; ma Amadeus, anche nello scaffale dello zucchero, dall’anno Venti – Ventidue è quasi una certezza.