Con il racconto della resurrezione di Lazzaro, Giovanni presenta una delle pagine più intense e ricche di significato dei vangeli. Mentre nelle altre due resurrezioni, quella della figlia di Jairo e del figlio della vedova di Naim, Gesù compie delle rianimazioni, qui il morto è veramente morto. Due giorni prima le sorelle mandarono ad avvisare Gesù: “Signore, ecco, colui al quale vuoi bene è malato”. Ma egli non si muove, non si precipita da Lazzaro. Alla notizia dice ai discepoli: “Lazzaro, il nostro amico s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo”.
Ma Lazzaro muore, Gesù non è sconvolto perché sa che l’amico riposa già nel seno del Padre. Marta gli va incontro rimproverandolo: “Signore, se ti fossi stato qui, non sarebbe morto mio fratello!”. Cristo le dice: “Tuo fratello resusciterà”. Questo però non accontenta Marta che subito gli risponde: “So che resusciterà nell’ultimo giorno”. Quelle parole invece che consolarla, gettano la donna ancor più nella disperazione, una disperazione sostenuta anche dai presenti: “Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?”.
Infatti, a cosa serve credere in un Dio che nel momento del bisogno è assente? Gesù sta dicendo a Marta di non disperare, perché con la morte non finisce tutto. Per Cristo il problema non sta nel riportare in vita Lazzaro, ma liberare i vivi dalla paura della morte. Mentre Marta pensa ad una resurrezione lontana, il Maestro parla in realtà di una resurrezione immediata. Nel vangelo apocrifo di Filippo c’è un’espressione che rimanda a questo significato. Filippo scrive: “Chi dice prima si muore e poi si risorge, sbaglia”. Come a dire che la resurrezione è un’esperienza che si fa in vita, prima della morte. Cosa significa? Che prima della resurrezione del corpo che avverrà alla fine dei tempi, c’è una resurrezione della vita in questa vita, qui e adesso!
Questa era stata anche l’esperienza del cieco nato di cui tutti dicevano: “Ma è lui o non è lui?”. L’uomo era certamente lui, ma allo stesso tempo non era più lui. La resurrezione sperimentata con la guarigione lo fa essere un uomo nuovo. Chi fa esperienza di questa nuova vita nuova è già risorto, così che quando verrà il momento dell’affacciarsi della morte egli non ne avrà più paura e la supererà. Nella resurrezione di Lazzaro l’evangelista Giovanni sottolinea un cambio radicale nel modo di concepire la morte e, quindi, la vita. Quel Lazzaro che ora tutti piangono continua a vivere perché Gesù sa che l’amico aveva già fatto esperienza di resurrezione, accogliendo fino in fondo le parole del maestro: “chi crede in me anche se muore, vivrà…chiunque vive e crede in me, non muore”.
La resurrezione fisica di Lazzaro diventa dunque il segno tangibile di tutto questo. Alla giovane figlia di Jairo, distesa senza vita in un letto, Gesù le dice: “Talita kum, alzati e cammina”, come a dire ‘riprendi’ la tua vita laddove si è si addormentata, e ora portala a compimento! Marta però non capisce. Ella rappresenta quella chiesa che, facendo della fede un ‘rifugio’, non vuole aprirsi alla novità di Dio, piuttosto lo vuole strumentalizzare. Il problema non è quindi chiedere a Dio di eliminare la morte, la malattia e tutte le avversità della vita, che prima o poi inevitabilmente sopraggiungeranno, ma trovare un senso profondo alla vita.
La resurrezione di Lazzaro, Caravaggio
Ed ecco arrivato il momento culminante. Gesù è difronte al sepolcro, “contro vi era posta una pietra”: nel racconto il termine ‘pietra’ appare per ben tre volte a sottolineare che non c’è più nessuna speranza. Il cadavere già puzza perché è morto da quattro giorni. Ma al grido: “Lazzaro, vieni fuori! …il morto uscì con i piedi e le mani legate da bende”. Cristo non fa nessun gesto, non compie nessuna azione perché – come alcuni teologici fanno notare – la resurrezione è l’effetto di quella vita interiore, spirituale, che si sprigionata dal cuore di Lazzaro, restituendolo alla vita.
E questa vita si dà se c’è, se non c’è non si dà. Il miracolo consiste proprio nel rendere manifesta quella vita interiore, esistenziale, che non si vede. A questo punto Gesù ordina: “Scioglietelo e lasciatelo andare”. La resurrezione di Lazzaro sarà completa solo quando verrà liberato da tutti i ‘lacci’ che lo tengono ancora prigioniero. Che strano, Gesù non restituisce Lazzaro ai suoi, che aspettano di riabbracciarlo, ma ordina ai suoi che lo aiutino ad andare via.
Lazzaro può ora lasciare il suo villaggio, Betania, che stando a pochi chilometri da Gerusalemme era anche il luogo delle tradizioni religiose tanto care ai Giudei; qui l’evangelista fa capire che Lazzaro, allontanandosi da Betania, compie una radicale conversione di mentalità: il Dio di Cristo è il Dio dei vivi e non dei morti, degli uomini liberi e non degli schiavi.
L’uomo è vita e desiderio di vita, e quando si vive sotto il peso e l’oppressione della Legge la vita si ammala e muore. Con Cristo nasce una nuova legge che libera l’uomo dalla legge, dalla condanna del cammello il quale, al comando del padrone, piega le ginocchia per essere ben caricato. Il cammello, così si esprime lo psicanalista Massimo Recalcati, è l’animale che più somiglia all’uomo […].
L’uomo-cammello, è piegato e appesantito dal peso delle tavole dei valori morali, non sa godere della vita, non sa essere libero, ma il suo continuo sacrificio, la sua obbedienza passiva ai comandi del padrone, gli garantisce una vita priva di angoscia, comoda, protetta […].
La sua vita è la vita della bestia da soma, è la vita del servo, che è schiacciata da pesi soverchianti: obbedire, servire, rinunciare, pazientare, sacrificarsi. È l’uomo ridotto in schiavitù, sottomesso al ‘dovere per il dovere’, che rinuncia al suo desiderio di vita, sacrificato nella sua stessa vita che è piena di venerazione. E’ l’uomo che fugge dalla propria libertà, che rinuncia al peso della libertà, che umilia se stesso per consegnarsi a un padrone assoluto, adorando chi lo sfrutta […].
Uscito dal sepolcro, Lazzaro, il cui nome significa ‘Dio è venuto in aiuto’, non va a riabbracciare le sorelle, non ritorna a casa, ma può finalmente camminare verso quella vita che Dio ha preparato per lui. La conclusione di Giovanni apre qualche spiraglio di luce: “Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui”.
– Mirabilia Orvieto –