di Gabriele Marcheggiani
Sembra esserci un filo conduttore, una trama neanche troppo nascosta, che lega assieme i primi due eventi del Festival Arte e Fede 2019: se la meditazione portata avanti da padre Bernardo Gianni nel corso del primo appuntamento, ha avuto il suo fulcro nella rappresentazione della Chiesa Madre posta al centro della città, il film di Wim Wenders proiettato al Cinema Corso di Orvieto – Papa Francesco, un uomo di Parola – sembra seguire da vicino questa visione.
Il messaggio nuovo di cui il pontefice argentino si è fatto portatore, si colloca a pieno titolo al centro, non solo della città – mondo ma della Storia come narrazione pasquale di salvezza: paradossalmente più amato fuori dal mondo cattolico che nella sua stessa Chiesa, il Francesco ritratto da Wenders, sviscera fino al midollo il suo messaggio spesso irriverente, gravido di passione per gli ultimi della Terra, gli esclusi dalla città pantagruelica che ingurgita da sola l’80% delle risorse del Pianeta pur essendo composta dal 20% della popolazione globale.
Questo scandalo di fronte ai nostri occhi è lo stesso, per certi versi, verso il quale si rivoltò Francesco d’Assisi, a cui il pontificato di Bergoglio ha subito rivolto lo sguardo, prendendone anche il nome: nel docu-film, Wenders coglie in pieno il parallelismo tra le due figure ed anzi, sembra dar pieno risalto all’ispirazione tutta francescana di cui il papa gesuita sembra far tesoro. Dai piccoli gesti, come quello di non abitare nei Palazzi Apostolici ma in una modesta stanza nell’istituto Santa Marta, al suo primo viaggio dopo l’elezione al Soglio Pontificio, effettuato nella Lampedusa teatro della più grande tragedia del nostro tempo, alla visita alle peggiori bidonville dell’Africa e dell’America Latina, il Bergoglio di Wenders non fa altro che testimoniare quella fedeltà evangelica, radicale e senza compromessi, tanto cara al poverello di Assisi.
Lontano dalle formalità liturgiche, papa Francesco pone la sua Chiesa al centro di quel villaggio sofferente che è il mondo dei poveri, degli emarginati, degli esclusi; in questo il regista tedesco, più volte candidato agli Oscar e pluripremiato ai festival cinematografici di Cannes e Venezia, vede la vera rivoluzione del pontefice venuto dalla fine del mondo. Come un lungo colloquio intimo tra il papa e lo stesso regista, le immagini fanno da corollario, testimoniando visivamente la coerenza delle parole di Bergoglio, trasformandole da semplici moniti a Vangelo vissuto concretamente.
Il papa argentino, l’uomo che saliva sul banchetto nella Plaza de Mayo di Buenos Aires per stare accanto alle madri dei desaparecidos ammazzati dal regime di Videla, percorre gli stessi sentieri che ottocento anni fa portarono Francesco nella casa del Sultano, mentre era in pieno svolgimento quel massacro passato alla storia col nome di Crociata. I due Francesco non guardano in casa propria, non amano stare coi ricchi e potenti, non banchettano coi Capi di Stato e non viaggiano nel lusso sfrenato. Essi, lontani e a volte reietti al loro stesso mondo, si sentono a proprio agio nelle carceri e negli orfanotrofi, accanto ai respinti dal mondo e dalla Storia, gli ultimi e i dimenticati. Come per il santo assisano, le difficoltà che affronta papa Francesco, sono tutte iscritte nella rigorosa fedeltà al Vangelo, nella testimonianza rigorosa del più genuino amore cristiano. E come per San Francesco, vale la necessità di prendere una posizione inequivocabile, di aderire ad una scelta di campo che impone alle coscienze di interrogarsi da che parte stare della Storia: con il Cristo migrante, povero, detenuto, malato, fallito, disoccupato o con un cieco formalismo vuoto di qualsiasi contenuto evangelico?