di Fabio Massimo Del Sole
La cosa che colpisce del Nuovo Testamento è la capacità di fare entrare il lettore immediatamente nel bel mezzo di un’azione. Il Vangelo della festa del Corpus Domini inizia con le folle attratte dall’energia sprigionata da Gesù che “guariva quanti avevano bisogno di cure”. Mentre prima di Cristo era l’uomo che doveva cercare Dio, con Gesù la logica è rovesciata. Dio non è più da cercare ma da accogliere perché è Lui che va incontro agli uomini! I discepoli però non capiscono. Sul far della sera, si avvicinano al loro maestro: “Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Forse non è la folla che è stanca di seguire Gesù, ma sono i discepoli che, stanchi e affamati, vogliono far allontanare la gente mandandola a comprare il pane. Comprare significa che chi ha soldi mangia e vive e chi non ne ha, o ne ha pochi, non magia e non vive. Ecco la risposta di Gesù: “Date loro voi da mangiare”.
Al verbo comprare il Vangelo contrappone il verbo dare, o meglio condividere, prendersi cura. Ma condividere non è fare elemosina, dando a chi ha fame solo delle briciole, quanto piuttosto soddisfare pienamente il suo bisogno. In altre parole “io che posso do a te che non puoi”, ma con questo atteggiamento si mantengono le farisaiche distanze, perché dove c’è un benefattore esiste sempre una persona beneficata.
I discepoli però continuano a non capire: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci”. Allora Gesù si fa portare quella misera quantità di cibo, la benedice, e comanda di distribuirla alla folla, circa cinquemila persone. Un miracolo? Certo, un miracolo…il miracolo dell’amore. Quei pani e quei pesci non si moltiplicarono magicamente, ma furono la conseguenza del gesto fatto dai discepoli, un gesto così forte che la gente rimase profondamente colpita. Infatti, alla vista di quell’estremo atto di generosità, ognuno prese dalla bisaccia tutto ciò che aveva per condividerlo con chi gli stava vicino.
Ebbene tutti si saziarono, anzi avanzarono addirittura dodici ceste piene di cibo. Il verbo “saziare” utilizzato dall’evangelista è lo stesso adoperato per gli animali, come dire che mangiarono fino a scoppiare. Nasce in quel momento una nuova umanità, una nuova società, un nuovo mondo, non più fondato sulla logica dell’avere ma del dare. Se l’elemosina praticata nell’ambiente religioso di quel tempo sanciva la profonda separazione tra gli uomini, la logica della condivisione riuscì a generare dei fratelli!
Ora se il corpo vive perché è nutrito e sfamato, per l’anima avviene il contrario: essa vive se nutre, se sfama, se si prende cura degli altri. Nella condivisione, dove tutto ciò che è mio è anche tuo, si compie il mistero stesso dell’Amore la cui realtà sarà riproposta nell’ultima cena. Quella notte, attraverso le parole del Signore, il pane e il vino si convertirono nella Vita di Cristo affinché quella stessa Vita potesse trasmettersi nella vita dei discepoli. E se l’Eucarestia è cercare il bene degli altri, allora i discepoli debbono fare lo stesso, diventare un alimento
capace di sfamare la vita dell’Altro. Chi si nutre di pane deve poi diventare pane, altrimenti l’Eucarestia non ha e non avrà mai i suoi effetti. Il bello però deve ancora venire. Prima di distribuire il cibo alla folla, Cristo dice ai discepoli “Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Il Vangelo di Matteo aggiunge un particolare. Gesù ordina alla gente di sdraiarsi sull’erba. Strano, Gesù non comanda mai. Perché deve forzare la volontà? Evidentemente se ordina significa che trova una resistenza. Quale? Cristo vuole che la gente si metta a mangiare come fanno le persone importanti che, in quel tempo, consumavano il loro pasto secondo l’uso romano, cioè sdraiati a terra con i servi che li servivano: Gesù vuol far sentire le persone dei “signori”!
E Signore non significa colui che comanda, ma colui che non ha nessuno a cui obbedire, cioè una persona pienamente libera, senza “cappio” al collo. Alla giustizia economica, nata dalla condivisione fraterna del cibo, si aggiunge quella sociale. Per Cristo non c’è chi conta di più e chi di meno, chi è superiore e chi inferiore, chi è il capo e chi il subalterno, ma tutti hanno pari dignità e valore. Gesù dovette comandare alla folla perché le persone che ha di fronte non sono persone libere. Sta qui il fascino della religione: la rinuncia a una libertà per una sicurezza.
Quale? Basta che io esegua quello che mi è stato comandato e sono a posto, in pratica c’è chi pensa e chi decide per me; la gente era dunque pronta a farsi sottomettere anche da Gesù, ma Gesù vuole rendere le persone libere, capaci cioè di ragionare con la propria testa, ed è per questo che chiede ad ognuno di assumere la posizione dell’uomo libero. La forza del potere sta proprio nel sottomettere le coscienze facendogli credere che è la migliore delle situazioni possibili.
Del resto anche Mosè dovette affrontare una situazione simile quando, durante l’Esodo, il popolo d’Israele gli rimproverò di averlo liberato dalla schiavitù: “Ma non stavamo meglio in Egitto che mangiavamo cipolle e aglio a volontà?”. Il Dio di Cristo è quindi un Dio che serve gli uomini, perché l’unico valore assoluto, veramente non negoziabile, è sempre e solo il bene degli uomini. I discepoli di Gesù non sono quindi i padroni dei pani, ma sono dei semplici servitori, e in questo senso sono disposti a spendere la propria vita per aiutare gli altri a trovare la loro.