di Mirabilia Orvieto
Nell’incontro del 30 Maggio 2019 dal titolo “Il Genius Loci del Pozzo di San Patrizio: promuovere il territorio con la filosofia e gli archetipi del mondo”, organizzato da Mirabilia Orvieto edizioni e Biblioteca Comunale, si è detto che il rischio della modernità sia quello di perdere il contatto con i propri luoghi, costringendoli ad assumere un’identità e un destino che non è il loro. Luoghi purtroppo che vengono snaturati, indeboliti, deviati da quel naturale processo di valorizzazione che dovrebbe aiutarli a ritrovare bellezza e originalità.
Il problema dello sviluppo turistico non sta nella mancanza di una efficace strategia di marketing, quanto piuttosto nella riscoperta dell’anima dei luoghi: se collegati alla nostra vita, questi luoghi diventano vivi e ci parlano trasformandosi in “luoghi dell’anima”. Di che cosa dunque sono fatti i luoghi? Quale significato si portano dietro? Una cosa è certa. Il legame tra un luogo e chi ci abita è fondamentale per capire e comunicare il cosiddetto “Genius loci” che è quell’insieme di simboli e immagini che costituiscono lo spirito più profondo, il carattere, l’anima, l’essenza e le virtualità più autentiche che un luogo o un capolavoro può racchiudere. E’ quanto propone l’edizione turistica della guida “Il Pozzo di San Patrizio a Orvieto” realizzata da Mirabilia.
Storia, arte, leggenda, filosofia, teologia, simbologia e psicanalisi s’intrecciano in un appassionante percorso alla riscoperta della funzione educativa e iniziatica di un grande capolavoro, emblema dell’Anima d’Europa. Definito come prodigio d’ingegneria, l’opera di Antonio da Sangallo (1527-37), anche se nasce con una funzione pratica, si eleva a dimensioni simboliche e sapienziali davvero notevoli.
Ma dove ricercare il Genius del Pozzo di San Patrizio senza rischiare di spegnerlo, pietrificandolo nel suo passato, o al contrario tradirlo abbandonandolo al destino di una fruizione generica e superficiale? A rispondere a questo interrogativo è un avvenimento accaduto prima della conclusione dei lavori del Pozzo. Siamo nel 1534 quando papa Clemente VII, committente dell’opera, fece realizzare dal celebre Benvenuto Cellini una medaglia commemorativa per celebrare la prodigiosa impresa.
La moneta presenta da un lato la figura di Mosè, che nel deserto percuote la roccia col bastone facendo scaturire miracolosamente l’acqua con cui disseterà il popolo d’Israele, e dall’altro l’immagine del Papa stesso. Il significato simbolico del Pozzo riesce fin da subito a sopraffare la sua evidente finalità pratica di natura militare e civile. Il Pontefice, reduce dalla terribile esperienza del sacco di Roma, volle per così dire riscattarsi dal destino avverso identificandosi proprio con il grande condottiero della storia biblica: è Clemente VII il salvatore della città, perché attraverso la costruzione di quel Pozzo egli potrà appagare sia la sete materiale che spirituale degli orvietani. Questo fatto – afferma il filofoso Luciano Dottarelli – dimostra che certi luoghi, come il Pozzo di San Patrizio, racchiudono qualcosa che eccede immediatamente e a tal punto la loro materialità o la loro funzione pratica da imporsi a noi in modo privilegiato, come autentici «campi magnetici» che generano vortici emotivi e di pensiero.
E sono proprio questi vortici a collegare l’episodio biblico al mito greco di Pegaso, il bianco cavallo alato che, percuotendo la dura roccia con lo zoccolo, fece scaturire la fonte Ippocrene, l’acqua di cui si nutrono le Muse, simbolo della vita e della creatività. Clemente VII è dunque il nuovo Mosè, come pure il nuovo Pegaso, che “battendo” o perforando la roccia della Rupe diventa divino artefice del dono dell’acqua, fonte di vita e simbolo d’immortalità dell’anima. L’architetto norvegese Christian Norberg-Schultz afferma che «proteggere e conservare il Genius loci di un luogo o di un monumento significa concretizzarne l’essenza in contesti storici sempre nuovi. Si può anche dire che la storia di un luogo dovrebbe essere la sua autorealizzazione”.
Per comprendere in profondità una simile dimensione, dobbiamo allora portare la nostra immaginazione ad identificarci con il Pozzo e vedere, nel suo vertiginoso baratro, qualcosa di più del leggendario Purgatorio del Santo Patrizio. L’inquietante spettacolo spalanca infatti un’altra visione, quella della discesa nel “profondo di sé” alla ricerca delle sorgenti della vita, ricchezza inesauribile e senza fondo, la cui acqua ha il potere di rigenerare tutto l’essere, corpo e anima.
Qui le doppie scale spiraliformi dell’ingegnosa architettura percorse nei due sensi, discendente e ascendente, rivelano il mistero stesso dell’anima e della sua redenzione, mistero che, per quanto relegato nella sfera inconscia, si “srotola” con saggezza e precisione gradino dopo gradino, evitando il precipizio. Quel continuo e dinamico avvitamento verso il basso e verso l’alto non sono forse componenti, energie e processi della nostra anima che faticosamente attinge dalle profondità del nostro essere l’alimento della vita e il nutrimento della creatività? Il Pozzo di S. Patrizio, in definitiva, è un evento, un modello del “fare anima”, dell’essere nell’anima. Solo scendendo nella propria intimità, calandosi dentro se stessi, l’umanità potrà dissetarsi e rigenerarsi per poi risalire, fino a uscire da sé e trovare fuori dal Pozzo, e cioè nella storia, la propria realizzazione e completezza.
L’immagine della sorgente d’acqua che sgorga nella parte più profonda dell’anima giunge a ispirare la mistica contemporanea Hetty Hillesum che nel suo Diario scrive: «Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta da pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo».
Alla ricchezza di significati che religione e filosofia consentono di proiettare sul Pozzo di Orvieto, la straordinaria energia creativa di Antonio da Sangallo ne ha saputo aggiungere molti altri che fanno dell’opera un autentico unicum e la iscrivono di diritto accanto a quei «santuari” simbolici come il Sacro Bosco di Bomarzo, Palazzo Farnese di Caprarola, Villa Lante a Bagnaia, che Elémire Zolla considerava tra le ultime aure d’Italia e d’Occidente, luoghi da cui emana ancora una brezza, un fascino; di fronte a cui ci si emoziona, cogliendo la «rispondenza della realtà esterna ad un segreto interiore».