Non obbedire a chi ti dice di
rinunziare all’impossibile!
L’impossibile solo rende possibile la vita dell’uomo.
Tu fai bene a inseguire il vento con un secchio.
Da te, e da te soltanto, si lascerà catturare.
(Margherita Guidacci)
di Gabriele Marcheggiani
Nell’assoluto, composto silenzio della cappella di San Brizio nel Duomo di Orvieto, sono riecheggiate parole potenti, figlie di un lessico nuovo, di un linguaggio intriso di fede e speranza, capaci di far dimenticare anche solo per poco, le umane pochezze di cui ciascuno è portatore insano. La meditazione di padre Bernardo Gianni, abate della comunità monastica di San Miniato al Monte a Firenze, ha intrecciato sapientemente le riflessioni proprie di un uomo di chiesa, una figura di grande rigore e profondità spirituale, con le visioni laiche di intellettuali, letterati, architetti, finanche politici, con un’eco che ha incuriosito anche Papa Francesco, che proprio per i suoi ritiri spirituali durante l’ultima Quresima, ha voluto ascoltare in prima persona le meditazioni del monaco benedettino.
Partendo da uno scritto del poeta Mario Luzi – dedicato alla chiesa madre di Firenze, il Duomo di Santa Maria in Fiore, per l’occasione del settimo centenario della sua fondazione – padre Gianni ha delineato quelli che sono i veri compiti della Chiesa, intesa come comunità ecclesiale trapiantata nella città globale, punto di riferimento non solo per i credenti ma per tutti coloro che, in un modo o nell’altro, sono alla ricerca di qualcosa (o di Qualcuno) che sappia donare senza nulla in cambio, parole di consolazione e di speranza.
“Io Chiesa Madre di tutte le altre”: è una voce femminile che prende la parola nella silloge poetica di Mario Luzi ed i versi possono riferirsi senza dubbio ad ogni Chiesa Madre del mondo, anche al Duomo di Orvieto “anch’essa madre di altre chiese”, come dice padre Gianni, fino a simboleggiare l’istituzione ecclesiastica nel suo intero, la pietra angolare sulla quale Cristo ha inteso fondare il suo stesso messaggio di amore e di speranza.
Di qui una felice intuizione del poeta: la Chiesa come “laboratorio dove si fabbricano ali per il volo, un luogo, un’officina, della speranza dove si raccolgono i relitti e si riaggiustano i rottami. E ancora: un luogo dove i figli presenti nella città e nel tempo ma anche i figli defunti e quelli che verranno, tutti insieme dovranno formare un corpo unico che si offra all’avvenire il quale si approssima sotto specie misteriosa di millenni”.
Una Chiesa accogliente del futuro, gravida di futuro, che include l’intera cittadinanza, che accoglie chi è già stato e chi ancora dovrà essere, anzi, ancor più coloro che ancora non sono, perchè il vero tempo dell’uomo – riprendendo una riflessione di padre Ernesto Balducci – è nel futuro. E la Chiesa dalle porte spalancate verso la città, è una Chiesa che guarda innanzitutto al futuro, un futuro che seppur incerto, inquieto, intangibile, diventa gravido di speranza, la speranza nel futuro, la vera guida del mondo, l’orizzonte indefinito verso il quale ciascun uomo guarda e non importa che sia credente o meno. La Chiesa dalle porte spalancate è l’emblema stesso del pontificato di Francesco: nel mondo che costruisce muri anzichè ponti, che si trincera dietro cieche pretese identitarie, le porte spalancate sono il fulcro stesso del messaggio cristiano, senza l’accettazione delle quali la stessa fede diviene un involucro vuoto, un contenitore inutile, un sepolcro imbiancato.
Una Chiesa in attesa costante dei suoi figli, in costante dialogo con la sua città. Per padre Bernardo, il mondo ha bisogno di “gesti pasquali” e la Chiesa ha il dovere di elargirli a piene mani, di restituire “verticalità, ardore, coraggio, altezza ai nostri desideri, soprattutto a quelli dei più giovani, che sono i più assetati di ragioni di vita e di speranza”. Una Chiesa, come dice Papa Francesco, che stia dentro la città, non fuori.
Padre Gianni ha particolarmente a cuore questo simbolismo luziano, la Chiesa al centro della “Città dagli ardenti desideri” e si sofferma con una riflessione di Giovanni Michelucci, grande architetto pistoiese, eminente urbanista tra i più famosi del ‘900, che quasi al termine della sua esistenza, affacciandosi la mattina presto dalla finestra della sua casa posta sulla collina di Fiesole, guardava dall’alto la città di Firenze:
“La mattina presto mi alzo, spalanco le finestre e mi metto a guardare ciò che si vede: la luna piena, magari le stelle, tutte le stelle in questo buio del mattino in cui appena appena comincia la vita. Allora non è che tu guardi la città, tu guardi se scopri dov’è Dio, il rifugio di Dio. Nasce così un’emozione, un bisogno di dedizione a Dio, alla Creazione, a tutto”.
Papa Francesco non la pensa diversamente da Giovanni Michelucci, se nel testo fondante del suo Magistero, l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, ci insegna a cercare Dio un po’ diversamente, anche in modo alternativo alla grande tradizione spirituale e ascetica occidentale: “La nuova Gerusalemme, la Città Santa, è la mèta verso cui è incamminata l’intera umanità. E’ interessante che la Rivelazione ci dica che la pienezza dell’umanità e della Storia si realizza in una città. Abbiamo bisogno di riconoscere la città a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze. (…) Dio non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero, sebbene lo facciano a tentoni, in modo impreciso e diffuso”.
Nel profondo della città, nei suoi bassifondi, nei suoi vicoli carichi di dolore e miseria, nelle piazze assolate e nelle strade buie, si nasconde dunque quel Dio dalle braccia sempre aperte, dalle porte sempre spalancate, come la Chiesa Madre, in grado di accogliere senza se e senza ma ogni uomo che sinceramente è in cerca di quell’anelito di pace e di speranza.
E’ questo il nuovo linguaggio, a volte dileggiato finanche dall’interno della Chiesa, di cui papa Francesco si è fatto portatore; accogliere, sempre e comunque, crea scandalo agli occhi di un mondo che si chiude sempre più. Un mondo incapace di leggere e di decifrare la grammatica del vero messaggio cristiano, che non è iscritta nel Vangelo ma nell’esempio stesso della vita di Gesù Cristo, nell’assurdità della Croce, nell’impossibilità razionale di accettare il messaggio pasquale senza il quale la vita stessa sarebbe solo e unicamente una sequenza meccanica di azioni e interazioni tra particelle infinite destinate a spegnersi con la morte.
Conclude padre Gianni, con un riferimento al “sindaco santo”, quel Giorgio La Pira, primo cittadino di Firenze dopo la guerra, il suo messaggio profetico è stata spesso deriso e ostacolato durante la sua epoca, che cercava ardentemente di costruire una città degna dell’Uomo, in costante ascolto e in perenne accoglienza dell’altro, dove si viva bene, nel senso letterale, facendosi del bene gli uni e gli altri. E’ impossibile tutto ciò? “L’uomo nuovo”, quello portatore di speranza, l’abitante della “città dagli ardenti desideri”, sa benissimo che, come nelle parole della poetessa Margherita Guidacci, “l’impossibile solo rende possibile la vita dell’uomo”.