Il 9 maggio 1950 l’allora ministro degli esteri francese Robert Schuman presentò un piano di cooperazione economica tra Paesi europei, divenuta poi “Dichiarazione Schuman”. Dal 1985 la data del 9 maggio fu dichiarata data della “Festa dell’Europa”.
Fu l’embrione dell’Unione europea. Pose le basi di una convivenza “nella pace e nella unità”. Nacque sulle macerie di un continente devastato dalla guerra. Fu un atto di speranza nata dalla disperazione. Non per niente il primo appello all’unità europea fu lanciato dal confino-prigione fascista da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi. Fu il “Manifesto di Ventotene”. Oggi, la nostra Europa è il continente più ricco del pianeta. Una comunità di 28 Paesi (almeno finché i britannici non si decidano sulla sorte del Brexit), 500 milioni di abitanti, il mercato interno più grande, il partner più importante di 80 Paesi del mondo, la mèta turistica più popolare del pianeta; una comunità che da sola produce il 16,5 per cento del prodotto mondiale, seconda solo alla Cina. Da settant’anni vive in pace, condizione che, dopo la Pax Romana di due mila anni fa, mai si era verificata prima.
Ora siamo alla vigilia delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. In Italia si vota domenica 26 maggio. Sono elezioni cruciali: dal risultato dipende davvero il futuro di ogni Paese europeo. Possiamo avere più Europa, più politiche e istituzioni confederate, oppure vedere i nostri Paesi rinchiudersi nella difesa delle proprie particolarità. Perché, è vero, oggi una diffidenza sempre crescente tende ad offuscare i risultati ottenuti dall’Europa e l’indubbio benessere europeo. La diffidenza si nutre dello smarrimento di fronte ai cambiamenti epocali, quali la globalizzazione e le migrazioni; della rivalità tra i membri della comunità. La diffidenza è ben palpabile anche in Italia, dove da ferventi pro-europeisti, nel giro di una decina d’anni siamo diventati sempre più euroscettici. Ed ecco che l’Europa diventa “la matrigna”, e “Bruxelles” viene additata come “nemica”.
Si fa presto a scaricare le colpe dei ritardi e delle negligenze nella politica interna, in politica economica, per esempio, sulle spalle dell’”Europa che ci impone…”. Si fa presto a incolpare i “burocrati di Bruxelles” delle mancate riforme nella politica migratoria, per esempio, senza tener conto che è il Consiglio dei Ministri, formato da rappresentanti dei governi nazionali, a deciderne. Ognuno, poi, anche il più piccolo, col suo diritto di veto. Si fa presto ad additare la “cattiva Europa” per le politiche draconiane nell’agricoltura, citando, in mancanza di meglio, le misure “imposte” per le “zucchine del mare”… E si fa presto, invece, a dimenticare le politiche ambientali per una maggiore sostenibilità, la lotta contro il cambiamento climatico, quelle sì il fiore all’occhiello dell’Unione europea. Si fa presto ad accusare “l’Europa” di sprechi, quando il totale del bilancio UE (compresi i burocrati, politiche regionali, aiuti all’agricoltura ecc.) sono meno dell’1,05 per cento del Pil europeo. E quando gli “eurocrati” sono meno che i burocrati a Madrid, Parigi o Roma…
Oggi, la nostra Europa è il continente con il più alto tasso di democraticità e anche di istruzione, quello dove i diritti dell’uomo sono rispettati, quello dove viene data la voce alle minoranze. Tutto questo forma la nostra comunità. I diritti e la prosperità, la democrazia, il welfare state e la spinta alla sempre più vasta formazione delle giovani generazioni.
E’ questo, l’Europa. E lo è perché è, appunto, una comunità. Viviamo in Paesi diversi, ciascuno con la sua specificità, parliamo lingue diverse, ma siamo una comunità. Da soli, ciascun Paese per sé, non saremmo niente. Nessun Paese da solo potrà mai affrontare le sfide del mondo globalizzato, né reggere il confronto con le super potenze: non la forte Germania, non la Polonia sovranista, non l’Italia con il suo nazionalismo riscoperto.
Uniti possiamo essere competitivi e continuare a riaffermare il nostro patrimonio di diritti universali. Divisi finiremmo come gli Stati italiani del Rinascimento che, incapaci di mettersi insieme al momento della scoperta dell’America, ossia della prima globalizzazione della storia, furono cancellati dalla carta geografica del mondo. A nulla valse il fatto che fossero stati, fino a quel momento, i primi in tutti i campi. La divisione fu loro fatale.
Buona Festa dell’Europa!
Partito Democratico Orvieto