Domenica 17 Marzo 2019 (ore 11) l’UNITRE – Università delle Tre Età di Orvieto promuoverà la visita del Pozzo di San Patrizio, monumento identitario della città, tramite la guida d’eccezione dell’Architetto Raffaele Davanzo. L’ennesimo evento “Tesori dell’Urbe” è inserito nel nutrito cartellone approntato dall’Amministrazione Comunale per il St. Patrick’s Day 2019.
Il Pozzo della Rocca di Orvieto acquisì il nome di San Patrizio solo verso la seconda metà del ‘700. Il nome fu forse suggerito dai frati del vicino convento di S. Maria dei Servi, in analogia al Purgatorio di san Patrizio, una grotta in Irlanda in un’isola del lago di Derg: una vera anticamera dell’aldilà, dove il santo irlandese (sec. V) mostrava le pene della dannazione, e trascorrere laggiù un giorno e una notte avrebbe consentito la remissione dei peccati e l’accesso al Paradiso. I Servi di Maria si ispirarono all’iconografia di un affresco del 1346 nel loro convento in Todi: San Patrizio libera le anime dal Purgatorio, rappresentato come una caverna con una vera di pozzo in superficie.
Il Pozzo della Rocca nacque nel 1527, dopo il Sacco di Roma, dramma fatale che sancì la fine dell’identità italiana rinascimentale: fuggito ignominiosamente da Roma, dopo aver pagato anche un umiliante riscatto, Clemente VII si rifugiò nella inespugnabile Orvieto, e per assicurarsi buone riserve idriche nel malaugurato caso di un assedio, ordinò la realizzazione di alcune cisterne e di due pozzi. Il nostro pozzo fu progettato da Antonio da Sangallo il Giovane, che, per dirla col Vasari, creò una cosa ingegnosa di capriccio e meravigliosa bellezza.
Vera macchina architettonica, consta di due rampe a cordonata, a doppia elica, come due chiocciole l’una dentro l’altra, sempre indipendenti fra loro dall’ingresso fino al livello della falda acquifera dove si forma uno specchio d’acqua. Enormi furono le difficoltà esecutive a causa delle caratteristiche geologiche della rupe orvietana (tufo compatto in alto e pozzolana incoerente in basso): si dovette realizzare dal basso una muratura in mattoni fino al confine superiore dello strato geologico incoerente, per poi modellare il banco di tufo con le stesse modalità architettoniche. L’ingegno umano integrò ciò di cui la natura si era dimostrata avara per la difesa della città (Quod natura munimento inviderat, industria adiecit), afferma una iscrizione all’esterno del grande puteale che emerge in superficie.
La doppia elica è stata sempre un simbolo di intreccio di dualità, cioè del potere generativo di due opposti complementari, ma intimamente interconnessi, come ad esempio nel caduceo di Hermes, nel Taijitu (cioè la rappresentazione di Yin e Yang), e nella doppia elica del DNA.
Perché Leonardo? Per lui la spirale (nel piano), o meglio l’elica nello spazio è una delle codifiche costanti della Natura, come l’acqua è il suo tema preferito, il momento unificante, il germe di vita che scorre nelle vene della terra come nelle vene e nelle arterie degli animali e dell’uomo. Leonardo ha disegnato molte scale a elica, anche se la sua intenzione di partenza era quella di razionalizzare i percorsi in una struttura militare (e infatti un suo disegno per una lumacha doppia all’interno di un bastione rotondo è uguale allo schema del nostro pozzo): e così creò una tipologia ad infinitum, un nuovo principio architettonico emozionale.
Un altro spunto leonardesco nel Pozzo di san Patrizio consiste in questo: la costruzione della doppia elica orvietana è contemporanea a quella dello scalone centrale del Castello di Chambord, anch’esso a doppia elica, che tradizionalmente è stata sempre considerata l’ultima opera architettonica di Leonardo da Vinci. Ma in realtà Leonardo (che morì nel 1519, 500 anni fa) aveva progettato una scala a quadruplice rivoluzione, come è documentato da un importante disegno pubblicato dal Palladio nei suoi Quattro Libri dell’Architettura; dopo la morte di Leonardo ed il ritorno dalla prigionia spagnola del re Francesco I, i lavori ripresero nel 1527 semplificando il disegno leonardesco già impostato nell’impianto generale ma riducendo a due il numero delle rampe. Il legame tra le due realizzazioni contemporanee (una per il Cielo, l’altra per la Terra) sta forse negli architetti collaboratori di Leonardo e di Antonio da Sangallo: rispettivamente Domenico da Cortona e Giovanni Battista da Cortona.
Durante la visita sarà distribuito un piccolo dépliant nel quale saranno raccolte le immagini leonardesche a cui si farà riferimento nella narrazione. [suggeriti]