di Massimo Gnagnarini
Una foto alla comunità orvietana può farci capire dove andiamo e cosa dobbiamo fare. Ventimila anime in diminuzione così composte:
– 3000 in età scolare;
– 7000 pensionati;
– 10.000 attivi (2000 sono stranieri) la metà dei quali è titolare e collaboratore di impresa famigliare e un’altra metà circa sono dipendenti pubblici e privati (pendolari per lo più). Un migliaio sono i non occupati e altrettanti quelli che vivono di rendita.
La maggiore fonte di reddito per gli orvietani è il turismo che da solo apporta circa 60 Mln l’anno al PIL cittadino. Ma non tutte le imprese ne beneficiano poiché solo un terzo di esse è localizzata nel centro storico. Dunque bisogna intervenire anche su altri settori e potenziare i servizi ad essi correlati:
– Servizi alla manifattura con la riqualificazione dell’area industriale di Bardano attraverso interventi di bonifica, sistemazione di aree, qualità infrastrutture tecnologiche e logistica. Investimenti comunali e fondi UE.
– Servizi ai pendolari. Nuovo sistema integrato di mobilità extraurbana. Investimenti comunali e fondi UE.
– Integrazione del tessuto commerciale e artigianale territoriale con i flussi turistici del Centro storico.
Tuttavia bisogna essere realisti. Orvieto, da sola, non ce la potrebbe fare. Dobbiamo abbandonare l’idea radicata dell’autosufficienza ed aprire la città e i suoi tesori agli investitori esterni. L’alternativa sarebbe scivolare orgogliosamente, ma inesorabilmente verso il modello Civita.