L’immoralità del moralismo
di Pier Luigi LeoniQualcuno ha detto che le opinioni sono paralisi del pensiero. Credo che sia vero, ma possiamo fare in modo che esse siano paralisi intermittenti, come quelle di certe forme arteriosclerotiche non irrimediabili.
Il farmaco consiste nel non sentirsi incaricati del mondo e confrontarsi con gli altri per ridimensionare le nostre opinioni o per confermarle.
Qualche giorno fa Luciano Violante, nella pagine del Corriere della Sera, se la prendeva coi moralisti. L’ex magistrato e uomo politico scriveva: «C’è certamente un grande bisogno di moralità nella vita pubblica come anche nelle relazioni private. Ed è quindi corretto richiamarne l’urgenza. Ma la morale è una risorsa limitata. Quando se ne abusa degrada in immoralismo e giuridicismo.» Poi Violante citava Guido Calogero (maestro di filosofia teoretica del nostro Franco) per il quale la morale consiste nel dialogo con l’altro, e cade in contraddizione con se stessa quando è usata come strumento della lotta politica, scivolando così nell’uso immorale della legge morale.
Scriveva Violante: «La politica deve certamente avere un’etica, fondata sul rispetto dell’altro e sulla prevalenza dell’interesse generale sugli interessi particolari. Ma l’etica non ha nulla a che fare col sospetto generalizzato, l’insulto, il rifiuto della dignità dell’altro. In questo modo si sostituisce un integralismo settario a una visione onesta del Paese e del suo futuro. L’effetto di questa propensione è l’attribuzione del ruolo salvifico di guardiani della società alle Procure della Repubblica, al riconoscimento di un valore salvifico alla punizione… Per voi [moralisti] la società è sempre innocente mentre il rapporto con chiunque eserciti una funzione pubblica è fondato sul sospetto. Ma vi sfugge che in ogni corruzione, a fianco del soggetto pubblico corrotto c’è un privato cittadino corruttore, che di quella società civile fa pienamente parte… Ogni arresto, ogni comunicazione giudiziaria sono per voi motivo di conforto; il proscioglimento è una sconfitta… Il sospetto, frutto avvelenato di questo moralismo discriminatorio sta bloccando la pubblica amministrazione… Il moralismo conclamato che diventa immoralismo distruttivo rischia di sommergere il Paese.»Parole sante. Lungo tutta la mia vita lavorativa di funzionario pubblico sono stato insidiato da magistrati della Corte de Conti che capivano poco di contabilità pubblica e prendevano cantonate sulla base di malevoli articoli di giornale, e da magistrati penali che prendevano per buone anche assurde lettere anonime che, per legge, avevano l’obbligo di cestinare. Una carenza penosa di fiducia reciproca.
L’opinione di Barbabella
Viviamo, che lo si voglia o no, nel mondo delle opinioni. Ed è per questo che siamo alla costante ricerca di un mondo altro, un mondo iperuranio che ci renda esenti dalla fatica di confrontarci con ciò che cambia e che non ci dà le sicurezze che desideriamo. Dimenticando però che, se con l’aiuto di un folletto buono riuscissimo nel nostro intento, faremmo danno a noi stessi più di quanto non ce lo faccia il mondo delle opinioni giacché uccidendo la fatica di vivere uccideremmo la vita stessa.
Lo sapeva Socrate, l’inventore del dialogo all’epoca della democrazia ateniese come ricerca costante della verità nel confronto con gli altri. Lo sapeva Guido Calogero, che ripropose il dialogo come massima forma di moralità, ricerca del giusto e del vero, nell’epoca della mente oscurata dai miti e dai regimi autoritari del Novecento.
Esempi luminosi di teste ben fatte e di cuori aperti. Rari e perciò preziosi. E ad essi appunto ci ispiriamo nei momenti che ci sembra tendano più al buio che alla luce come è quello attuale. Mi fa piacere che Pier Luigi abbia centrato il suo elzeviro di questa settimana sul bel fondo di Luciano Violante improntato all’insegnamento di Guido Calogero, il grande filosofo alla cui scuola di liberaldemocrazia ci formammo anche noi ragazzi orvietani che nella seconda metà degli anni sessanta sposammo il sogno del progresso nel segno della giustizia e della libertà.
In chi ragiona con in testa quell’impostazione non può non apparire necessario impegnarsi oggi a fondo per estirpare la mala pianta del moralismo immorale, che intasa i pori del ragionamento, inaridisce i cuori, mina le relazioni umane e disintegra l’organizzazione sociale. Ne ho parlato anch’io ormai tante volte e ho citato a suo tempo come esempio di scempio della verità operato dal moralismo immorale di stampo grillino proprio il caso di Ilaria Capua.
Quel caso andrebbe trasformato in racconto emblematico, non solo di ciò che in un Paese civile non dovrebbe mai avvenire, ma anche come caso di studio per la domanda di fondo: quale società dobbiamo costruire perché casi come quello di Ilaria Capua non abbiano più a verificarsi? Sapendo tuttavia che una domanda analoga se la fece a suo tempo anche Platone rispetto alla condanna a morte del suo maestro Socrate, l’uomo più giusto, e se la fece Calogero rispetto alle tragedie dei regimi dittatoriali del Novecento.
Il che vuol dire sapere che una risposta definitiva non ci sarà, e che tuttavia, ciò nonostante, continueremo a cercare quella soluzione che ad una sapiente analisi sostenuta dal cuore orientato al terzo uomo (questa l’espressione con cui Calogero indicava l’altruismo autentico, perché va oltre il rapporto io-tu e considera anche l’assente) ci apparirà la migliore al fine della più alta forma possibile di civiltà. Perché sappiamo di vivere nel mondo umano, quello delle opinioni, che per definizione sono provvisorie e richiedono la fatica del confronto, sempre con esito incerto.
La pazzia di una società che si tiene separata dalla scuola e la lascia al suo destino
di Franco Raimondo Barbabella
Lo scorso 22 febbraio la stampa internazionale e i social media davano notizia dell’ultima trovata di Donald Trump: “Armare gli insegnanti”. Ricevendo una delegazione di studenti e genitori della scuola della Florida in cui il 14 febbraio è stata fatta l’ultima pazza strage (17 tra studenti e docenti), è uscito con affermazioni che ad esempio “Tecnica della scuola” riporta così: “Una zona senza armi, per un maniaco, è un invito a entrare e attaccare perché sono tutti codardi. Ma se ci fossero degli insegnanti capaci di usare le armi da fuoco, questi potrebbero mettere fine all’attacco molto velocemente”, ha affermato Trump, aggiungendo che questo “varrebbe solo per quei i professori che hanno frequentato un addestramento speciale”.
Difficile commentare queste parole, tanta e tale è non solo l’improntitudine quanto piuttosto l’oscenità della cultura che vi è sottesa. Possiamo anche dire barbarie, perché risolvere problemi di violenza in ambienti educativi contrapponendo armi ad armi che cos’è se non barbarie? Ma resta il fatto che restano fuori dall’orizzonte sia l’analisi delle cause che una reazione che cerchi di estirparle con una strategia credibile e coerente con la funzione della scuola.
Molti hanno reagito in modo deciso condannando appunto una simile oscenità. Ma altri hanno lasciato correre ed altri ancora hanno addirittura apprezzato. Infatti, la sera stessa o al massimo la sera dopo ho sentito che a “La zanzara”, la trasmissione di Radio24, il suo conduttore si dichiarava favorevole e lo faceva con il tono di chi non solo ne è personalmente convinto ma vorrebbe che ne fossero convinti anche gli ascoltatori. E ho pensato: ecco, abbiamo sdoganato anche questa pazzia! E allora a quando la prossima? Ormai sta diffondendosi l’idea che tutto sia normale: parole impronunciabili, oscenità di vario ordine e tipo, strilli, offese, litigi. Dissacrare e camparci sopra, fregandosene del clima sgangherato che si contribuisce a diffondere. Mi meraviglio che ancora non sia stata sdoganata ufficialmente roba come la bestemmia, fare i bisogni corporali e gli atti sessuali in luogo pubblico, ecc. “Embè, che vuoi che sia, è normale!”, mi aspetto che prima o poi si dica così.
Non c’è dunque da meravigliarsi se poi nelle scuole succeda sempre più spesso quello di cui ci danno conto le cronache quotidiane: comportamenti fuori dalle regole, anche quelle che si ritiene definiscano i confini di civiltà, aggressioni e offese ai docenti, litigi per motivi futili tra studenti, insomma clima che diventa sempre più invivibile e che dalle grandi città si sta spostando rapidamente in periferia e nelle zone interne.
E perché non dovrebbe essere così se con le parole e i comportamenti effettivi il mondo adulto comunica ai giovani e ai giovanissimi che si può dire tutto e si può liberamente offendere ogni sensibilità? Se il brutto diventa bello e viceversa. Se il ragionamento è negato perché noioso e se corrispettivamente la banalità è coltivata perché divertente e popolare. Se insomma ogni compito educativo è rigorosamente evitato dal sistema della comunicazione pubblica e se le famiglie evitano di occuparsene delegando tutto alla scuola. Se il mondo istituzionale lascia correre e si limita di fatto a condanne svogliate e solo formali?
Il giorno prima, il 21 febbraio avevo assistito all’avvio, proprio qui nella nostra città, di un corso di formazione per docenti promosso dalla rete del 5° Ambito territoriale dell’USR dell’Umbria, intitolato “La scuola competente” e dedicato all’approfondita trattazione del tema “Quali competenze e quale cultura per la scuola di oggi?”, con la partecipazione di relatori che hanno dedicato una vita alla ricerca pedagogica e didattica nel tentativo di allineare la scuola italiana, sia in teoria che in pratica, alle migliori esperienze internazionali, consolidate e documentate.
Ebbene, lì emergeva con assoluta lucidità il distacco tra ciò che si pensa e si fa nella scuola reale e ciò che la politica e la società fanno per conto loro ignorando ogni rapporto con il sistema scolastico e con il dovere di contribuire all’esistenza di un clima educativo da paese civile. Dunque, la scuola da una parte e la società con anche i suoi rappresentanti istituzionali e il dibattito pubblico, sia politico che non, dall’altra. Una differenza e una lontananza non certo volute dalla scuola. La quale ha certo i suoi limiti, i suoi ritardi e le sue colpe, anche di lungo periodo e in tutte le sue componenti. Ritardi e limiti che certo attendono di essere corretti, con decisione e rapidità, e che però sono destinati non solo a permanere ma addirittura ad aggravarsi se il clima generale continuerà ad avere le caratteristiche che ho detto. La speranza è l’ultima a morire, ma certo che per coltivarla ci vuole un gran fegato!
L’opinione di Leoni
Se hanno ragione coloro che pensano che i valori etici sono inculcati dall’ambiente dove si nasce e si vive, siamo fottuti.
Se hanno invece ragione coloro che pensano che tali valori sono insiti nella natura umana (i giuristi dicono lex natutalis in corde scripta, cioè legge naturale iscritta nella coscienza) e che possono essere solo appannati dall’ambiente sociale, allora possiamo sperare. La speranza è che le coscienze finiscano col ribellarsi al degrado del costume. Certamente il degrado non è generale e il deserto socio-culturale è pieno di oasi. Una, assediata e minacciata dall’aridità che avanza, è ancora la scuola. Forse da lì comincerà un nuovo corso della nostra società: dalla saggezza dei docenti e dalla freschezza dei discenti.
Tardani: “La rinnovata fiducia una responsabilità da condividere per rispondere alle aspettative della città”
ORVIETO –Venerdì 20 dicembre, nella Sala consiliare si è tenuto il consueto incontro tra la Giunta e i...