di Massimo Gnagnarini
La politica economica del Comune di Orvieto al pari di quella di tutti gli altri enti locali, non è molto dissimile da quella di un super condominio dove per migliorare non si possono applicare certe ricette Keynesiane basate sul debito poiché, come è noto, il comune non può stampare moneta per pagare i propri debiti e pertanto i soldi presi a prestito deve restituirli sottraendoli dalla provvista formata dai tributi pagati dai cittadini.
In passato ci pensava lo Stato a stampare moneta per pagare i debiti dei comuni accollandoseli periodicamente con una sorta di sanatoria a piè di lista i cui oneri finivano nel grande calderone del debito pubblico nazionale. Da un po’ di tempo a questa parte, specie dopo l’inserimento in Costituzione del principio del pareggio di bilancio, questa geniale soluzione è stata abbandonata. Chissà perchè. Ad ogni modo, oggi, funziona nel seguente modo: Il comune spende e si indebita per tanti euro quanto quelli che riesce ad incassare, non un centesimo di più.
Per questo motivo, quando la politica dice la sua deve indicare precisamente dove prendere i soldi per metterli dove . Purtroppo molti tra quelli che oggi dicono la loro a Orvieto non possiedono la più elementare cognizione di questo meccanismo e tra questi soprattutto i meno giovani perchè sono rimasti con la mente ancora fermi a quel meraviglioso modello degli ultimi decenni dove le politiche di bilancio, ancorchè improntate all’indebitamento insostenibile, comportavano pur qualche vantaggio apparente all’economia orvietana.
Si può infatti discutere della qualità e certo anche dell’opportunità in quegli anni di aver messo in moto decine di attività para imprenditoriali, dalla TeMA al CSCO, dal CRESCENDO alla finanza creativa con gli SWAP, di aver ampliato i cosiddetti servizi a domanda individuale trasformatisi sostanzialmente in gratuiti per l’utenza, dispiegato risorse verso mondi, compreso quello cooperativistico, dove spesso l’ esigenza da soddisfare era più quella dei cooperanti piuttosto che dei servizi esternalizzati nonostante la poderosa macchina comunale che all’epoca contava quasi il doppio del personale attualmente in servizio.
Tuttavia in un ipotetico saldo sociale, per lo stimolo arrecato all’economia locale e la plusvalenza che ne derivava nella stima del patrimonio pubblico e privato, la città appariva assai più ricca di quanto sicuramente non appaia oggi. Appariva per l’appunto perchè questo tipo di politica di bilancio, pseudo espansiva e vagamente keynesiana, per essere sostenibile senza trasformarsi in una pericolosa bolla finanziaria, aveva bisogno assoluto di un ritorno di investimenti privati capaci di ampliare la base impositiva sulla quale si riscuotono le entrate comunali in termini di incremento di tasse e tributi locali. Se ciò non avviene, come effettivamente non è avvenuto a Orvieto, il rischio è quello del crak finanziario dell’Ente come effettivamente è accaduto per Orvieto e che fortunatamente siamo riusciti a rimediare rapidamente e con successo in questi ultimi anni.