Salviamo l’Ospedale
di Pier Luigi Leoni
A Orvieto il “titolo” di “città” non glielo può levare nessuno perché se lo è abbondantemente guadagnato in tremila anni di storia. Ma, come ben sanno i nobili decaduti, una cosa è avere un titolo, altra cosa è avere un patrimonio e una funzione. E Orvieto la funzione di città la va perdendo fin da quando, nel 1860, fu aggregata all’Umbria. La perdita del distretto militare, la recente perdita del tribunale e la ventilata perdita della diocesi sono segni del declino.
Ma un altro fondamentale servizio è in pericolo e non può essere salvato senza una piena consapevolezza della popolazione e uno scatto d’orgoglio. Si tratta dell’Ospedale Civile Santa Maria della Stella. I pericoli che corre l’Ospedale cercai di sintetizzarli in un raccontino che pubblicai alcuni anni fa. In esso avanzai una ipotesi di specializzazione e valorizzazione che, ovviamente, non era farina del mio sacco, e che rimane valida tuttora. Altre ipotesi potrebbero essere considerate come, per esempio, il parto indolore e le cure palliative. Ma non credo che basti uno sforzo politico nei confronti della regione, ma credo che gli orvietani dovrebbero cominciare a mettersi le mani in tasca. Ne riparleremo.
UN’IDEA IN «SERBO»: SPECIALIZZARE L’OSPEDALE
“La gentile dottoressa è di nazionalità serba (ma lei tiene a specificare di essere cittadina della Vojvodina) preferisce che non sia faccia il suo nome, dato che riveste in patria un importante incarico istituzionale. Ha trascorso un paio settimane di vacanze in Orvieto, ospite di un noto medico conosciuto in un congresso internazionale, e si è lasciata coinvolgere nei problemi della sanità orvietana. Per incarico del COVIP (Centro Orvietano di Vita Politica Senatore Romolo Tiberi) ho l’onore di conversare con lei.
L’onore e il piacere, poiché la dottoressa non smentisce la celebre avvenenza delle donne serbe. Longilinea, ben proporzionata, con due occhi grigi come l’acciaio inox, il cui fascino le lenti a contatto non riescono a sminuire, dimostra vent’anni vista dietro e trenta vista davanti. Ne dichiara quaranta. Parla la nostra lingua con un’avversione tutta slava agli articoli, dimostrando quanto, tutto sommato, siano poco utili. Dopo i convenevoli, la dottoressa esordisce:
─ Mio ospite mi ha fatto vedere piano regionale sanità. Più di 400 pagine per regione così piccola. Poi mi ha spiegato difficoltà di vostro ospedale e non mi sono meravigliata. Troppo pochi abitanti in territorio di Orvieto. Ma confinate con Lazio e Toscana e siete al centro di nazione ricca. Fatevi venire qualche idea.
─ Ci aiuti lei.
─ Io conosco Italia e suoi problemi sanitari. Io ho idea che mio ospite medico condivide. Posso parlare?
─ Sono tutt’orecchi.
─ Che significa? Mi prende in giro?
─ Significa che l’ascolto con la massima attenzione, tenendo aperti gli orecchi, chiusa la bocca e socchiusi gli occhi, per non distrarla e non essere distratto.
─ Vostri grandi nemici sono pane, pasta e carne grassa. Obesità diffusissima in tutta Italia. Quindi sono diffuse anche malattie connesse a obesità, che riguardano: sistema endocrino, metabolismo, apparato respiratorio, apparato cardiovascolare, apparato digerente, apparato locomotore e cute. Obesità comporta anche complicanze chirurgiche e psicologiche.
─ Mamma mia!
─ Aveva promesso di tacere. Ebbene, questa può essere manna per vostro ospedale. Se esso si specializza in chirurgia per obesi sia specifica che aspecifica. Ovviamente ospedale dovrebbe attrezzarsi anche per prevenzione e cura di obesità e malattie connesse. Servono pochi investimenti in arredi, attrezzature e formazione di personale.
─ E gli altri utenti?
─ Cura obesità e malattie connesse è perfettamente compatibile con altre prestazioni. Anzi, tutti reparti sono stimolati, potenziati e valorizzati da partecipazione a sistema virtuoso.
─ Ma lei conosce i chiari di luna del bilancio regionale della sanità?
─ Non so che significa «chiari di luna». Ma se intende problemi finanziari, consideri che ospedale specializzato attira utenti da mezza Italia e quindi soldi per bilancio distrettuale e regionale.
─ La ringrazio e non mancherò di riferire agli addetti ai lavori e all’opinione pubblica. Ma avremmo bisogno di una persona come lei.
─ Serbia ha bisogno di me.
Poi la dottoressa scavalla accortamente le gambe e si alza in piedi per congedarmi. Superata una breve emozione, comincio a riflettere.”
L’opinione di Barbabella
Il racconto di Pier Luigi a suo tempo mi piacque, ma forse obiettai anche allora la stessa cosa che mi viene da dire a maggior ragione anche oggi. L’idea di rilanciare e di ampliare il ruolo del nostro ospedale con l’inserimento di specializzazioni è ottima. Va bene questa che propone Pier Luigi con la finzione dei suggerimenti della dottoressa serba, e possono andar bene anche le altre che ora dice e che magari svilupperà in seguito.
Ma il problema è innanzitutto quello che viene accentato all’inizio: la perdita di ruolo della città. A suo tempo se ne andò il Distretto, poi progressivamente se ne sono andati la ASL e il Tribunale, tra non molto forse se ne andrà anche la Diocesi. Insomma, si stanno allontanando per essere collocate altrove non funzioni qualsiasi, ma le funzioni che fanno di una città il luogo in cui si esercitano le funzioni territoriali. La verità è che Orvieto non ha ormai da tempo una politica territoriale. Perciò è questa che deve diventare oggi l’obiettivo prioritario.
Non è impossibile: Orvieto ne ha tutte le possibilità. A patto che si elaborino non più piccole proposte di circostanza o di emergenza e su di esse si ingaggi la consueta lotta furibonda tra fazioni, ma ci si decida finalmente ad essere all’altezza sia della nostra storia sia dei doveri nei confronti dei cittadini e in particolare dei giovani, che hanno tutto il diritto di coltivare qui le loro speranze. Un’idea ti territorio interregionale cui fare riferimento con serie politiche di valorizzazione e sviluppo, una progettualità di alto profilo che coinvolga le altre istanze istituzionali su impegni strategici e non occasionali, proposte che indichino agli investitori privati opportunità concorrenziali. Pena l’irrilevanza. E molto peggio di oggi.
Solo all’interno di un quadro di questo tipo, ne sono ormai più che convinto, può trovare spazio anche il rilancio della funzione del nostro ospedale. Il problema è vedere se ne sono convinti coloro che svolgono la funzione di classe dirigente e se lo sono i cittadini stessi, ai quali spetta più che un compito di lamento un compito di spinta decisiva.
Il socratismo del Novecento un esempio anche per noi
di Franco Raimondo Barbabella
Hannah Arendt, nel tentativo di capire le origini profonde del nazismo e dell’olocausto, affermò che la catastrofe totalitaria del Novecento ci mette di fronte al fallimento della tradizione platonica, quella che accantona la capacità di pensare (il pensiero critico socratico) a favore della contemplazione di verità assolute che non richiedono l’azione e la responsabilità di ciascuno.
Potremmo aggiungere che, seppure su un altro piano ma con una forza dimostrativa non certo di minore impatto, anche la vicenda del comunismo, con i suoi tragici esiti, dimostra il fallimento di quella tradizione: a cento anni dall’ottobre russo, in nessuna parte del mondo in cui se ne è tentata l’imitazione si è stati capaci di andare oltre forme più o meno gravi di oppressione. La contemplazione delle verità assolute non lascia spazio alla libertà e alla giustizia.
Ad essa la stessa Arendt contrapponeva la filosofia di Socrate, il dialogo, da riscoprire per porre a fondamento di una nuova cultura individuale capace di contrastare ogni forma di autoritarismo e di impedire il rinascere dei totalitarismi. Su questo piano si incontrano gli sforzi di analisi e di proposta di altri importanti filosofi della temperie novecentesca, che ancorano la possibilità di salvezza alla riscoperta di Socrate: da Guido Calogero a Michel Foucault e a Jan Patočka. Per tutti costoro al centro c’è l’individuo, la sua educazione, la sua struttura morale, il suo coraggio. Tutte qualità che si esprimono nella forza morale del dialogo che diventa anche proposta politica poiché rinvia necessariamente all’idea di una società pluralista e giusta.
Nessuno di loro si affida più a soggetti collettivi, ma tutti indicano nell’esempio individuale di verità e di lealtà la strategia di salvezza sociale. In uno dei suoi ultimi scritti, L’uomo spirituale e l’intellettuale, Jan Patočka scrive: “L’uomo spirituale è colui che, in qualunque circostanza, si trova in cammino. Egli è consapevole che non bisogna perdere di vista l’esperienza negativa, a differenza di quanto fa l’uomo ordinario che cerca di dimenticarsene, passandoci sopra istintivamente. … L’uomo spirituale segue invece il cammino opposto: egli si espone realmente a questa problematicità; la sua vita consiste nel fatto di essere una vita allo scoperto”.
Credo che oggi, in un mondo così pieno di incognite, sarebbe quanto mai necessario e utile rileggere questi pensieri e porli a fondamento di una rinascita dello spirito democratico che appare, se non compromesso, certamente piuttosto sfibrato.
Le considerazioni di Franco sono eleganti e non fanno una piega. Invitano a riflettere e forniscono una motivazione per il perfezionamento individuale e per l’atteggiamento nei confronti della politica. Sono pure convinto che la filosofia incida nelle vicende umane molto più di quanto comunemente si creda.
Ma non sono convinto che l’umanità possa essere salvata dalla filosofia, perché l’umanità vuole solo essere distratta dalla disperazione di fronte all’oceano della sofferenza e della morte. E non bada ai mezzi di distrazione: dalle canzonette ai pensieri di filosofi. Tutte gocce destinate a luccicare per un po’ e a perdersi in quell’oceano, seguíte da nuove gocce. Gocce, sempre gocce.