Ma che bello fare la storia con i “se”!
di Franco Raimondo Barbabella
Com’è noto, si dice sempre che la storia non si fa con i “se”. Eppure, in occasione del centenario della Rivoluzione d’Ottobre (25 ottobre 1917, ma 7 novembre secondo il calendario giuliano), la Domenica de Il Sole 24 Ore ha proposto proprio di giocare a fare la storia con i “se”, invitando i lettori a riscriverla immaginando che cosa sarebbe successo senza la Rivoluzione russa del ’17. Devo dire che l’idea è di quelle che stuzzicano l’intelletto, e come vedremo tra poco non è nemmeno così in contrasto con il modo canonico del fare storia. Vediamo allora succintamente di che cosa si tratta e dove si potrebbe andare a parare.
Intanto un breve articolo in prima pagina del filosofo americano Michael Walzer stimola il lettore alla riflessione con un giudizio complessivo su quell’evento piuttosto forte. Quella rivoluzione, dice Walzer, è stata un vero disastro. Per il popolo russo: perché si è tradotta in una feroce dittatura. Per l’Europa: perché il partito comunista tedesco a seguito di essa adottò la politica del “tanto peggio tanto meglio” e su questa base combattè come nemico principale i socialdemocratici e contribuì in tal modo a portare i nazisti al potere. Per la sinistra in generale: perché divise la sinistra e indebolì la socialdemocrazia, spingendo poi molti a difendere la repressione e il terrore in atto in URSS e ottenendo così quel risultato che Albert Camus ha definito l’evento centrale del Ventesimo secolo, ossia “L’abbandono dei valori della libertà da parte dei movimenti rivoluzionari” e la loro trasformazione in operazioni di pura presa del potere. Questo è quanto è successo. Ma, conclude Walzer, “come sarebbero state la Russia, l’Europa e la sinistra oggi se i Menscevichi (i socialdemocratici russi) avessero vinto?”.
Già, come sarebbe oggi il mondo se in quel 25 ottobre di cento anni fa i Bolscevichi guidati da Lenin avessero ceduto il passo ai Menscevichi e non fossero riusciti a fare il colpo di stato che fece crollare il regime zarista? Bella domanda, ma anche sensata e legittima? Si, assolutamente corretta, risponde sempre sulla prima pagina del giornale citato uno degli storici di professione più noti e stimati, Emilio Gentile. Che infatti dice: “Uno storico serio non può evitare di pensare quale sarebbe stato il corso della storia se un fatto non fosse accaduto”. E ancora: “L’uso del ‘se’ … è un necessario esercizio della razionalità critica nella interpretazione della storia”.
E dunque lo storico potrebbe, per capire meglio il corso effettuale degli eventi, chiedersi legittimamente che cosa sarebbe accaduto se Lenin non fosse riuscito a tornare a Pietrogrado il 3 aprile 1917 per dare inizio, con la sua rivoluzione, ad un fenomeno politico planetario che ha cambiato irreversibilmente allora il corso degli eventi ed ha condizionato la vita delle future generazioni, da allora ad oggi. Allora, che cosa sarebbe accaduto? Beh, ad esempio si può pensare che nei paesi dell’Europa occidentale il socialismo marxista avrebbe seguito l’impronta riformista e socialdemocratica, che la sinistra negli anni venti non si sarebbe lacerata e divisa e avrebbe così potuto contrastare l’ascesa dei fascismi e del nazismo, che dunque non ci sarebbe stata la seconda guerra mondiale e che la decolonizzazione sarebbe potuta avvenire senza i drammi che sappiamo. Eccetera eccetera.
Dice Michael Walzer che “a volte è bello sognare”. Certo, si tratta in fondo non di fare la storia ma di fare la non-storia, che però ci fa capire come la storia la fanno gli uomini in carne ed ossa, con le loro idee e le loro valutazioni del momento, con le loro passioni e le loro illusioni. E chi in certe circostanze decide, decide anche per conto di altri e ne condiziona l’esistenza. Ammettiamo che a Livorno nel ’21 non avessero vinto i comunisti. La sinistra avrebbe avuto la forza di contrastare l’ascesa della destra fascista? Forse si. E allora niente regime e niente guerra a fianco della Germania nazista, per cui anche niente Resistenza, niente “vulgata antifascista”, niente carriere politiche costruite sullo scontro fascismo-antifascismo e successive analoghe applicazioni.
Concludo per alleggerire con due battute un po’ nostrane. Nelle condizioni descritte applicando il ‘se’ alla storia reale, qui da noi ci sarebbe stato nel dopoguerra il dominio comunista e la difficoltà di liberarsene? Ci sarebbe stata insieme la lotta e la spartizione dei ruoli con la democrazia cristiana e i socialisti? E che lavoro avrebbero fatto i funzionari di partito che invece hanno rivestito vantaggiose cariche istituzionali? E Pier Luigi Leoni avrebbe avuto modo di scrivere “Orvieto Kaput”? Domande, domande, domande. Niente altro, ovviamente. Perché ciò che è stato è stato. Ma che almeno si sappia che ciò che è stato è firmato, nel bene e nel male.
L’opinione di Leoni
È divertente questa costruzione di un immaginario mondo parallelo basato sul “se”. Ma si tratta di letteratura e non di storia. Certo, quel che è stato è stato e porta la firma di qualcuno; anche se gli storici non smetteranno mai di cercare ciò che veramente è stato e chi effettivamente ne porta la responsabilità.
Cicerone (De Oratore) fissò una regola aurea per gli storici: «Non scrivere niente di falso e non tacere niente di vero». Ma non è facile discernere il vero dal falso in base alle fonti di cui dispone lo storico, sia perché esse possono essere carenti o inquinate, sia perché la stessa mente dello storico ha i suoi limiti ed è soggetta a condizionamenti di vario genere.
Per questo anche la storiografia scientifica è un genere letterario, tanto più avvincente quando più riesce a soddisfare i nostri gusti. In ogni modo cerchiamo nella storia, coi suoi splendori e i suoi orrori, spunti per migliorare il mondo che, così come lo ha fatto la storia, non ci piace. ʿUmar Khayyām, poeta arabo del XII secolo, scrisse: «Se ci fosse dato accordarci col Grande Fattore, / ridurremmo questo mondo in cocci / per farne un altro certamente migliore.»
Vale a dire che, se il Grande Fattore ce lo permettesse, faremmo un mondo nuovo più piacevole di come l’ha fatto Lui. Ma, poiché il Grande Fattore non lo permette, cerchiamo nella storia gli spunti per fare la nostra storia e, se è vero che la storia passata non si fa coi “se”, la storia che andiamo facendo è piena di “se” e di “ma”.
L’antipatia per Gesù Cristo
di Pier Luigi Leoni
Il cristiano, per trovare la serenità tra le pressioni contrarie degli esaltatori e dei detrattori della Chiesa, ha bisogno di una buona dose di santità. Gli uni e gli altri esagerano; ma poiché, come dicono gli Spagnoli, “exagerar no es mentir”, bisogna essere molto serafici per non lasciarsene influenzare. Il fascino di San Francesco d’Assisi consiste proprio nella sua capacità di aderire perfettamente al messaggio di Cristo chinandosi sulle piaghe della Chiesa e del mondo per curarle con amore.
Ma oggi, in tempi di ampia secolarizzazione, mentre ci si potrebbe aspettare una diffusa indifferenza nei confronti della Chiesa, spuntano fenomeni che sanno di vera e propria antipatia per Gesù Cristo. Pierluigi Battista segnala sul Corriere della Sera che, in Inghilterra, le autorità scolastiche del Sussex stanno decidendo di sostituire la sigla BC (Before Christ = avanti Cristo) con la sigla BCE, che significa “Prima dell’Era Comune”, impiegando la locuzione Era Comune per il Dopo Cristo.
Dicono di farlo per rispetto degli alunni delle altre religioni. Ma ci vuole un bel po’ d’ingenuità per credere che alle autorità scolastiche del Sussex importi qualcosa della sensibilità religiosa dei mussulmani o degli ebrei. Ad essi urta Gesù Cristo. Così come a coloro che in Italia vogliono togliere i crocefissi dalle scuole e proibire la celebrazione del Natale e l’allestimento del presepe. Chi si meraviglia di questa ostilità a Cristo, tipica degli atei, agnostici e materialisti dell’Occidente, deve tener conto che Cristo ha detto: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto.» Queste parole, così come tante altre che sono state ascoltate e messe per iscritto dai seguaci di Cristo, spesso senza comprenderne bene il significato, pesano come macigni. I materialisti non possono non esserne infastiditi, anche perché sono duemila anni che i cristiani le annunciano in tutto il mondo e nessuno è riuscito finora a cancellarle e a farle dimenticare. Ci riusciranno le autorità scolastiche del Sussex? Ne dubito.
L’opinione di Barbabella
Incuriosito da questa notizia, ho cercato di capire un po’ meglio. Mi sono fatto perciò la convinzione che si tratti di una di quelle lotte tipiche di questi tempi insensati, senza veri principi e di conseguenza senza veri impegnativi significati. Mi spiego meglio. Io ho ben presente l’importanza dei simboli e ricordo le lotte drammatiche intorno ad essi, ad esempio la distruzione delle immagini sacre (iconoclastia) nell’VIII secolo e poi le azioni di certi gruppi estremisti all’epoca della riforma protestante.
Ma le lotte italiane intorno al crocifisso nelle aule scolastiche e le lotte inglesi intorno al cambiamento della sigla BC con BCE francamente mi sembrano qualcosa di manco lontanamente paragonabile con quelle che ho appena menzionato, semplicemente perché non ne hanno la dignità. Si tratta di fisse di gente intellettualmente povera, come lo sono tutte o quasi le manifestazioni del politicamente corretto.
Senza offesa e senza voler fare paragoni impropri, in fondo questa decisione di alcune scuole del Sussex di cambiare le diciture del calendario gregoriano sono come la decisione di alcuni personaggi e ambienti politici nostrani di declinare al femminile parole che designano cariche istituzionali e professionali (sindaca, professora, avvocata, ecc.). Dunque non credo nemmeno che si tratti di antipatia o odio per la figura di Gesù Cristo. A me pare che sia cosa molto ma molto più banale, cosa molto ma molto meno pensata.
D’altronde leggo dichiarazioni sagge di esponenti ebrei ed islamici che tolgono appunto ogni senso di scontro religioso alla questione e la riducono di fatto alla robetta che fa il paio con tante altre robette dei nostri tristissimi tempi segnati dalla più esponenziale superficialità. Tra questi, oltre alle declinazioni al femminile, è anche il caso di citare la lotta degli animalisti contro le presunte torture che gli orvietani infliggono alla Palombella, certamente – immagino – inconsapevoli della densità simbolica dell’evento.
Ecco dunque le dichiarazioni che dicevo di esponenti ebrei e mussulmani. Il portavoce degli ebrei britannici: «Non penso che a qualcuno interessi se le scuole usano le diciture “avanti Cristo” e “anno domini”». Lo stesso concetto espresso dall’imam Ibrahim Mogra: «Non credo che costituisca un’offesa nei confronti dei musulmani». Ma c’è anche di più. Il regno ultraconservatore islamico dell’Arabia Saudita, che com’è noto ospita due dei tre luoghi santi dei musulmani, La Mecca e Medina, ha deciso lo scorso anno che a partire dal primo ottobre il calendario gregoriano sarebbe stato utilizzato in tutti gli uffici pubblici, mandando in soffitta quello islamico. Insomma, di che cosa stiamo parlando? Il politicamente corretto, che sia inglese o sia italiano, sempre quella cosa è.