Le stelle e le stalle in Vaticano
di Franco Raimondo Barbabella
Papa Bergoglio ci ha abituati ad ascoltare parole coraggiose sui più diversi temi, evidentemente quelli che richiedono a suo giudizio l’attenzione del pastore per indicare ad un’umanità disorientata una prospettiva di speranza. Le ultime che mi hanno colpito sono quelle pronunciate pochi giorni fa nella Cappella paolina del Palazzo apostolico in occasione del 25esimo anniversario della sua ordinazione episcopale.
Ha detto: «Qualcuno che non ci vuole bene dice di noi che siamo la gerontocrazia della Chiesa… è una beffa»; «Siamo nonni chiamati a sognare … questo è quello che il Signore oggi chiede a noi, di essere nonni, di avere la vitalità di dare ai giovani la nostra esperienza, che i giovani aspettano, i nostri sogni positivi, per portare avanti la profezia». E ricorda i tre imperativi che, secondo le Scritture, il Signore consegna all’anziano Abramo: «alzati, guarda, spera».
Tre imperativi dal significato straordinario. “Alzati”: cammina, non stare fermo, sposta la tua tenda, compirai la tua missione solo camminando. “Guarda”: apri gli occhi, alza il tuo sguardo, scruta l’orizzonte, non interporre muri e il tuo orizzonte sarà sempre visibile e diventerà più ampio man mano che cammini. “Spera”: solo se sei capace di speranza a dispetto di tutto ciò che la ostacola, potrai proseguire il tuo cammino verso l’orizzonte della tua missione.
Gli anziani, i nonni, hanno la loro missione: quella di sognare e di consegnare ai giovani, insieme al sogno, la capacità di sognare. Un messaggio forte, un’altra rottura di tabù, questa volta il tabù che vede nell’anziano chi si deve mettere da parte perché non ha più niente da dire e che, anzi, è un ostacolo per l’avvenire dei giovani. Un rovesciamento: il compito del futuro spetta agli anziani e ai giovani, alleati per un comune destino che li trascende.
A fronte di questa straordinaria forza positiva dei messaggi incalzanti di Papa Francesco, che sono tali anche quando discutibili, colpiscono in direzione opposta le notizie che indicano in una parte nient’affatto irrilevante del personale ecclesiastico, anche di altissimo livello di responsabilità, veri e gravi fenomeni di corruzione e perversione. Ultima quella riguardante l’accusa di pedofilia al cardinale George Pell per fatti degli anni settanta quando era sacerdote, preceduta da quella delle dimissioni di Marie Collins dalla Commissione antipedofilia.
Il cardinale Pell si dichiara innocente e dunque vale per lui quello che dovrebbe sempre valere per tutti: l’augurio che riesca a dimostrare la sua innocenza e che ne possa uscire indenne. Resta tuttavia l’ampiezza del fenomeno pedofilia nel modo ecclesiastico e la sua gravità, come testimonia la miriade di denunce che nel tempo sono cresciute a dismisura. Dopo le dimissioni della signora Collins, lo ha ammesso lo stesso Hans Zoellner, presidente della Commissione antipedofilia, che ha chiesto più risorse e personale adeguatamente preparato per esaminare le numerose segnalazioni che arrivano da tutto il mondo (5/6 al giorno, ha detto) e dare risposte convincenti.
C’è dunque qualcosa che non va, qualcosa di molto serio. Credo che si debba parlare di un problema che riguarda la selezione del personale ecclesiastico, la sua formazione e i meccanismi di valutazione e controllo. Si dirà che anche la Chiesa è fatta di uomini e che i difetti degli uomini necessariamente si riscontrano anche tra i preti e i vescovi. Credo però che questa sia una spiegazione troppo debole e di comodo. Di fatto sarebbe una resa a qualcosa che si rinuncia ad affrontare o che si ritiene disdicevole affrontare sul serio.
Quando i fenomeni durano nel tempo e si allargano, significa che non ci si è posto rimedio a tempo debito. E questa è una colpa grave, la stessa che riguarda altre organizzazioni in molti altri ambiti. Se i difetti degli uomini in una certa misura sono inevitabili, lasciarli crescere è un difetto ancora maggiore. Perché è sempre triste dover constatare la presenza delle stalle dove dovrebbero esserci solo le stelle.
L’opinione di Leoni
L‘insegnamento del Papa sul ruolo degli anziani non fa una piega, ma va messo in relazione e armonizzato con l’altra presa di posizione pontificia in un recente incontro coi delegati della CISL: «È una società stolta e miope quella che costringe gli anziani a lavorare troppo a lungo e obbliga una intera generazione di giovani a non lavorare quando dovrebbero farlo per loro e per tutti… Perché quando i giovani sono fuori dal mondo del lavoro, alle imprese mancano energia, entusiasmo, innovazione, gioia di vivere, che sono preziosi beni comuni che rendono migliore la vita economica e la pubblica felicità… È allora urgente un nuovo patto sociale per il lavoro che riduca le ore di lavoro di chi è nell’ultima stagione lavorativa, per creare lavoro per i giovani che hanno il diritto-dovere di lavorare».
Papa Francesco parla evidentemente del lavoro dipendente, nell’ambio del quale i sindacati (e per questo anche il Papa li rimprovera) si sono appiattiti sugli interessi degli occupati, i cui egoismi hanno trovato sponda negli egoismi dei datori di lavoro. Certo, così il Papa fa politica, ma nel senso che adempie senza mezze parole al proprio dovere di ricordare ai sindacalisti cattolici come si fa politica sindacale non dimenticando il Vangelo.
Per quanto riguarda la vicenda giudiziaria del cardinale Pell, aspettiamo come va a finire. Ma, in linea generale, bisogna prendere atto che gli uomini di chiesa portano dentro la Chiesa le loro inclinazioni sessuali, compresa l’omosessualità, e le loro perversioni, compresa la pedofilia. Credo che la Chiesa abbia compreso che coprire gli scandali è soluzione peggiore che affidarsi alla giustizia civile che, anche con le sue imperfezioni, costituisce un forte deterrente.
Per una meno angosciante visione della cose, va tenuto presente che spesso si confonde la pedofilia, che è una perversione da combattere anche con mezzi clinici, dalla omosessualità, che è una inclinazione alla quale chi, maschio o femmina, si consacra alla vita clericale, deve rinunciare.
Aiutiamo e incoraggiamo la Chiesa a non dimenticare il Vangelo: «È infatti inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale lo scandalo avviene (Necesse est enim ut veniant scandala, verumtamen vae homini per quem scandalum venit)» [Matteo 18.7]
Rimedi all’immigrazione: cose di ordinaria follia
di Pier Luigi Leoni
Siamo tanto abituati a convivere con la follia che, se non ci concentriamo un po’, non ce ne rendiamo conto. Ma ogni tanto qualcuno esagera e ci costringe a inchinarci davanti all’“Elogio della Follia” del mai troppo encomiato Erasmo da Rotterdam. Non bastava che tre illustri economisti, come Salvini, Grillo e Meloni, ci avessero rotto i timpani insultando l’unione Europea e l’Euro. Non bastava che il vecchietto Berlusconi uscisse dal letargo per inventarsi la doppia moneta. Eppure non era proprio in fasce quando i liberatori americani, a cominciare dal 1942, impestarono l’Italia con le am-lire ancorate al dollaro e provocarono lo sfascio della lira italiana che continuava a circolare.
Adesso il compagno Minniti alza la voce e minaccia di non far sbarcare i poveretti raccolti in mare da navi che non battono bandiera Italiana. A chi vuole fare paura, all’Europa? Ai migranti? Agli scafisti? E se nessuno si spaventa, come è nell’ordine delle cose, che fa? Lascia affogare decine di migliaia di esseri umani, compresi bambini e donne incinte? Rialzano la cresta i possessori di ricette fasulle: quelli che vogliono foraggiare l’Africa sub-sahariana perché possa dare lavoro in patria a chi fa di tutto per scappare; quelli che vogliono stipulare accordi per i rimpatri con governanti africani che non vogliono fare accordi, a meno che non gli molli miliardi di euro per il loro personale arricchimento; quelli che vogliono fare la guerra, come se l’Italia potesse farla da sola e come se le mamme italiane fossero disposte a tollerare che le signorine e i giovanotti inquadrati nell’esercito professionale andassero a farsi massacrare nell’inferno libico.
Ricette risolutive in tempi brevi non ce ne sono. Non s’è mai visto al mondo che popoli ricchi e viziati dal benessere come quelli europei possano resistere alla pressione di grandi popoli affamati. Purtroppo dovremo attraversare un nuovo medioevo per avere un nuovo rinascimento. Per fortuna non ci vorranno secoli, perché adesso la storia marcia veloce, ma qualche anno di convivenza coi nuovi barbari e di paziente acculturazione non ce lo leva nessuno.
L’opinione di Barbabella
Analisi impietosa ma vera. Solo i professionisti dell’inganno possono esibire spudorate ricette risolutive di un problema così grande, complesso e di così vaste implicazioni. Però è anche onesto dire che quello dello spostamento di masse umane dal sud al nord del mondo è un problema sottovalutato a lungo, e diventato via via gigantesco proprio perché trascurato. Così sono anche esplose tutte le contraddizioni delle società sviluppate, dagli USA all’Europa: la debolezza dei governi nazionali e delle istituzioni internazionali, gli egoismi interni ed esterni, gli interessi poco limpidi di una miriade di soggetti.
Ma il problema c’è, la situazione rischia di sfuggire di mano, e ci si aspetta perciò che una qualche strategia risolutiva, seppure in tempi non proprio brevissimi, alla fine dovrà pur emergere ed essere anche capace di orientare i comportamenti delle diverse opinioni pubbliche. Altrimenti non basterà il razzismo, ci sarà la rivolta sociale. Io trovo che su questioni di questo tipo la divisione tra buoni e cattivi, accoglienti e respingenti, sia nella sostanza ridicola. E chi cede alla tentazione di una facile demagogia è semplicemente da commiserare.
Il problema c’è: non si possono accogliere (ripeto, accogliere) masse sterminate senza controllo; non può passare come normale che navi che battono bandiera di altri paesi raccolgano naufraghi e li portino solo nei porti italiani; non si può nemmeno ritenere logico che un’intera flottiglia aspetti i migranti al limite delle acque territoriali libiche, li imbarchi e poi li scarichi nei porti del sud; non si può pensare di andare avanti senza tener conto del fallimento dei modelli di integrazione già sperimentati; non è vero che Macron è solo l’espressione dell’egoismo francese, perché è vero che l’80% dei migranti africani sono migranti economici, che dovranno essere salvati dal naufragio ma non accolti e integrati. Come si vede, siamo di fronte a compiti colossali.
Si sta squagliando sotto i nostri occhi un intero mondo, e uno nuovo che ci possa piacere non è all’orizzonte né sappiamo cos’è. L’unica cosa certa è che la pura difesa, la costruzione di muri, materiali e mentali, è perdente e rasenta il ridicolo. I processi vanno governati. Il mondo di oggi più che nel passato, richiede visione e progetto, ad ogni livello, e soprattutto la capacità di mettersi in discussione e di riorganizzarsi. Occorrerà un grande sforzo collettivo. Nessuno potrà sottrarsi a questa sfida.