Una tregua scontata tra il PD e il sindaco di Orvieto
di Pier Luigi Leoni
Dopo tre anni di inquietudine, si è giunti a una tregua tra il Partito Democratico e il sindaco Giuseppe Germani. La tregua si basa sulla rinuncia, da parte del PD, alla lamentazione per la mancanza di assessori nella giunta, e all’accettazione, da parte di Germani, di un atto di indirizzo politico articolato in cinque punti. La giustificazione ufficiale dell’operazione, che stende un velo pietoso sul passato e prospetta un radioso avvenire, è l’uscita dalla fase di riequilibrio del bilancio, il cosiddetto predissesto.
Come dire, da parte del PD: caro sindaco, chiudiamo un occhio sul passato, ingoiamo il rospo della composizione della giunta secondo il tuo arbitrio, ma adesso la linea te la detta il tuo partito in conformità alla linea del partito stesso a livello regionale, come sarà consacrato da un protocollo d’intesa con la Regione Umbria.
I cinque punti sono una collezione di ovvietà, come del resto è normale quando si è costretti a lisciare il popolo interpretandone le speranze: potenziamento dei servizi sanitari e socio-sanitari premendo sulla regione e sull’ USL per l’impiego a tale scopo del ricavato sperato dalla vendita dell’ex ospedale e per l’incremento del personale; investimenti nel ciclo dei rifiuti salvaguardi dei relativi posti di lavoro riducendo drasticamente il ricorso alla discarica; maggiore attenzione al turismo mediante l’impegno nelle collaborazioni inter-istituzionali e miglioramento dell’accoglienza nei suoi vari aspetti, compresa la prospettiva della utilizzazione alberghiera dell’ex ospedale; pressione su Trenitalia per le fermate a Orvieto di treni ad alta velocità; pressione per l’apertura del primo stralcio della complanare e per il finanziamento regionale del secondo stralcio; riforma della gestione dei servizi culturali comunali salvando capra e cavoli, cioè le attribuzioni dell’amministrazione comunale e i posti di lavoro.
Viene posta una pietra tombale sulla prospettiva di utilizzare il vecchio ospedale per servizi socio-assistenziali d’avanguardia; ma anche questa è una scelta ovvia, data l’insensibilità dell’opinione pubblica orvietana a tale prospettiva. Insomma Germani ha lasciato scrivere al PD il compitino che avrebbe potuto scrivere da solo o far scrivere agli alunni delle scuole elementari indicendo un premio per la migliore lettera degli auguri di Pasqua al sindaco.
L’opinione di Barbabella
Si potrebbe dire meglio tardi che mai, perché il lungo stallo determinato da questo contrasto ha prodotto danni che magari in parte potranno essere recuperati e che però ci sono e si aggiungono ai ritardi nell’obbligo di mettere al passo la città con i cambiamenti strutturali di contesto che ormai sono evidenti e troppo vasti e veloci perché ci si possa concedere il lusso di tirare a campare.
Si potrebbe dire così, quasi a tirare un sospiro di sollievo, se però si fosse convinti che ora le cose si incammineranno finalmente sulla strada giusta. Ma i dubbi restano, perché anzitutto resta una domanda di fondo: quale è questa strada? La verità è che ad oggi è difficile capire dove si vuole andare, non si sa se esiste e quale sia l’idea progettuale generale che si vuole perseguire. B
astano i cinque punti dell’atto condizionale del PD per delineare non dico una strategia all’altezza del compito ma qualcosa che comunque assomigli ad una strategia? Sinceramente, mi pare di no. E quelle dei cinque punti non sono nemmeno cose ovvie, anzi non ce n’è una che non sia discutibile, almeno fino a che non ne saranno specificati i significati e i contenuti e dimostrata l’effettiva realizzabilità. Anche perché ci sono aspetti (ad es. la gestione dei rifiuti) che contraddicono platealmente le posizioni negazioniste assunte dal sindaco e dalla stessa maggioranza trascinata dal sindaco.
In secondo luogo mi pare che si sia voluto affermare un metodo piuttosto pericoloso, che tradisce principi basilari della buona amministrazione. Infatti, se come sembra il PD detta il programma operativo a cui il sindaco è tenuto ad obbedire pena le dimissioni (almeno così la cosa viene presentata, fino a smentita formale), allora mi dite a che cosa serve l’elezione diretta del sindaco? Dove sta la separazione dei ruoli, quello politico e quello amministrativo? Di fatto si riaffermano modalità amministrative che creeranno incertezza e disordine senza un coordinamento certo e solido.
Non solo, ma dove stà la maggioranza stessa, se lo stallo nato sul contrasto tra poteri del sindaco ed esigenze del PD viene risolto dopo lunga tiritera sempre e solo con un patto tra sindaco e PD? Infine, dove sta scritto che quei cinque punti colgono le cose da fare nell’interesse esclusivo della collettività civica? Non vi è dubbio che, insieme a cose doverose e che dovevano essere già fatte, ci sono dimenticanze clamorose, che qui non voglio nemmeno citare. E il metodo? Come si vorrà procedere? Il sindaco annuncia nomine. Chiarirà anche i criteri? Il patto significa anche che il PD vorrà condizionare le prerogative del sindaco in questo ambito?
Mi fermo. Come si vede, ce n’è di materia da discutere, se si vuole svoltare. E di svoltare c’è assoluto bisogno. Le mie tuttavia sono solo opinioni senza pretese. Ci mancherebbe che fossi percepito come quello che vuole insegnare qualcosa a persone che praticano con orgoglio la loro autosufficienza!
Necessità di un’aggregazione trasversale di forze per la difesa e il rilancio della democrazia rappresentativa
di Franco Raimondo Barbabella
È convinzione comune consolidata che le classiche categorie sociologiche e politiche non riescano più a interpretare i fenomeni contemporanei e a darne ragione, e così accade di incontrare su riviste e giornali nuove categorie proposte da intellettuali di vari paesi e diffusi con titoli ad effetto da giornalisti di grido. Categorie tutte diverse, ma con un tratto comune: orientamento bipolare e aggregazione trasversale spontanea di interessi e sensibilità in ciascun polo.
È il caso, nel Regno Unito, di David Goodhart, giornalista e saggista, che ha pubblicato di recente il libro The road to Somewhere: The Populist Revolt and the Future af Politics (“La strada verso qualche parte: la rivolta populista e il futuro della politica”) in cui propone come categorie interpretative del presente Somewhere e Anywhere. Luigi Ippolito su La Lettura del 9 aprile riassume la sua posizione così: “La tesi è che la società è divisa in due grandi gruppi: gli Anywhere, i Dovunque, persone con un buon livello di istruzione che abbracciano la mobilità e si trovano a loro agio nel mondo fluido contemporaneo, e i Somewhwre, i Da qualche parte, generalmente meno istruiti, radicati in un posto e che enfatizzano valori come la sicurezza e l’attaccamento ad un gruppo”.
È il caso, in Italia, di Claudio Cerasa, direttore de Il Foglio, che in un pezzo pubblicato martedì scorso e intitolato “Manifesto del buon senso anti sfascisti” sostiene la necessità di “un’alleanza culturale e trasversale contro i professionisti della fuffa”. E spiega così, dopo aver citato il libro di Daniel Cohn-Bendit pubblicato in Francia qualche mese fa con il titolo Et si on arrêtait les conneries? (“E se la smettessimo di sparare cazzate?): “Nel nostro paese si stanno consolidando due fronti politici trasversali formati da due movimenti d’opinione che superano gli attuali partiti. Il primo movimento è formato da chi ha capito quello che sta succedendo in Italia, mentre il secondo è formato da chi continua a sparare, lo diciamo in francese, les conneries.
Il primo movimento (realista) è formato da politici, da osservatori e da pezzi di classe dirigente che sanno distinguere tra le agende dettate dai talk-show (e dagli algoritmi) e le agende dettate dalle vere necessità del nostro paese. … Il secondo movimento (sfascista) è formato sempre da politici, osservatori e pezzi di classe dirigente, ma a differenza del primo movimento tende a trasformare la fuffa nella vera priorità del paese, tende sparare molte conneries sul lavoro (1995-2015: la produttività italiana è stata 5 volte più bassa della media UE. 2017, programma M5s sul lavoro, presentato ieri: ‘Lavorare meno per lavorare tutti’), tende a sottovalutare l’affermazione di una repubblica giudiziaria e tende ogni giorno a sparare sulle gambe della nostra democrazia rappresentativa”.
In entrambi i casi a mio avviso si colgono aspetti reali del tempo che viviamo, resi con stile giornalisticamente efficace. Ma appartengono appunto alle logiche di comunicazione massmediatica, che colgono qualcosa di reale (basterebbe l’idea di repubblica giudiziaria per convincersene) e fanno colpo, e che però spesso durano una stagione, essendo esposte a cambiamenti veloci come il vento d’autunno. Ma può esserci qualcosa di più stabile, un qualche criterio capace di farci interpretare le caratteristiche di fondo della società italiana di oggi e le tendenze che, nonostante il mutamento continuo, comunque si delineano per il futuro?
Io credo sia difficile. Lo dimostra lo stesso CENSIS, le cui interpretazioni in questi anni di crisi, mentre sono venute scemando di fantasia, sembrano limitarsi a descrivere il provvisorio che man mano può essere registrato. Ma lo dimostrano soprattutto le caratteristiche che si percepiscono quasi a occhio e a orecchio nudi: una società segnata dall’individualismo dell’apparire, dalle microaggregazioni mobili e dalla disponibilità a seguire le mitologie cangianti dei maghetti e degli imbonitori di turno. Una società così frammentata si presta poco a disporsi anche solo provvisoriamente entro uno schema bipolare.
Per questo io credo necessario un esercizio particolarmente intenso e acuto del pensiero critico di quella parte delle classi dirigenti presente in ogni parte del territorio che sente la responsabilità di non buttare alle ortiche quanto di buono è stato costruito con sacrificio di generazioni nel quadro della democrazia rappresentativa. Per un’aggregazione trasversale di forze culturali, sociali e politiche, disponibili a sostenere, come dicevo la scorsa settimana, una rivoluzione democratica sempre più necessaria per fermare la deriva populista e ricostruire un paese indebolito nei suoi tessuti connettivi materiali e nella sua struttura etica.
L’opinione di Leoni
Nutro un doveroso rispetto per gli intellettuali che si sforzano di trovare il bandolo in questa matassa imbrogliata che è il mondo contemporaneo. Certe acute considerazioni, espresse nella nostra lingua particolarmente ambigua, che riesce a rendere un po’ confuse anche le brillanti elucubrazioni formulate in inglese o in francese, mi incuriosiscono e mi divertono. Ma fino a un certo punto, perché non vi trovo niente di nuovo rispetto a ciò che passa per la mente a me e ai miei interlocutori familiari e della cerchia degli amici. E ciò mi preoccupa. Se voglio dunque tentare di andare al cuore del problema posto da Franco, non posso prescindere dal fatto che la democrazia rappresentativa, alla base delle grandi democrazie moderne, ha dovuto affrontare, in rapida successione, due strumenti imprevisti dai nostri antenati: i sondaggi di opinione perfezionati grazie alla estrema diffusione del telefono e internet.
Questi strumenti hanno messo in evidenza che la massa, sollecitata dai sondaggisti o spinta dal bisogno di sfogarsi, si è abituata a manifestare quasi istantaneamente (il cosiddetto tempo reale) i propri umori. Gli umori della massa sono un magma incandescente che cola in modo prevedibile seguendo vecchi percorsi, ma che improvvisamente può cambiare direzione o raffreddarsi. In ogni modo, dove arriva, travolge e brucia gli sforzi di chi tenta di controllarla. Così Hillary Clinton ha toppato alle presidenziali perché a molti elettori americani è diventata insopportabilmente antipatica tra l’ultimo sondaggio preelettorale e il momento del voto. Così Matteo Renzi ha toppato al referendum costituzionale perché i sondaggi hanno cominciato a dargli torto quando era troppo tardi per fare marcia indietro. Ne sa qualcosa Beppe Grillo che ha dovuto fare a pezzi le tavole della legge da lui inventata, per far fuori la candidata a sindaco di Genova designata dalla cosiddette comunarie. È stato preso dal panico di trovarsi a che fare con un nuovo Pizzarotti.
Certamente i grillini votanti, al momento del clic, avevano avuto uno sbalzo d’umore e si erano levati il gusto di fare uno sberleffo al capo, di cui conoscevano bene i desiderata. “Nemo propheta in patria” oppure è finita l’epoca dei profeti? Allora ben venga la legge elettorale proporzionale che farà aumentare gli elettori votanti, porterà in parlamento gente scaltra che saprà acchiappare voti con la riserva mentale di utilizzarli tradendo, con la scusa dello stato di necessità, le promesse elettorali. E la massa si renderà conto quanto sia ridicolo e inutile sfogarsi nei sondaggi e su internet. Sarà una nuova primavera della democrazia rappresentativa.