Contro la società delle esagerazioni, del sospetto e del rifiuto
di Franco Raimondo Barbabella
La nostra non è solo la società del rumore, è anche la società delle esagerazioni, che peraltro con la prima sostanzialmente combacia. Ne abbiamo esempi tutti i giorni e nei più diversi campi. Il campo privilegiato, com’è naturale, è la politica. Basti pensare alle elezioni presidenziali americane ridotte ormai quasi esclusivamente allo spettacolo massmediatico delle accuse e controaccuse il più possibile estreme. Senza trascurare però la battaglia tutta italiana sul referendum costituzionale che, man mano che ci si avvicina al 4 dicembre, assume sempre di più toni e contenuti da appuntamento conclusivo dell’eterna lotta tra il bene e il male.
Ovviamente in questa corsa si distinguono poi in modo particolare alcuni, individui o partiti e movimenti. Quello pentastellato è, come tutti sanno, l’ambiente più vocato ai toni alti della predicazione fin dalla sua costituzione avendo fatto del moralismo la sua carta vincente, carta facile perché fondata sulla semplificazione e anche perché il malaffare c’è e la pochezza e stupidità altrui pure. Naturalmente poi poco importa se questo non è il modo per risolvere i problemi, quel che conta essendo la capacità di occupare gli spazi di comunicazione, avere successo economico e politico, fare carriera. Ci sono anche esagerazioni di altri sempre in campo politico? Certo. Che dire infatti di Brunetta, di Salvini, ecc. ecc., e dello stesso Renzi,? Bah, che dire?
Esagerazioni davvero ovunque. Tralasciamo per economia di discorso la medicina e i vaccini, la scuola e il sistema formativo. Vogliamo prendere allora il campo dei problemi climatici? Qui non è che non esista il tema, è che esso non viene affrontato con quella composta e decisa razionalità scientifica che sarebbe necessaria se la politica fosse finalizzata al bene comune e non alle convenienze e alla popolarità dei parlanti. Per cui abbiamo sì le evidenze dei mutamenti climatici, ma che questi dipendano dalle sole opere dell’uomo da alcune parti viene dato talmente per scontato che la pressione per svolte radicali nella produzione e nell’organizzazione sociale provoca per converso resistenze esasperate. Così le contrapposizioni anche su questo terreno diventano epocali. E c’è perfino chi pensa di salvare se stesso e il mondo imponendo a tutti il proprio stile di vita.
Oppure vogliamo riferirci alle discussioni intorno agli ogm? Ho affrontato il tema altre volte e ogni volta che me ne interesso mi colpisce non tanto il progredire di una tesi piuttosto che di un’altra, quanto il fatto che le acquisizioni sia scientifiche specifiche che di ragionamento complessivo non vengano quasi mai prese sul serio da chi prima aveva assunto, anche in base a convinzioni non pregiudiziali, una posizione diversa. Insomma si preferiscono le esagerazioni, quasi sempre ovviamente anti-ogm, magari da parte degli stessi che poi fanno professione di lotta similreligiosa alla fame nel mondo. Anche perché in settori come questo giocano un ruolo importante le paure e il criterio è che “si, va bene, ma non a casa mia”. Come per il nucleare. E anche come per gli immigrati, vedi il caso delle dodici donne e degli otto bambini di Gorino. La cultura della paura se diffusa in un campo influenza poi tutti gli altri.
Ma forse le esagerazioni più esagerate (sic!) e anche più dense di conseguenze sono quelle dell’amministrazione della giustizia. Da molto tempo a questa parte, diciamo da tangentopoli in qua (o dal caso Tortora in qua?) sembra che l’idea di molti magistrati – certo, anche interpreti com’è noto (alcuni forse con consapevole spregiudicatezza, si può dire?) di un’opinione pubblica esasperata (spesso senza vera innocenza) da un sistema asfissiante di corruttele – sia che ciascuno di noi nasce naturalmente colpevole e la sua vita dovrà essere dedicata a dimostrare il contrario. E così arrivano gli arresti facili e le retate, che fanno tanto colpo sull’opinione pubblica, riempiono paginate di giornali, suscitano reazioni sui social, mettono alla gogna anche quelli che non c’entrano nulla. Poi spessissimo si risolvono in niente, vedi una miriade di inchieste e di processi che in questi anni hanno fatto eclatante notizia e che qui ancora per economia di discorso non cito. Però sono davvero tante, e spesso hanno messo a soqquadro famiglie e aziende. La cosa ci riguarda da vicino, visti gli ultimi arresti che hanno coinvolto anche una famiglia di importanti imprenditori tra le espressioni migliori del nostro territorio, persone sia valide che perbene. Auguro a Franco e a Lucia Ceprini che la vicenda si concluda rapidamente e senza danni, ma non posso evitare di chiedermi, visti i precedenti di questo modo di concepire l’esercizio del potere giudiziario, se il sistema delle inchieste sommarie e delle retate, oltre ad essere un viatico di successo per chi al momento lo adotta, è anche un vero sistema di giustizia.
Da ultimo, in tema di esagerazioni mi viene in mente tutto il battage locale di un certo ambientalismo sui pericoli di ogni cosa che suoni come impresa, che come tale non può non modificare la situazione esistente. La cosa grave dal mio punto di vista non è certo che ci si preoccupi della salvaguardia dell’ambiente, dei valori e dei beni produttivi locali, anzi, questa è anche la mia battaglia di sempre. Ma se questa battaglia diventa non qualificazione dello sviluppo, ma sospetto e negazione di ogni intervento che non sia nicchia elitaria e “vada al diavolo chiunque la pensa diversamente” e giù barricate, allora proprio non ci sto. Ci si fa addirittura forti del fatto che amministratori pubblici che avrebbero il dovere di vagliare i pro e i contro sulla base di studi seri compiuti dai migliori tecnici e scienziati si schierano invece pregiudizialmente contro, secondo quell’ideologia del no che di fatto è la coltivazione del più pericoloso irrazionalismo.
Che poi si arrivi addirittura a legare la vittoria del no al referendum alla salvezza del nostro territorio, perché solo così il potere di decidere rimarrebbe nelle nostre mani, non è esagerazione ma qualcosa che somiglia molto alla voglia di repubblica del quartiere. Direi di più. Se si dice: “Qualcuno vuole che la discarica di Orvieto sia la discarica dell’Umbria? Beh, allora non ci sarà altro da fare che spostare Orvieto e questo territorio fuori dall’Umbria”, allora di fatto si è già passati dall’esagerazione al delirio di onnipotenza. Insomma, o la pensate come me o il diluvio universale. Roba alla Donald Trump. Ma negli States vincerà, ci auguriamo – noi persone normali – Illary Clinton. E qui da noi?
Commento di Dante Freddi
Affermare per assurdo rende a volte facile farsi comprendere, ma è utile quando l’esagerazione serve per offrire un’immediata percezione della propria tesi, che comunque è valida se adeguatamente argomentata e assume così la forza per diventare un vero pensiero. Il problema è quando si rimane al livello dell’affermazione esagerata perché è quella la sostanza che si intende comunicare, perché dietro non c’è altro. Tutti gli esempi proposti da Barbabella ci pongono di fronte a un metodo in cui non c’è il ragionamento, ma l’affermazione assolutista, che trova il suo migliore luogo di espressione sui social e nei talk show, che richiedono sintesi e schieramento, magari con qualche locuzione particolarmente colorita. Ma il mondo della comunicazione, che oggi coinvolge tutti come attori, è anche affollato da tanti che contribuiscono alla crescita dell’informazione e quindi della consapevolezza. I messaggi si affollano e costringono a una difficile selezione che ci impone di leggere e ascoltare idiozie che amareggiano e sconfortano, perché si presentano con la stessa veste di credibilità della “verità”, che altri perseguono con fatica e onestà e tormento. E la “verità” risulta spesso così offuscata da risultare altra, in un meccanismo perverso che scoraggia la serietà e incentiva la slealtà iperbolica.
Commento di Pier Luigi Leoni
A parte il fatto che la vittoria di Hillary Clinton, pur essendo il male minore, è comunque un male, posso sottoscrivere le considerazioni di Franco. Ma con una annotazione che mi viene troppo spontanea per tacerla. Nel manifestare insoddisfazione per come va il mondo bisogna stare attenti a non cadere in quel vizio che gli antichi chiamavano “gnosi” e che consiste in tre pericolose e collegate affermazioni: il mondo è malvagio; è possibile farlo diventare buono; io possiedo la ricetta. Consiglio pazienza nel sopportare un mondo imperfetto e impegno coscienzioso nel migliorarlo, ma non escludendo che può anche peggiorare.
Nella jungla dei pubblici appalti gli scandali sono scontati
di Pier Luigi Leoni
Auguro a Franco Ceprini e a sua nipote di uscire indenni dalla vicenda giudiziaria in cui si trovano coinvolti. Non sarebbe la prima volta che la polizia giudiziaria e la magistratura prendono un abbaglio. In ogni modo, in merito alle ricorrenti vicende di inchieste giudiziarie e di processi riguardanti il settore delle opere pubbliche, mi sento di affermare che non è il caso di meravigliarsi e di scandalizzarsi. La disciplina degli appalti pubblici è oltremodo complicata e insidiosa. Ci mettono bocca l’Unione Europea e il parlamento nazionale in una gara a chi è più malizioso. Nel Viterbese dicono: «A corpo male usato, quello che fa je viene pensato.» Ma la malizia implica sempre una certa stupidità. Da parte di chi fa le leggi la stupidità consiste nel fatto di credere che gli stupidi siano coloro che devono applicarle. Invece, soprattutto in materia di appalti pubblici, si verifica che gli imprenditori sono generalmente più scaltri di coloro che fanno le leggi e della magistratura che promuove e valuta le indagini. Nella matassa delle leggi sugli appalti, gl’imprenditori, se vogliono fare gli imprenditori e non oziare o mettersi sotto padrone, devono districarsi tra progetti malfatti, bandi di gara complicatissimi e sovente sbagliati, direttori dei lavori con poca voglia di dirigere e molta voglia di guadagnare, politici che chiedono favori, dipendenti che hanno bisogno di lavorare, imposte e contributi da pagare, prestiti bancari da rimborsare, corrispettivi che la pubblica amministrazione eroga con ritardi scandalosi costringendo le imprese a ricorrere a costose anticipazioni bancarie. Per non parlare delle mafie che imperversano un po’ dovunque. In una baraonda del genere l’imprenditore non può che affidarsi, oltre alla fortuna, all’ambiguità delle leggi, alla distrazione della magistratura, e, in caso di condanna penale, al beneficio della condizionale. C’è una soluzione? No, ma si può migliorare semplificando le leggi e concedendo ogni tanto, come si faceva nei primi decenni del dopoguerra, una bella amnistia.
Commento di Dante Freddi
Ogni giorno vengono arrestati politici, funzionari infedeli, imprenditori. Nessuno di noi crede che si possano ottenere appalti senza ungere in qualche forma, dalle mazzette alle escort, e stupisce più qualche rara notizia di onestà comprovata che il contrario. Ma non ci si può rassegnare, soprattutto quando la ghiottoneria arriva anche a costruire male, pericolosamente, e allora non c’è più nessuna giustificazione, che a volte sembra rendere più lieve il reato dei concussi. È difficile giudicare, ma è facile sostenere che è necessario creare meccanismi che salvaguardino noi cittadini e gli imprenditori onesti, con legislazioni e controlli che funzionino. La scoperta di reati svela la dinamica con cui vengono commessi e non è pensabile che lo Stato non sia in grado di opporre modalità di assegnazione dei lavori che impediscano intrallazzi. Mi sembra che questo governo abbia iniziato un iter virtuoso in questo senso e, pur consapevole che sarà difficile cambiare gli uomini che gestiscono potere e denaro, sarà possibile contrastarli se c’è la volontà politica.
Commento di Franco Raimondo Barbabella
Le cose stanno così come dice Pier anche secondo me. Per un imprenditore che voglia essere tale, e Franco Ceprini lo è, credo che ci si debba armare di coraggio tutte le mattine, sia perché si sa di doversi districare nella selva selvaggia che Pier descrive così bene sia perché si ha la consapevolezza di avere sulle spalle la responsabilità del lavoro di centinaia di dipendenti e della sussistenza di altrettante famiglie. Credo che bisogna anche avere, forse più di altri, la forza di ignorare invidie, cattiverie, concorrenze sleali e quant’altro offre il panorama per chi vuole e/o deve stare nelle dinamiche del mondo reale. Dunque l’imprenditore non fiderà solo nella sua abilità e nelle cose che dice Pier, ma anche nella sua intelligenza e nella sua forza d’animo.
Secondo Pier una soluzione all’intrico delle condizioni sfavorevoli che ha descritto non c’è: al massimo, lui dice, si possono semplificare le leggi e poi semmai concedere ogni tanto un’amnistia. In sostanza vuol dire che le cose vanno come vanno e poiché il malaffare è inevitabile basta ogni tanto azzerare i reati per legge. Una visione scettica, certo legittima ma non necessaria, della condizione umana.
Ad essa non sarò certo io a contrapporne una facilmente salvifica facendo appello alle stesse forze umane che generano la perdizione. Nel mondo umano, quello nostro senza regali, vigono i principi del relativo, non quelli dell’assoluto. Perciò la lotta del positivo contro il negativo ha tante sfumature, ed è sia tra persone e sistemi più o meno articolati che dentro le persone, dunque sempre con esito incerto, senza che una divinità debba scomodarsi con un lavoro affannoso da mattino a sera per correggere le storture che normalmente gli umani producono.
Nessuna idea è un assoluto, tanto meno l’idea di giusto, ovviamente. E per questo ci sono le leggi, che si possono cambiare se non funzionano, così come si può cambiare anche il modo ci applicarle, se in genere presenta storture riconosciute come tali. Ma ci vuole il coraggio di farlo, la volontà e anche la convenienza. Io credo che sia moralmente giusto e umanamente conveniente migliorare per quanto si può le condizioni di vita nostre e del prossimo nostro. Questo atteggiamento mi piace chiamarlo di responsabilità. Dunque è necessario denunciare le storture e impegnarsi per correggerle.