di Gianni Marchesini, Orvieto Felice.
Questa storia che insiste deleteria sulla città di concedere in appalto il Palazzo dei Congressi è come la corazzata Potemkin: una cagata pazzesca. Persevera ancora questa mentalità dirigista,volpina che, una volta dato l’appalto, hai soddisfatto l’assillo politico perenne nella sinistra e cioè quello del “quale futuro”.
Difficile, quasi impossibile capire che non è il congresso che porta turismo alla città ma è la città a portarlo al congresso. E’ la ragione per cui le attività congressuali fioriscono nelle città che offrono risposte contigue e allettanti ai congressisti. Il Palazzo, in fondo, non è che il luogo dove ci si mette seduti, un, seppure indispensabile, supporto tecnico. Ma dopo? Terminata la sfarinata dei discorsi, cosa fanno i nostri eroi? Si spargono per lungo e largo la Rupe a mento all’insù? Perché allora preferire Orvieto piuttosto che Taormina? Dunque è la città che deve fungere da Palazzo dei Congressi. Come? Prima di tutto, ovviamente, la strategia: a quale città vogliamo tendere? Orizzontale? Dove entra di tutto, bancarelle, mendicanti, zingari, palloni, banconi, gazebo, pifferi, saltimbanchi, cani che cominciano a pisciare anche dentro i locali che quando ci ha pisciato uno ci pisciano tutti o a una città verticale dove si lavora sul particolare, sulle energie valide rimaste, sulle idee, la bellezza, si valorizza l’esistente e si toglie, si tolgono le brutture, le trasandatezze, gli inestetismi che invadono la vista ormai anche del più sprovveduto turista? E Cosa serve? Serve un Ufficio della Città che orienti tutto ciò che avviene, che selezioni, filtri e non permetta che venga fatto, disposto alcunché che non sia coerente con tale missione.
E poi, e qui veniamo al nocciolo della corazzata Potemkin: le strutture vanno coordinate.
Non è pensabile, ancora, immaginare, in una città così raccolta che è poco più o poco meno di una strada di Roma l’attività del Palazzo dei Congressi slegata da quella del Pozzo o dall’attività del Teatro o dal Palazzo del Gusto, dal Palazzo dei Sette, dalla Torre del Moro e dal resto di tutte le strutture comunali compreso il Belvedere o il Carmine o la chiesa di San Francesco. Cosa fanno questi monumenti ingessati, isolati, un po’ fatiscenti senza vita e senza collegamento con un’attività e una missione cittadina? Non è meglio rivitalizzarli in un piano comune, integrato e, come dicono i sindacalisti, sinergico? Allora tu, auspicabile Ufficio della Città che sei anche un po’ stronzo perché le vuoi bene e te ne infischi dei voti, organizzi un bel congresso dove i partecipanti prima di arrivare già sanno che andranno a fare una degustazione di muffe nobili (che a Orvieto non ci mancano) con la combinazione “Muffa del pozzo muffa del vino” dentro il Pozzo di San Patrizio, un buon spettacolo al Teatro Mancinelli la sera, un assaggio al Palazzo del Gusto, un brindisi da capo alla Torre del Moro, una gita per i produttori di vino, la visita ai sotterranei…
Insomma tutto quello che serve, che compiaccia il congressista lungo un viaggetto virtuoso e collegato e che lo saluti con un senso piacevole di vissuto orvietano.
Ah, volete sapere come si organizza l’ Ufficio della Città? Beh, ci vuole uno che abbia qualche idea, che sia rigoroso nell’interpretare insieme alla visione la conseguente strategia e che l’operazione di coordinamento venga effettuata dalla Tema che la saprebbe condurre e ci pagherebbe anche i suoi debiti senza gravare ancora sul Comune che li ha fatti.