di Dante Freddi
C’è una tendenza alla sottovalutazione di Orvieto e dell’Orvietano da parte dell’Umbra “matrigna”.
Ci valutano per quello che siamo e non per quello che vorremmo essere.
Ci penalizza la nostra condizione di territorio geograficamente periferico rispetto al resto dell’Umbria, con una popolazione che è un ventesimo di quella regionale, poco vitale economicamente, con rappresentanze politiche scadenti, a destra e a sinistra. L’ultimo orvietano di alto livello che ha frequentato il Consiglio regionale è stato Sergio Ercini e sono stati gli anni della legge per la Rupe di Orvieto, quando governava l’intelligenza e la capacità di lavorare per lo stesso obiettivo, deputato locale il PCI Mario Andrea Bartolini.
Noi dell’Orvietano non ci sentiamo umbri, abbiamo avuto per secoli e fino all’istituzione delle regioni rapporti strettissimi con l’area della Bassa Toscana e dell’Alta Tuscia e ora ci sentiamo emarginati, spesso lo siamo, ma non perdiamo occasione di arrivare allo psicodramma collettivo per motivi marginali, tanto da sembrare a volte isterici, all’inseguimento di teorie secessioniste al di fuori della storia e della possibilità di realizzazione, quindi siamo poco credibili e ancora più esclusi.
Il tema della presenza di una classe politica orvietana di sinistra scadente e ininfluente è stato per anni e continua a essere il ritornello della destra più bècera e inconcludente, perché si può applicare a tutto, sanità, turismo, economia, società, bilancio, infrastrutture ecc. Non richiede studio, si può tirare fuori in qualsiasi situazione ci sembri che altri territori ci violentino, fa leva su quel campanilismo di cui tutti siamo intrisi e quindi funziona.
Tra l’altro in alcuni casi siamo davvero maltrattati e quindi i nervi sono sempre scoperti.
La scarsa capacità di affermazione politica riguarda anche tutto il centrodestra, da cui sono emersi nell’ultimo cinquantennio soltanto Romolo Tiberi e Sergio Ercini, democristiani.
Se questo tema della nostra emarginazione diventa una mania di persecuzione perde senso, diventa un ritornello di cui non si comprendono più le parole e ci tratteranno, in questo caso giustamente, come, inadeguati, scontenti, rompiscatole.
Concentriamoci su temi seri e cerchiamo di affermarli con la massima unità e serietà di comportamenti possibili, come a volte fa a Orvieto il consigliere M5S Vergaglia e a destra il consigliere Sacripanti, dimostrando una qualità che va riconosciuta e che la maggioranza tende a liquidare con eccessiva sufficienza.
Cerchiamo idee comuni e lavoriamoci sopra, come avviene in gran parte dei consiglio comunali dove c’è più amministrazione e meno politica.
È stato approvato dal Consiglio regionale il collegio elettorale unico per le prossime elezioni regionali. Era nell’aria, il Consiglio comunale di Orvieto ha votato due ordini del giorno del tutto contrari ad una simile scelta, ma senza produrre alcuna iniziativa politica significativa e conseguente.
Il “Progetto dei territori “ è stato bocciato e con lui anche l’organizzazione dell’Umbria in dieci collegi uninominali, “affinché ogni territorio avesse almeno un rappresentante. È anche un’idea diversa di regione e di politica. Rovesciare la piramide: far partire i processi di governo dai bisogni e dalle potenzialità dei territori. Cambiare verso alla politica: non esercizio di pochi in cerchie ristrette, ma di molti in ambiti larghi con reali possibilità di competizione”.
Sarà difficile che nei prossimi anni potremo eleggere un consigliere regionale della zona, ma non è questo il grave. Non cambierà molto. È che non abbiamo rivoltato la “piramide” e abbiamo perduto l’occasione per dimostrare di avere la capacità di farlo.
L’opportunità di lavorare insieme a un progetto di sviluppo come “area interna”, di cui venerdì si è iniziato a discutere in forma operativa, non può essere sprecato perché ci sono vicine le elezioni amministrative e la tensione aumenta, il bisogno di visibilità alimenta il politicismo più rancoroso, il settarismo trova il terreno più fertile.
I prossimi mesi saranno decisivi per consegnare progetti credibili e finanziabili, quelli su cui tentare di disegnare una bozza di futuro del nostro territorio.
Non c’è bisogno di “volemice bene”, se proprio non ci si riesce, ma di sensatezza.