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Home Politica

Sacripanti chiede l’intitolazione di un luogo della città a ricordo delle vittime della tragedia delle Foibe

Redazione by Redazione
29 Gennaio 2015
in Politica, Secondarie, Archivio notizie
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Riceviamo da Andrea Sacripanti, capogruppo FdI-AN e pubblichiamo

Al Presidente del Consiglio comunale di Orvieto

ORDINE DEL GIORNO

OGGETTO: 10 febbraio Giorno del ricordo, proposta per l’intitolazione di una via o di un altro luogo a ricordo delle vittime della tragedia delle foibe e agli esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia;

IL CONSIGLIO COMUNALE DI ORVIETO, premesso che:

  • Il Consiglio comunale, in data 18 marzo 2014, ha votato all’unanimità il seguente OdG presentato dai Consiglieri Melone e Leoni, durante la precedente consiliatura:

 

  • “La legge 30 marzo 2004, n° 92 (“Istituzione del Giorno del ricordo” in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati”), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n° 86 del 13 aprile 2004 recita all’art. 1: “La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”;
  • Nella stessa giornata sono previste, sempre dalla stessa legge, iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado ed è altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende;
  • Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel suo discorso commemorativo del 10 febbraio 2007, riferendosi alla tragedia troppo a lungo dimenticata delle foibe, ha volutamente sottolineato come «Vi fu un moto di odio e di furia sanguinaria e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di Pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica»… «non dobbiamo tacere, assumendoci la responsabilità di aver negato o teso ad ignorare la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica… il dramma del popolo giuliano-dalmata, dramma rimosso per calcoli diplomatici e convenienze internazionali».

RICORDATO CHE

Un tempo la parola «foiba» apparteneva quasi esclusivamente al linguaggio degli abitanti del Carso, ai geologi, agli speleologi. Oggi è più conosciuta (ma ancora non tanto) a seguito del lugubre significato di orrore e di morte. L’occupazione jugoslava, che a Trieste durò quarantacinque giorni, fu causa non solo del fenomeno delle foibe, ma anche delle deportazioni nei campi di concentramento jugoslavi di popolazioni inermi; in Istria, a Fiume

e in Dalmazia, invece, questa repressione costrinse 350 mila persone ad abbandonare le loro case per fuggire dai massacri e poter mantenere la propria identità italiana.

  • Alla fine dell’aprile 1945 le armate tedesche si arrendono e l’Italia, stremata e straziata, esce dal «tunnel» di una guerra disastrosa, ed esulta per la fine di tante sofferenze e per le prospettive di pace. Non così Trieste, l’ Istria, le terre del confine orientale. Su di esse si avventano contro i patti, smaniose di conquista e di vendetta, le truppe partigiane del maresciallo jugoslavo Tito all’ insegna della stella rossa. I neozelandesi, con insipiente imprevidenza degli alti comandi anglo-americani, arriveranno in ritardo e poi staranno a guardare. Trieste, l’ Istria, Gorizia precipitano così dalla feroce oppressione nazista nell’altrettanto feroce oppressione slavo-comunista. Ai forni crematori e ai “lagher” della Germania subentrano le foibe e i «lagher» balcanici. I nuovi arrivati non sono portatori di pace, sono oppressori quanto le truppe naziste che se ne sono appena andate e che per due lunghissimi anni avevano governato la Venezia Giulia e l’ Istria. Le truppe titine iniziano subito con il dare la caccia agli uomini del C.L.N. e assieme a loro a migliaia e migliaia di italiani, alcuni caratterizzati politicamente (sia perché fascisti che in quanto comunque esponenti di movimenti politici, anche se antifascisti), altri, tantissimi altri senza nessuna apparente ragione di ordine politico, con un meccanismo perverso di pura casualità (in un certo numero di casi sono vicende e rancori personali a sostituirsi alla casualità). Si contano migliaia e migliaia di persone che, sottratte ai propri cari, spariscono nelle grinfie della cosiddetta Milizia Popolare per non fare mai più ritorno. Il rituale dell’ infoibamento è ben definito: vengono legati a due a due, portati sull’orlo della voragine e poi ad uno dei due viene sparato un colpo alla nuca affinché, cadendo, si trascini anche l’altro nella voragine. I cadaveri in seguito recuperati misero in agghiacciante evidenza la crudeltà e la ferocia degli infoibatori: corpi denudati e martoriati, mani legate con il filo di ferro fino a straziare le carni, colpi alla nuca, violenze e orrende sevizie di ogni genere. Un rituale tragico e barbarico con il quale sono stati trucidati migliaia e migliaia di esseri umani: il tutto a guerra finita! Nella Foiba di Basovizza (il Pozzo della Miniera che costituisce un po’ il simbolo di tutte le foibe) gli infoibati si è dovuti quantificarli con il più arido e crudele dei sistemi: cinquecento metri cubi di poveri resti umani. Accanto alle foibe istriane, altre foibe del Carso inghiottirono italiani, tedeschi ed anche sloveni antititini. E alle foibe si aggiunsero le deportazioni per altre migliaia di disgraziati, molti dei quali non conobbero ritorno. È una carneficina che testimonia l’odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti. Ma chi erano le vittime? Italiani di ogni estrazione: civili, militari, carabinieri, finanzieri, agenti di polizia e di custodia carceraria, fascisti e antifascisti, membri del Comitato di liberazione nazionale. Anzi, proprio contro questi ultimi ci fu una caccia mirata, perchè in quel momento rappresentavano gli oppositori più temuti delle mire annessionistiche di Tito. Furono infoibati anche tedeschi vivi e morti, e sloveni anticomunisti. Probabilmente quante furono le vittime delle foibe nessuno lo saprà mai, di certo non lo sanno neanche gli esecutori delle stragi. Questi non hanno parlato e non parlano. D’altra parte è pensabile che in quel clima di furore omicida e di caos ben poco ci si curasse di tenere la contabilità delle esecuzioni. Alle vittime delle foibe vanno aggiunti i deportati, anche questi a migliaia, nei lagher jugoslavi, dai quali una gran parte non conobbero ritorno. Si può comunque ipotizzare che complessivamente le vittime di quegli anni tragici, soppresse in vario modo, siano 10 mila ed anche più. Belgrado non ha mai fatto o contestato cifre. Lo stesso Tito però ammise la grande mattanza.
  • Le Foibe, se hanno costituito un incubo per i triestini, i giuliani e gli isontini, hanno parimenti rappresentato un raffinato ed efficace strumento di terrore per gli istriani. Perché proprio la vicenda drammatica degli infoibamenti ha avuto un ruolo sicuramente determinante nel creare in Istria quell’ atmosfera di paura e di terrore che ha convinto in 350 mila a lasciare case e paesi per sfuggire, in Italia, al regime liberticida ed assassino del comunismo jugoslavo. Perché tutti erano ben consapevoli che, a restare, bastava il fatto di non essere comunisti per rischiare di finire come gli infoibati. Una delle tante pagine non scritte della nostra storia recente è quindi l’Esodo di quei 350 mila fiumani, istriani e dalmati che, dal 1945, si riversarono in Italia con tutti i mezzi possibili: vecchi piroscafi, macchine sgangherate, treni di fortuna, carri agricoli, barche, a nuoto e a piedi. Una fuga per restare italiani, un vero Esodo biblico, affrontato con determinazione, verso un’ Italia sconfitta e semidistrutta, quale reazione al violento tentativo di naturalizzazione voluto nella primavera del 1945 dalla ferocia omicida del regime jugoslavo. Improvvisamente l’ I stri a, Fiume e la Dalmazia furono oscurate dall’ ombra livida di un destino incerto e rosso di sangue innocente. La gente era bloccata dalla paura dei rastrellamenti improvvisi, delle delazioni, delle vendette e delle notizie di infoibamenti, di affogamenti e di fucilazioni che la giustizia sommaria di sedicenti tribunali del popolo irrogava a chi era colpevole di essere italiano. Le città cominciarono a svuotarsi. Da Fiume fuggirono 54 mila su 60 mila abitanti, da Pola 32 mila, da Zara 20 mila su 21 mila, da Capodistria 14 mila su 15 mila. A questi 350.000 italiani, gli unici a pagare il prezzo della sconfitta italiana nella Seconda Guerra, non è mai stato riconosciuto un degno indennizzo per tutto ciò che avevano perso né è mai stata riconosciuta la dignità di entrare nella storia d’Italia, cancellati dai libri, dai dibattiti politici e culturali, dai giornali e dalla televisione.

CONSIDERATO CHE

Il ricordo di quella tragedia è ben vivo nella nostra memoria come è presente nella memoria di testimoni diretti tuttora viventi, parenti, amici, discendenti delle persone travolte dal dramma. Va perciò evidenziato che il ripristino di un giusto giudizio storico sulle tragedie e le sofferenze della nostra storia italiana e la condivisione di una obiettiva memoria comune senza censure rappresenta un contributo fondamentale alla costruzione del presente e del futuro della nostra nazione, fondata su condivisi valori e ideali di umanità, giustizia, verità e solidarietà. Le migliaia di triestini, istriani, dalmati uccisi nelle foibe hanno atteso fin troppo: è tempo, ormai, che essi entrino a far parte della nostra memoria nazionale, vittime di quella grande tragedia che è stata la Seconda Guerra mondiale, così come i soldati caduti in Russia e nei Balcani, i combattenti morti nella lotta di liberazione, gli antifascisti e gli ebrei uccisi nella Risiera di San Sabba.

 

IMPEGNA IL SINDACO E LA GIUNTA

 

A prevedere, appena possibile ed in accordo con gli uffici preposti, l’intitolazione di una via o di un altro luogo a ricordo delle vittime della tragedia delle foibe e agli esuli d’ Istria, Fiume e Dalmazia;

  • A celebrare adeguatamente attraverso la partecipazione, comunicazioni ai cittadini ed iniziative mirate alle commemorazioni del Giorno del ricordo, sia il 10 febbraio che in altre occasioni;
  • A proporre iniziative che ricordino stabilmente e nel tempo quanto previsto dalla legge 92/2004.”

 

Il Consiglio comunale di Orvieto, intenzionato a dare seguito all’iniziativa contenuta nel predetto Ordine del Giorno, IMPEGNA IL SINDACO E LA GIUNTA a dare attuazione al deliberato in esso contenuto che si riporta testualmente di seguito:

 

  • prevedere, appena possibile ed in accordo con gli uffici preposti, l’intitolazione di una via o di un altro luogo a ricordo delle vittime della tragedia delle foibe e agli esuli d’ Istria, Fiume e Dalmazia;

 

  • celebrare adeguatamente attraverso la partecipazione, comunicazioni ai cittadini ed iniziative mirate alle commemorazioni del Giorno del ricordo, sia il 10 febbraio che in altre occasioni;

 

  • proporre iniziative che ricordino stabilmente e nel tempo quanto previsto dalla legge 92/2004

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