di Claudio Bizzarri
Le tombe di Lauscello si dispongono ai lati di uno dei tracciati più importanti che innervano il collegamento fra Orvieto e Bolsena, l’insediamento che poi i Romani chiamarono Volsinii, zona caratterizzata da un potente deposito vulcanico. La necropoli deve datarsi a partire dalla fine del IV secolo a.C. Le prime ricerche vennero condotte nel 1865 da Giovanni Paolozzi, nelle proprietà del marchese Gualterio e portarono alla scoperta di sepolture caratterizzate da ricchi corredi. Importanti reperti le due oinochoai a becco e tre situle, tutte realizzate in lamina di bronzo e con incisa l’iscrizione “larth methies śutina” (CIE 1087610880), oggi al British Museum. Ulteriori indagini, condotte attorno al 1870 nei fondi del Gualterio, portarono al recupero di vasi in ceramica “argentata” che intendeva riprodurre l’effetto cromatico del metallo. Gli scavi successivi del 1889, all’interno dei possedimenti del conte Eugenio Faina, Ispettore onorario ai Monumenti ed agli Scavi, individuarono quattordici tombe a camera, ipogee, che si localizzavano a ponente della “via consolare Cassia”. Esse restituiscono ceramiche anche argentate e a vernice nera, un cippo iscritto non identificabile, reperti in bronzo e ferro (uno specchio ed una cista con l’iscrizione “śutina”, alari, coltelli e spiedi). Dopo quasi un secolo di abbandono, scavi sistematici sono stati compiuti tra il 1993 ed il 2007 a cura della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria. Questi hanno permesso di ripulire dieci tombe a camera già pesantemente compromesse dall’attività degli scavatori clandestini. Gli ipogei constano di un dromos a cielo aperto che immette in un corridoio ipogeo. Questo, originariamente chiuso da lastre e/o conci di tufo, conduce all’interno della camera funeraria, di forma quasi sempre quadrangolare e con banchine sui lati, in alcuni casi nelle banchine si aprono cassoni per la deposizione dei defunti. Nel corso dell’estate del 2014 la collaborazione fra Soprintendenza, Parco Archeologico ed Ambientale dell’Orvietano, Gruppo Archeologico Alfina e St. Anselm College del New Hampshire (USA), ha consentito il recupero parziale di due tombe. In tale occasione è stato possibile recuperare, oltre a numerosi reperti ceramici, i resti di due cremazioni in olla fittile, una pertinente ad un personaggio femminile, con fermacapelli in filo di bronzo e pesi in piombo, ed una ad un subadulto, per la presenza di un poppatoio in ceramica acroma. Da notare anche un timiatherion bronzeo (bruciaprofumi) e forme ceramiche con decorazione dipinta.
I dati in nostro possesso permettono di riconoscere una vasto complesso necropolare, costituito da alcune decine di tombe a camera ed a fossa. Tale necropoli venne frequentata tra la fine del IV e la metà del II sec. a.C.; i corredi, piuttosto omogenei, sono caratterizzati dalla presenza di ceramiche e reperti bronzei di ottima qualità e permettono di ipotizzare che le sepolture fossero riferibili a nuclei familiari di ceto medio alto, insediatisi in zona in epoca precedente la distruzione romana di Orvieto-Velzna del 264 a.C., della quale probabilmente condividono le sorti.