Ultime date per «Bed and Breakfast», la commedia dei Suganesi: giovedì sera a Ciconia, venerdì a Sferracavallo e domenica gran finale proprio a Sugano.
Dopo la vittoria al primo torneo di teatro amatoriale e l’impegnato dramma politicamente critico (ma anche politicamente corretto) di Tamurè, la Compagnia delle Vigne quest’anno ci ha deliziato, a partire dalla tarda primavera (con il premio speciale della giuria di AmaTeatro) e durante questa anomala estate, con un testo decisamente più leggero dello scorso anno, almeno in apparenza.
Perché, sebbene con molte parti dialettali e con un impianto narrativo linearissimo, quella di Gugliemo Portarena (autore, regista e deus ex machina dello spettacolo) non è una farsa, ma una vera e propria commedia, che ribalta il punto di vista del viaggio, metafora della vita, tanto che viene da chiedersi, all’inizio del primo atto, se anche Pirandello avesse alloggiato a Sugano prima di scrivere «L’uomo dal fiore in bocca», raffinato monologo in cui un signore, alla fine dei suoi giorni, decide di vivere la vita degli altri osservandone i dettagli.
Così una anziana coppia si trova a voler condividere con il mondo esterno una vecchia casa patronale, ormai semivuota, in cui il progresso è entrato solo sotto forma di plastica e la globalizzazione unicamente dagli echi televisivi. Le stanze costruite con cura per figli, nipoti e pronipoti sono ora inesorabilmente deserte, perfette per accogliere il mondo che sta fuori e per scoprire il quale, ai due protagonisti la pensione non basta. Per non parlare delle forze.
Sapiente la scelta dei tipi umani che sfilano davanti agli attoniti Antonio e Adelina, tutti con il proprio male di vivere e tutti con una più o meno condivisibile soluzione, spesso mascherata da apparente felicità. Si parte dalla rarefatta atmosfera dell’uomo con la bombetta, versione allungata di uno dei tanti protagonisti delle tele di Magritte, che sembra un Signore Grigio del romanzo «Momo» di Michael Ende.
E si prosegue con altri interessanti personaggi di una contemporaneità così prepotente da spiazzare i poveri Antonio e Adelina, che non nascondono le loro perplessità e le loro preoccupazioni, sebbene il primo balbettando sentenze più datate e la seconda sforzandosi di adeguarsi ai cambiamenti, specie se qualche ritocchino potesse farle perdere qualche anno…
È un po’ gioco dei ruoli dell’angelo buono e dell’angelo cattivo della coscienza, che però finisce quando i due vecchi sposi si guardano negli occhi disorientati, sconsolati ma intimamente felici di avere occhi in cui guardare.
Il momento di fare i conti arriva per tutti, e il tavolinetto della cucina, da confessionale diventa banco del giudizio, con l’Adelina nel ruolo di novello San Pietro ad ascoltare le conclusioni delle storie dei suoi ospiti.
Il finale, che ad un occhio distratto potrebbe sembrare banale, perfino buonista, nasconde la profonda realtà di un progresso che corre più veloce della capacità umana di adattarvisi.
Alla fine vince il buon senso, quel buon senso magistralmente padroneggiato dai due anziani locandieri dall’alto della loro assenza di titoli accademici. Quel buon senso che, in fondo, viene a chiunque si prenda una pausa dal proprio viaggio interiore, fosse pure in un “brekkenfaste” vicino Orvieto.
Mi piace però pensare che abbia vinto la memetica, ossia l’idea (mi si passi la brutale semplificazione) che qualche concetto primitivo e primario della cultura umana possa passare da una mente all’altra senza mai essere compiutamente espresso. L’esperienza turistico-terapeutica di Antonio e Adelina non è fatta di mare, di sole o di acque sulfuree, ma di una casa estremamente normale in cui si respira buon senso senza nemmeno accorgersene. Ma funziona lo stesso.
Grande Compagnia delle Vigne!!!