Riceviamo da Orvieto Città del Corpus Domini Collegium e pubblichiamo.
Sono almeno tremila anni e più che questa Rupe di Orvieto, intorno, sopra, dentro e sotto, rappresenta e costituisce – di fatto, cioè come luogo ben definito dello e nello spazio, del e nel tempo, in senso assoluto, e quindi inequivocabilmente inciso nella Storia universale, ed umana in particolare – punto di incontro, materiale ma anche materico, certamente sensoriale, esperienziale, sperimentale e perfino – per quanti riescano ad avere la fortuna di percepirle – E.S.P.; crocevia fisico, meta ed ultrafisico, di attività e moti di pensiero dell’umanità. Qui, ad Orvieto, come le fonti e i documenti archivistici, le vestigia e le emergenze archeologiche hanno finora potuto dar testimonianza tangibile e visibile e come le ricerche tutt’oggi in corso stanno evidenziando via via, sin dalla Preistoria è possibile rilevare traccia stanziale e del passaggio di qualche cultura e civiltà dell’umana società.
Se ve ne fosse il tempo, basterebbe poco poco per approfondire le conoscenze le notizie su queste tracce, che dalla Preistoria, delle emergenze sui colli del Peglia e Montarale, dal Cetona agli Amerini, giungono alla Cultura Villanoviana, dell’Età del Ferro, prodromica a quella Etrusca che di lì a breve si insedierà, e che prima degli Etruschi volle inumare i propri morti proprio nel cuore dei tufi trachitici d’Orvieto, dove riemersero nel Cinquecento durante lo scavo per il pozzo della Rocca, a noi meglio noto come di San Patrizio. L’Uomo, l’essere umano antico, atavico, ha scelto la Rupe di Orvieto come Luogo a lui Sacro; evocativo, cioè, del legame, della connessione, del cordone ombelicale, del rachide ancestrale tra quello che sta di Sopra e quel che sta quaggiù, sulla Terra ed ancora più sotto penetrando nel suo intimo profondo, ctonio.
La Civiltà Etrusca ha lasciato in questa terra orvietana molte tracce del proprio plurisecolare transito. Segni importanti. Santuari; recinti sacri; templi. Necropoli e tombe sparse. Cunicoli, mura, cave sotterranee. Reperti di somma arte raffinata, da quelli vascolari tipici di bucchero agli attici, dai bronzi all’oreficeria, dalle sculture alle suppellettili. L’Etruscologia ufficiale, non senza tuttavia fronde discordi fuori dal coro, ha voluto identificare infine Orvieto con Velsna, l’ultima città-stato nella confederazione della dodecapoli d’Etruria a cadere sotto Roma nel 264 a.C., presso cui sorgeva il santuario federale panetrusco; forse quel “Santuario Celeste” individuato dalla Professoressa Simonetta Stopponi che dirige gli scavi dell’Università degli Studi di Perugia al Campo della Fiera, che nella colonia romana di Volsinii, attuale Bolsena, dove i profughi della distrutta Velsna sottoposta al rito della damnatio memoriae furono deportati, sarà ricordato come Fanum Voltumnae. Santuario in onore del dio Vertumno, attributo di Tinia-Zeus, divinità femminile e maschile al contempo, della mutazione, del cambiamento, celebrata soprattutto alla maturazione dei frutti in Estate. Velsna è polo mercantile di estrema rilevanza territoriale, sulle principali direttrici di viabilità terrestre ed idrovie navigabili Tevere, Paglia e Chiani; viabilità che diverrà poi delle strade consolari romane Cassia e Traiana nova; delle Romee, Stadense, Germanica (Alemagna o Teutonica) e Francesca (Francigena); delle moderne intermodalità autostradale A1 “del Sole” e ferroviaria “Direttissima”, alta velocità. Baricentro regionale polarizzato nell’asse culturale, e geografico-storico, Chiusi-Orvieto, Chamars-Velsna; personificato in una delle più leggendarie figure di principi etruschi che fu Porsenna, re di Chiusi e Velsna. Un asse politico-geografico a controllo di un vastissimo territorio che dalla Valdichiana, all’Amiata, al lago di Bolsena, si spinge fino alla riva sinistra del Tevere, tra il Perugino, il Tuderte e l’Amerino. Porsenna, che da Velsna conduce la lotta vs. l’espansionismo di Roma, incarna il Mito dell’essere terreno paradivino che vince sulle forze della Natura, sul mostro Volta sputafuoco che minaccia la vita della principessa sul lago.
Anche per questa antica memoria del Luogo Sacro ancestrale, verosimilmente, quando i Goti nel secolo IV saccheggeranno mettendo a ferro e fuoco pure l’Etruria storica, la regione tusca, e Volsinii-Bolsena, la protodiocesi lì fondata secondo tradizione già nel I sec., migrerà col suo vescovo sulla Rupe orvietana; luogo conosciuto, consolidato nella Memoria, su cui si ha la certezza provata, perché naturalmente munito dalle sue rupi a strapiombo, e per la fertilità dei suoli sopra e alle pendici e le copiose sorgenti, di qualche garanzia di sicurezza. Un ritorno dunque. Una spola culturale tra Orvieto, Bolsena e Chiusi vecchia già, allora, di mille anni.
Il vescovo di Urbs Vetus, Orvieto medievale, per mandato imperiale è signore di quella terra in Tuscia Longobarda, che Daniel Waley ha definito Tuscia Orvietana, che diventerà Contea e Stato dal Tevere alle Maremme, di una città che si confronta alla pari con Roma, Firenze, Perugia, Siena, Lucca, Pistoia ed Arezzo; per non dire ovviamente di Assisi, Todi, Viterbo, Narni, Spoleto … Chiusi, Città della Pieve, Montepulciano, Montalcino, Sarteano, Cetona, Corneto, Montalto, Capalbio, Orbetello, Grosseto, Talamone, il Giglio, Saturnia, Manciano, Pitigliano, Sovana, Sorano, Capodimonte, Bisenzio, Valentano, Gradoli, Grotte, S. Lorenzo, l’Amiata, Radicofani, S. Casciano, Acquapendente, la Montanea Orvietana, da Monte Gabbione a Marsciano, Baschi e Civitella, Orte, la Teverina, in diverse riprese rientreranno nella giurisdizione orvietana medievale, di cui resta indelebile il ricordo negli elenchi delle donazioni di ceri e pallii che queste terre portavano all’Assunta, patrona del Comune o anche in occasione della solennità del Corpus Domini.
Orvieto, da quell’11 agosto 1264, è infatti la città del Corpus Domini, quando papa Urbano IV vi istituì detta solennità estendendola universalmente con bolla Transiturus. Intervennero nella redazione dell’officio e della stesura due dei massimi esponenti della filosofia e della teologia mondiale, rispettivamente, Tommaso d’Aquino, il doctor angelicus, e Bonaventura da Bagnoregio, doctor seraphicus. Entrambi, in Orvieto, cattedratici presso il locale Studium Generalis (l’Università del tempo), che ad Orvieto era già stato istituito per volontà pontificia ed imperiale nel 1013: tra le più antiche università del mondo!!! Proprio la Transiturus sarà la bolla che Gregorio X porterà, quale linea guida nel tentativo di ricomposizione dello scisma tra le Chiese d’Occidente e d’Oriente, nel II Concilio di Lione, dove finirà i suoi giorni Bonaventura (15 luglio 1274), lì come consigliere del papa. Nel tragitto la bolla finirà tra i codici donati dal pontefice alla gente di Val d’Ossola, a S. Lorenzo, pieve di Bognanco (dove sarà riscoperta negli anni ’60: del 1964, il “Messaggio di Orvieto” del beato Paolo VI che ha decretato “Urbisveteris Civitas Eucharistica”). Tra l’altro, sia il Santuario del Corporale custodito nella basilica cattedrale del duomo di Orvieto, reliquie del miracolo eucaristico di Bolsena che tradizione vuole risalente all’anno precedente, sia il Duomo stesso (posa della prima pietra, 1290), pur non direttamente connessi all’istituzione del Corpus Domini (omelia di S. Giovanni Paolo II, Orvieto, 1990), costituiscono un unicum culturale della comunità orvietana, sicuramente, universalmente riconosciuto.
Terra Sacra in quanto terra di riconosciuta manifestazione del Sacro dall’Uomo, nel corso dei millenni, questa antica Terra d’Orvieto. Non solo città eucaristica, dei papi, santuario sacramentale. Ma Luogo metafisico ancestrale. Meta dei popoli che corsero la penisola, dai Goti ai Franchi ai Longobardi ai Bizantini. Sito delle maestranze lombarde e dei costruttori di cattedrali, dei movimenti ereticali come dei cavalieri Templari e Teutonici. Rocca di monasteri e conventi di ogni Ordine regolare, in una terra di abazie, come quella premonstratense dei SS. Severo e Martirio o l’Abazia di S. Nicola di Monte Orvietano, tra Ficulle e Parrano, dove il monaco Graziano, col Decretum omonimo, scrisse le basi del Diritto Canonico. Orvieto è stata ripetutamente residenza pontificia, sede apostolica; Urbano non fu il primo né l’ultimo papa a risiedere stabilmente sulla Rupe. Onorio III, nel 1221, vi aveva ricevuto Francesco d’Assisi, prima o dopo la missione presso il sultano, il quale successivamente si recherà in Laterano per promuovere la Regola. Bonifacio VIII ne sarà addirittura capitano del popolo e con lui Orvieto consoliderà il controllo sulle Terre Aldobrandesche contese con Siena.
Il 24 maggio 1337, primo caso finora noto al mondo, il Consiglio comunale urbevetano regolamenterà nelle Reformagioni la Processione del Corpus Domini.
Tante tracce di arte, storia e cultura nella meravigliosa cornice ambientale e paesaggistica ancora integra di una terra fertile e irrigua, fonte, scrigno e cornucopia di prodotti agroalimentari, enologici, oleari, floroforestali e faunistici di prima qualità ed eccellenza.
Altro che ‘nicchia’! Cosa si può chiedere di più, se non a Dio, alla Sorte così benevola e prodiga? E invece ne rimangono di cose da chiedersi su come abbia mai potuto un luogo così ricco di tangibile materia, ingrediente di base e ricercato, per qualsiasi progetto di Turismo, d’ogni tipo e livello, perdere smalto ed appeal?
Il fatto è che maldestramente ci si è adagiati, almeno nell’ultimo ventennio, sull’esperienza vetusta obsoleta di vecchie concezioni di promozione turistica reputando sufficiente quella Orvieto che si bastava di per sé, grazie all’attrattiva del Duomo, del Pozzo, del Vino. Quando (però) di Orvieto c’era soltanto questa. Oggi, di bei borghi come Orvieto ve ne sono mille e più, dappertutto e a buon mercato. Mille fiere e festivals. Per non dire delle strambe malvagie politiche in favore dei vini rossi ‘all’americana’. Oggi bisogna sudarsela. Ambiente, paesaggi, bellezze artistiche e cultura, paradossalmente, da soli non bastano.
È necessario mettere in sistema queste risorse recuperando i valori identitari propri della civiltà del posto; il genius loci che si è andato formando e caratterizzando nel tempo: come ad Assisi con Francesco. Un brand garanzia di affluenza turistica non solo pellegrina, fondato su cultura e culto, su immagine e sostanza. On y soit qui mal y pense …
Insomma, per far fruttare la Cultura bisogna studiare parecchio e applicarsi; per progettare, avere visioni di fruizione utile del bene comune occorre creare tavoli e piattaforme operative con tutti gli attori interessati, del mondo amministrativo, pubblico ma anche diocesano, finanziario delle banche e fondazioni, della cultura e della formazione, imprenditoriale, associazionistico e del volontariato, dove poter sviluppare visioni lucide e prospettive della stratificazione culturale del posto in cui si viva; come ad Orvieto Terra del Sacro:
dal Santuario Celeste d’Etruria al Santuario del Corporale al Corpus Domini; sulle tracce lasciate dagli Ordini Mendicanti, dai catari Patarini e dai Templari; sulle orme di San Tommaso e San Bonaventura. Troppa grazia! Ma, tanto per cominciare …