di Danilo Buconi
Si narra che quando nacque la nuova formazione politica democratica essa sarebbe dovuta essere autosufficiente e quindi in grado di governare da sola. Riteneva, qualcuno, che cancellare le forze minori con “la forza della debolezza”, avrebbe consentito ai maggiori di divenire “maggioranza” in automatico. La storia fu invece un’altra: essi dovettero sempre governare con l’apporto fondamentale, determinante, dei piccoli. Come sta avvenendo anche oggi, dopo che 136 persone – credendo di rappresentare la maggioranza del Paese – hanno fatto cadere un governo per farne un altro, senza fare i conti – però – con la forza dei numeri parlamentari.
Gli argomenti usati dai sostenitori del SI alla fusione rischiano di ripetere gli show già visti e rivisti in tempi antecedenti e successivi agli appuntamenti elettorali: prima tante promesse, tanta bellezza, tutto il più bello possibile per tutti; dopo, a concretezza di risultati nulla, corone di giustificazioni per colpa di questo o di quello, di questa o di quella situazione. Ci si concentra sulle promesse adesso, senza avanzare alcuna ipotesi di riorganizzazione vera, lasciando tutto da allestire, perdendo di vista l’obiettivo più generale, e fondamentale, della sicurezza e del bene comune dei cittadini. Cioè quello di realizzare una Unione di Comuni e fare di essa uno strumento vero, centrale, epocale, di sviluppo del territorio.
Perché fare un comune più grande? Perché in questo modo i diritti per i cittadini si riducono drasticamente, diventa per loro ancor più difficile rapportarsi con chi li governa: potere accentrato su poche persone, maggiori distanze da percorrere per raggiungere i centri di potere, magari anche attraverso strade completamente abbandonate a se stesse. E così il maggior peso politico dovuto alla grandezza rende più semplice e possibile non negoziare alcuna questione con i cittadini. Così come rende meno probabile dover dare anche risposte ai cittadini. La riorganizzazione degli uffici sarebbe stata davvero possibile solo con lo strumento dell’Unione dei Comuni. Quello che è sicuro, comunque, è che non ci sarà alcuna migliore capacità di progetti, nessuna nuova attrazione per nuovi residenti, nessuna nuova impresa, nessun nuovo investimento.
Un comune più grande permette solo di allontanare le istituzioni dai cittadini. E di avere meno cura dei singoli paesi, delle realtà più lontane dal baricentro economico. E i tanto menzionati trasferimenti aggiuntivi dello Stato e della Regione sono previsti anche per le Unioni di Comuni, così come la possibilità di accedere in via preferenziale ai bandi regionali e nazionali. Una grande bugia è quella della sospensione del patto di stabilità interno, che con un comune più grande diverrà invece molto più stringente. Condizioni, tutte queste, che fanno di questo ipotetico nuovo ente un ente buio, misterioso.
Maggiori risorse serviranno invece per l’organizzazione dei servizi manutentivi, nulla cambierà circa i servizi socio-sanitari, non avremo alcuna riduzione del carico tributario e fiscale ma semmai l’esatto opposto, perderemo i servizi scolastici presenti in ciascun paese, ci vedremo magari propinare un servizio di trasporto modello “navetta” gestito da qualche privato.
Si parla del dito e non si guarda alla luna. C’è una crisi destinata a far sentire i suoi effetti ancora per molto. C’è l’esigenza di far ripartire un processo di crescita economica, sociale e culturale. C’è l’urgenza di dare nuove opportunità, visibilità, spazi, alle imprese e aziende locali e non di dare lustro una volta l’anno alle economie del resto d’Italia.
Con le promesse vuote non si va da nessuna parte. Non si affrontano le questioni vere. Non si fa il bene dei cittadini. Non si migliora la qualità della vita di tutti.
Per questo il 13 aprile occorre votare NO!