Dal locale …
Perugia verso la “Capitale europea della cultura 2019”. Noi fuori. Ma non è colpa di Perugia, o almeno non solo di Perugia.
Caro Pier,
lo scorso venerdi 17 marzo è comparso su “Umbria 24” l’articolo, che ti riproduco parzialmente di seguito, con cui Alessia Manti illustra la tre giorni organizzata a Perugia per celebrare l’ingresso in finale, insieme ad altre cinque città e territori, della candidatura di “Perugia con i luoghi di Francesco d’Assisi e dell’Umbria” a “Capitale europea della cultura 2019”. Tre giornate esemplificative di un progetto molto ambizioso, per la mole di investimenti previsti (almeno 200 milioni di euro) e per la portata delle trasformazioni permanenti in dimensione europea.
Quando il 12 giugno 2013 si tenne l’iniziativa «Verso la Capitale Europea della Cultura 2019» per presentare il progetto di candidatura, era già chiaro che la cosa riguardava Perugia, un po’ meno Assisi, e l’Umbria era di contorno. La tre giorni, pur coinvolgendo marginalmente anche Norcia, ne è una chiara conferma. L’Umbria al massimo fa da sfondo. Qualche città farà poi da comparsa. Magari da qualche parte comparirà anche il nome di Orvieto. Ma la sostanza non cambia.
La responsabilità tuttavia per me non è tanto della “cattiva Perugia”, quanto della “distratta Umbria” e con particolare evidenza della “dormiente Orvieto”. Ritengo un delitto non essersi adoperati per entrare nel progetto a pieno titolo. Mi dispiace doverlo ricordare io stesso, ma fui io a sollevare la questione della partecipazione a pieno titolo della nostra città quando era ancora il tempo delle scelte e però il mondo politico e istituzionale restò del tutto chiuso e indifferente. Brutto segno di una cultura della rinuncia. Riusciremo ad invertire finalmente la rotta? Tu che ne dici?
Franco
“Una piccola anticipazione di come potrebbe essere il 2019 e una grande festa che vuole far sentire la candidatura di «Perugia con i luoghi di Francesco d’Assisi e dell’Umbria» a Capitale europea della cultura qualcosa di tutti . «Siamo in finale. Saremo capitale», è il weekend dedicato all’importante traguardo che ha visto Perugia entrare nella short list delle «splendide sei» nella corsa al titolo. Dal 28 al 30 marzo tra il capoluogo, Assisi e Norcia oltre una sessantina di eventi culturali ad ampio raggio, con un cartellone di qualità e articolato in modo da andare incontro a gusti e richieste diverse.
L’iniziativa in tre giorni Tre giorni intensi, intrattenimento e spettacolo ma anche riflessione sui temi dell’Europa tra convegni, concerti, web radio, cinema, visite guidate, rappresentazioni teatrali, osservazioni astronomiche, sport, giochi ed altro, sia in città che «nei luoghi di Francesco d’Assisi e dell’Umbria». Proprio come lo spirito della candidatura che, in un fine settimana, sarà ancor di più all’insegna della partecipazione e del coinvolgimento dei cittadini. Della tre giorni ne hanno parlato a Palazzo dei Priori i sindaci di Perugia, Wladimiro Boccali, e di Assisi, Claudio Ricci, il presidente della fondazione Perugiassisi 2019, Bruno Bracalente, e l’assessore perugino alla cultura, Andrea Cernicchi. Presenti in sala gli operatori che hanno contribuito alla realizzazione del programma.
I luoghi dello slogan «È nello spirito del nostro progetto coinvolgere tutta la comunità, non abbiamo mai voluto che la candidatura fosse un fatto elitario di classi dirigenti – ha detto Boccali, specificando che i tre giorni di festa per Perugia 2019 serviranno a porre l’ attenzione sui luoghi della trasformazione urbana, «quelli che più di altri sono simbolo di una idea di sviluppo nuova, ma che è già in atto». «In questi tre giorni fabbricheremo luoghi di incontro e socialità nelle piazze – ha sottolineato Ricci – dove faremo conoscere meglio il progetto ai nostri cittadini. Cominciamo a sperimentare in piccolo il clima della capitale europea della cultura». E il primo luogo fabbricato dalla candidatura è la Fondazione, definito da Bracalente «luogo di coinvolgimento e progettazione». «’Saremo capitale’ sarà, nelle nostre intenzioni, una grande festa con un obiettivo, far sentire la candidatura come un fatto di popolo con una evidente dimensione europea, quindi oltre ogni limitazione di tipo localistico». …”
È vero, l’avevi detto e nessuno si è mosso. “Mi meraviglio che tu ti meravigli”, diceva il buon Dante Duranti. Invece di arrabbiarci, prendiamo atto che Orvieto è “dormiente” e vendiamola come un posto dove si dorme bene. Del resto c’è tanta gente al mondo che ha voglia di dormire e cerca un posto dove poterlo fare senza che artisti e intellettuali, attirati dalla effusione di soldi pubblici, accorrano a turbare la pace e il silenzio con convegni, concerti, mostre e via dicendo. Proibiamo la musica nei bar e la sosta fuori dei bar. Diamo un assessorato al “comitato antirumore”. Gli assonnati di tutto il mondo si passerebbero la parola e si trascinerebbero pigramente a Orvieto per gustare belle dormite nella “capitale europea del bromuro”. Albergatori, ristoratori, commercianti e custodi di cessi pubblici si arricchirebbero sugli sbadigli altrui, invece di passare la vita a sbadigliare. Sto scherzando o sto profetando? Prendila come vuoi, ma i segni del tempo sembrano darmi ragione.
… al globale
Sfoltire i dirigenti pubblici va bene, ma come? Forse le modalità di televendita non sono le migliori
Caro Franco,
ti propongo un pezzo tratto da www.huffingtonpost.it sul battibecco a distanza tra due signore ministro. Quanto a me, in linea teorica, non posso che dar ragione alla saggia Giannini; ma, conoscendo la situazione italiana, tifo per la drastica Madia. Puoi tirarmi fuori dalla ambasce?
Pier
“«Non amo il collegamento tra chi va a casa e chi entra. Un sistema sano non manda a casa gli anziani per far entrare i giovani. È necessaria un’alternanza costante». Stefania Giannini, ministro dell’Istruzione, arrivando al convegno di Confindustria a Bari, ha bocciato clamorosamente le proposte della collega Marianna Madia.
Il ministro della Pubblica amministrazione aveva infatti avanzato un’idea: «Se in un posto mando in pensione leggermente anticipata tre dirigenti, non devo per forza sostituirli, magari basta prendere un funzionario. Con questa staffetta generazionale riduco, svecchio e risparmio.» Insomma, tre anziani a casa, un giovane dietro la scrivania. «Spero che i sindacati collaborino», aveva aggiunto il ministro; che, nella sua opera di convincimento, dovrà partire da chi le siede accanto in Consiglio dei ministri. «Il precariato è una deformazione patologica del principio della flessibilità,» ha aggiunto Giannini «che va restituito alla sua fisiologicità. Un Governo che crede nella flessibilità e non nella sua patologicità, deve trovare gli strumenti e lo sta facendo.»”
Caro amico, non so se con il mio ragionare potrò tirarti fuori dalle ambasce, perché le tue sono quelle di chi sa ben distinguere tra funzionamento normale di una società sana ed emergenza di una società malata, e però, dovendo scegliere, dà priorità all’emergenza. Comprendo, è buonsenso, forse è giusto così. Anche perché le due signore ministre non si stanno intrattenendo in un generico ed innocuo discutere se nella pubblica amministrazione sia meglio avvalersi dell’esperienza o fare iniezioni di entusiasmo, ma dibattono di come affrontare contestualmente e con urgenza due questioni entrambe molto serie, con sullo sfondo la ragione che ne aggrava l’urgenza. Le due questioni sono da una parte la sproporzione scandalosa tra numero di dirigenti e numero di impiegati (in Italia 1 ogni 34, in Francia 1 ogni 11), e dall’altra la disoccupazione giovanile oltre la soglia del 40% (a gennaio 2014 era arrivata al 41,6%); la ragione che ne aggrava l’urgenza è il pessimo stato della pubblica amministrazione, che costa tanto e produce poco, con poche eccezioni sia di settore che di posizione geografica. Ripeto: la tua è un’incertezza di orientamento ampiamente giustificata, come in assoluto lo sono le posizioni pure contrastanti delle due ministre. E tuttavia …
Tuttavia per come la pone Marianna Madia (ho letto la sua intervista integrale sul Corriere della sera di sabato) la cosa non mi piace. E non certo perché, come ella dichiara, si vorrebbe dare stabilità di lavoro ai giovani e risolvere il problema dei precari mandando in pensione anticipata di qualche anno un bel numero di dirigenti. Ma perché la formula coop “prendi tre paghi uno” applicata alla pubblica amministrazione non è solo un approccio da televendita ad un problema altrimenti complesso, ché di fatto tralascia tutte le questioni connesse con un’operazione di riforma reale, stabile e duratura, che si fondano essenzialmente su analisi attente di qualità dei servizi e scelte selettive di compiti indispensabili, competenze necessarie e capacità personali adeguate.
Insomma, è questo approccio sbrigativo che non mi piace (analogo a quello delle sforbiciate istituzionali senza una visione complessiva e rigorosa di come deve funzionare il nuovo sistema). Perché so per esperienza consolidata che il fare per fare, anche quando fosse giustificato (e per molti versi lo è) dalle urgenze derivanti da un lungo non fare e/o da un fare lungamente sbagliato, può riempire di smodata passione il cuore dei numerosi rivoluzionari della domenica, ma non risolve i problemi di fondo.
Si stabiliscano piuttosto tetti veri per gli stipendi dei dirigenti ai vari livelli, livelli standard di rapporto numerico tra dirigenti e impiegati e blocco del turn over finché tali livelli non siano stati raggiunti, standard di funzionamento dei servizi, assunzioni per concorso con procedure rigorosamente selettive e trasparenti per competenze e capacità, sistemi di monitoraggio e valutazione periodica senza eccezione alcuna sul modello funzionante in altri paesi. Quanto vogliamo scommettere che le cose nel giro di qualche anno prenderebbero una piega ben diversa?
Mi rendo conto che forse sto sognando. Questo infatti è un modo di ragionare che appartiene alla cultura riformatrice dei paesi democratici a livello elevato di civiltà. Noi mi pare che siamo piuttosto lontani. Per ora mi viene dunque da dire solo speriamo che ce la caviamo. E già sarebbe tanto.