Dal locale …
La Provincia annuncia di chiudere con un attivo di ottocentotrentatremila euro. Ma è un successo o l’indice di un clamoroso fallimento?
Caro Pier,
mi ha colpito molto questa notizia pubblicata da OrvietoSi lo scorso 14 marzo. In passato una simile notizia sarebbe risultata degna di attenzione perché rara. Oggi lo è, così mi pare, perché strana. Ci si può chiedere infatti: ma come, lo stato dei servizi è disastroso (strade ridotte a groviera, manutenzione degli edifici inesistente, uffici e servizi senza possibilità di operare, lentezza e carenza di risposte, ecc.) e ci si vanta di aver chiuso il bilancio in attivo? È evidente che non conta più lo stato reale delle cose, ciò per cui un ente esiste, ma l’immagine del momento, che oggi non è il rapporto con un soggetto concreto, i bisogni dei cittadini, ma quello con un soggetto astratto, la spending review. Se però un ente separa il bilancio dalle sue funzioni, perché dovrebbe esistere? Infatti si chiude, o almeno così si promette. Io non rimpiangerò questa politica che mette al primo posto la propria esistenza e al secondo o anche più giù le cose che la giustificano, i servizi per il cittadino. Mi auguro che si passi finalmente ad altro, inaugurando quella che chiamerei la stagione della responsabilità diffusa. Tu che ne dici?
Franco
“Ammonta a 833mila euro l’attivo di amministrazione relativo al rendiconto di bilancio 2013 approvato ieri dalla giunta provinciale di Terni. Il documento contabile conferma i positivi risultati della spending review interna che ha consentito all’amministrazione di Palazzo Bazzani di chiudere in attivo l’esercizio 2013 e di lasciare, a fine mandato, un ente sano e con i conti in ordine. Nonostante i fortissimi tagli ai trasferimenti da parte di Stato e Regione si è comunque riusciti a garantire la continuità e il mantenimento dei servizi e a mettere in campo iniziative innovative per la valorizzazione e lo sviluppo del territorio. La Provincia ha attuato una politica finanziaria rigorosa, particolarmente attenta ed equilibrata riducendo di oltre l’83% gli incarichi esterni, del 75% le auto di rappresentanza, per le quali l’ente spende solo 15.000 euro, di un altro 75% le spese di rappresentanza e del 95% quelle per i convegni, con l’azzeramento dei costi per la pubblicità.”
Un disavanzo di amministrazione, così come un grande avanzo di amministrazione, è segno di cattiva gestione. L’optimum è un piccolo avanzo di amministrazione. Queste sono regole classiche e di buon senso della finanza degli enti locali. L’avanzo realizzato dalla Provincia di Terni sarebbe modesto in tempi normali, ma in tempi di strade dissestate e di edifici scolastici maltenuti non va bene. Ma posso capire che gli amministratori provinciali, nell’uscire da una porta che non varcheranno mai più, facciano il gesto dell’ombrello. Da vari anni sono trattati da amministratori di un ente inutile, non si può pretendere che se ne vadano col sorriso sulle labbra. Vedrai, caro Franco, quanto frigneranno i senatori quando dovranno fare harakiri. Perciò concediamo agli amministratori provinciali qualche attenuante se non sono riusciti a spendere quanto avevano da spendere per salvare le sospensioni delle nostre automobili. Il popolo non li ama e loro non amano il popolo.
… al globale
La democrazia non è un regalo
Caro Franco,
ti propongo alcuni passi significativi del commento di Alberto Mingardi al libro di Ilya Somin
“Democracy and Political Ignorance: Why Smaller Governement Is Smarter”, pubblicato dal Sole24Ore del 9 marzo. La conclusione del libro è che tutti i rimedi escogitati per limitare i danni del suffragio universale hanno effetti parziali. Tu come la vedi?
Pier
“I teorici della democrazia presumono che i governati siano in grado di fare scelte consapevoli e informate… Tranne che in contesti davvero ridotti, è pressoché impossibile che il voto di un singolo conti qualcosa. Di norma le persone dedicano molto più tempo a informarsi sulle caratteristiche di un paio di scarpe o di un telefono cellulare, di quello che impiegano per leggere di politica. Questo non significa che pensino che uno smatphone sia più importante del futuro del Paese in cui vivono. Ma se comprano un telefono che non fa al caso loro, ne pagano immediatamente le conseguenze…. La politica somiglia molto alla prosecuzione del calcio con altri mezzi: ci si divide per appartenenze, si eredita il partito come la squadra del cuore. Non è possibile fare gol, determinare direttamente l’esito della sfida: quello sta ai ventidue che sono in campo. Ma ci si può sgolare in curva, dare la colpa all’arbitro, sviluppare ogni sorta di teoria sull’indegnità morale dell’avversario. Secondo numerose ricerche, le persone più politicamente informate sono proprio quelle più “tifose”. Ed esattamente come gli ultrà non mettono ciò che apprendono al servizio di un giudizio razionale e freddo, lo usano invece per confermare le proprie antipatie…”
Che la democrazia sia piena di difetti è noto. Per quella ateniese ci si può riferire ai racconti di Senofonte e alle riflessioni di Platone e di Aristotele. Per quella moderna si possono citare via via non so quanti autori, a partire naturalmente dal più grande di tutti, Alexis de Toqueville. Possiamo anche arrivare a dire fondatamente che spesso la democrazia si comporta come la mantide religiosa che decapita l’amante per rendere più efficace l’accoppiamento: basti pensare alla vicenda di Winston Churchill, che non ebbe confermata la fiducia dagli inglesi dopo che li aveva salvati dal nazismo.
Ma sono stati proprio Toqueville e Churchill ad affermare con grande forza di argomentazione che nei sistemi democratici i pregi superano abbondantemente i difetti. Dunque sarà opportuno ribadire sempre che, nonostante tutto, è bene che la democrazia ce la teniamo stretta.
Poi, certo, ragioniamo pure dei problemi che si pongono per il suo effettivo esercizio, possibilmente senza paraocchi. Possiamo naturalmente andare anche alla questione delle questioni, ossia se alla luce dell’esperienza il voto sia la forma migliore per scegliere i governanti. Ilya Somin ci dice che l’ignoranza del popolo è diffusa e in sostanza il voto del singolo cittadino conta poco e niente. Perciò gli effetti del suffragio universale si potranno mitigare (limitando il suffragio, istituendo una specie di “patente dell’elettore”, e soprattutto con il federalismo), ma mai eliminare del tutto.
Mi permetto di far notare che c’è chi è andato oltre, e non mi riferisco ai grandi teorici del pensiero conservatore e reazionario del passato, ma a scrittori e storici della cultura che riflettono sui limiti delle democrazie del nostro tempo e ne sognano il miglioramento. Ad esempio il belga David Van Reybrouck, che ha pubblicato a Parigi, da Babel, un libro dal titolo emblematico “Contre les élections”. Egli sostiene che alle elezioni si dà troppa importanza e che sarebbe bene sostituire il voto con il sorteggio, forse anche memore di ciò che prevedeva il sistema ateniese, nel quale esisteva un bilanciamento tra organismi eletti e organismi sorteggiati.
Si tratta di puri esercizi teorici, utili magari come stimoli per una riflessione non banale. Sappiamo tuttavia che la democrazia è stata una conquista lunga e faticosa, ottenuta quasi sempre a conclusione di lotte drammatiche dovunque si sia affermata. Sappiamo anche che la sua conservazione richiede un impegno diuturno. Sappiamo infine che il suo esercizio comporta l’assunzione diffusa di responsabilità. Sappiamo, sappiamo, sappiamo. Eppure abbiamo l’impressione che ci sta deperendo tra le mani.
La democrazia è creatura delicata. Io però ho tanto l’impressione che non abbiamo ancora capito bene la sua natura. Di più, che abbiamo perfino dimenticato che è stata conquistata, che non è una gentile concessione. Mi auguro che almeno si comprenda che essa è l’unico sistema che consente, se se ne è capaci, non solo di rinnovare costantemente il rapporto tra libertà individuale ed eguaglianza sociale, la sua essenza, ma di autocorreggere i guai che provoca senza che si debba buttar via il bambino con l’acqua sporca.