Orvieto. Per avere un po’ di speranza “ci vuole un fisico bestiale”
Caro Franco,
ti propongo la seconda parte di un recente articolo di Massimo Gagnarini. Il succo è che gli Orvietani devono smetterla di piagnucolare e, alle prossime elezioni comunali, devono votare oculatamente per scegliersi una nuova classe dirigente. Evidentemente Massimo confida che tra i candidati ci saranno un numero sufficiente di elementi per rinnovare la classe dirigente. Anche tu ne sei convinto?
Pier
“No! Non siamo centrali e non lo siamo più neanche rispetto a quello che una volta veniva chiamato comprensorio orvietano che, invece, proprio in questa fase sta dimostrando a tutti maggiore vitalità, spirito di innovazione e grande coraggio come sul tema dell’ unione dei comuni. Torneremo ad essere centrali solo e quando avremo compreso finalmente non cosa devono fare gli altri per Orvieto, ma quello che potrà fare Orvieto per sé e per gli altri. In altre parole ci serve una nuova classe dirigente cittadina che abbia ben chiaro il concetto di creare la ricchezza e non quello di distribuire la ricchezza. A cominciare dal Comune le risorse per evitarne il fallimento e per fungere da volano per tutta l’economia cittadina si trovano attraverso la messa a reddito dei nostri beni culturali e delle nostre infrastrutture di mobilità e accoglienza e del patrimonio immobiliare da valorizzare. Per questi motivi non basta rinnovare il Sindaco e il consiglio comunale ispirandosi alle sigle e ai partiti (tutti) che parteciperanno alle prossime elezioni comunali di maggio come si trattasse di una gara ideologica, occorre votare le persone, mettere il nome, scrivere la preferenza per coloro che il buon senso ci può indicare come le più adatte, le più preparate e le più capaci. Non è difficile! Faremo così un passo avanti.”
caro amico, io con l’aria che tira non sono convinto di niente. So anch’io quale risultato bisognerebbe ottenere per ridare alla nostra amata città una speranza di futuro, ma al momento non mi appare chiaro il come, ché anzi, a dire il vero, temo anche il peggio. E anche per il chi penso che bisognerà attendere almeno un po’. Non vedo infatti ancora la necessaria lucidità di analisi e atti di coraggio sufficienti a svincolarsi dai pesanti condizionamenti, oggettivi e soggettivi, che ci hanno portato all’attuale scivolamento progressivo verso il basso.
Come sai, io mi sforzo sempre di stare più sul positivo che sul negativo, ma nessuno si offenda se dico che qui per guardare avanti “ci vuole un fisico bestriale”. Credo tuttavia che noi del COVIP, se non ce lo avevamo, in questi anni ce lo siamo fatto venire. Cosicché, quando Massimo Gnagnarini dice che “ci serve una nuova classe dirigente cittadina che abbia ben chiaro il concetto di creare la ricchezza e non quello di distribuire la ricchezza”, io mi ci ritrovo perfettamente perché è il filo conduttore delle nostre riflessioni e delle nostre proposte. Quale è stato infatti, a partire da una certa data, il limite della cultura di governo della sinistra? E quale quello successivo della destra? Rispondo con sicurezza che è stato lo stesso: la rincorsa al problema del momento, lo schiacciamento sulle urgenze del presente, e la contestuale rinuncia al progetto, alla sfida del futuro. Insomma un problema di cultura politica, di visione, prima che di finanza e di gestione.
Allora, che cosa vuol dire, giunti a questo punto, rinnovare la classe dirigente? Vuol dire non semplice ricambio di persone e nemmeno di presunte ideologie (che peraltro non si sono certo viste in azione come forze propulsive, piuttosto semmai come zavorre sparse qua e là), ma di cultura di fondo, direi di disposizione della mente e di scala degli interessi. Per evitare di correre dietro ai troppi e troppo improvvisati predicatori dell’azzeramento, parlerei di rinnovamento anche come riorientamento delle persone che vengono da stagioni amministrative diverse. Perché i cambiamenti veri non avvengono mai nel vuoto, e l’intelligenza umana tra l’altro è la capacità di capire il contesto e di gestirsi nella sua cangiante complessità.
Certo, avere in testa la bussola che consente di orientarsi nel cambiamento della realtà sia prossima che lontana non è scontato per nessuno e comunque non è prerogativa di tutti. Ci sarà dunque un numero sufficiente di candidati con in testa la bussola del cambiamento? Di cittadini sì, di candidati non so. Dipenderà dal fatto che ci sia un candidato sindaco che, al di là di qualche pur necessario compromesso, faccia nettamente prevalere quel concetto di rinnovamento di cui ho detto sopra. Che cioè permetta ai cittadini di leggere programma e gruppo di governo come espressione non di gruppi di potere che vogliono conservare se stessi, ma di una città intera che vuole scrollarsi di dosso il declino e vuole riconquistarsi un posto nel futuro, con intelligente orgoglio, realismo e nel contempo lungimiranza.
Com’è noto, il 20 gennaio 1961 John Fitzgerald Kennedy nel suo discorso di insediamento pronunciò queste memorabili parole: “Non chiedere che cosa può fare il tuo Paese per te, chiedi che cosa puoi fare tu per il tuo Paese”. Sono le parole che ora Massimo riprende per proporle come cifra di una auspicata nuova classe dirigente locale. Non so se così effettivamente sarà e se esse troveranno un ancoraggio effettivo nella prospettiva di governo della città, ma so che sono parole vere, e per ciò che significano credo che valga ancora la pena spendere per esse un po’ delle nostre energie. Dunque ripeto: visione, progetto, speranza, futuro. Qui sta ancor oggi il vero realismo!
… al globale
Una soluzione per il Senato: abolirlo del tutto non conviene
Caro Pier,
con questo titolo Angelo Panebianco sul Corsera di venerdi scorso discuteva la situazione che si è venuta a creare con l’accordo Renzi-Berlusconi sulla legge elettorale, che prevede la sua applicabilità solo per la Camera, mentre per il Senato, fino alla sua proclamata abolizione, resterebbe in vigore il sistema proporzionale scaturito dalla nota sentenza della Corte Costituzionale. Panebianco propone una soluzione che gli appare funzionale soprattutto rispetto alla delicata situazione politica e istituzionale che si è venuta a creare. A me sembra semplicemente più razionale, sia perché le soluzioni che rincorrono il vento dell’antipolitica mi appaiono miopi, sia perché un Senato senza funzioni reali, cioè senza poteri, composto da sindaci e presidenti di regione (questa la proposta di Renzi), una specie di ANCI allargata, diventerebbe una specie di barzelletta istituzionale e una fatica insensata. Mi chiedo: ma possibile che tutti, compreso l’uomo forte del momento, per apparire sintonici con un popolo arrabbiato, pensino di sfangarla facendo finta di fare caccia grossa con il fucile a piombini? Possibile che non si riescano a concepire se non soluzioni parziali, del momento e senza disegno generale? Tu che ne dici?
Franco
“Era previsto che la nascita del governo Renzi avrebbe reso ancor più impervio di quanto già non fosse in partenza il cammino della riforma elettorale. Poiché comportava la tacita sostituzione del patto Renzi-Berlusconi con un patto Renzi-Alfano. Adesso siamo nei pasticci: se verrà fatta una riforma elettorale valida solo per la Camera, e se poi la riforma del Senato non ci sarà, voteremo con due sistemi elettorali molto diversi per i due rami del Parlamento. Il che significa ingovernabilità garantita. Nel medio termine si tratta, per la democrazia, di uno scenario da incubo, weimariano. La classe politica se ne rende conto? … Nella nuova congiuntura è dunque diventata vitale la riforma del Senato. È come se Renzi si fosse bruciato i ponti alle spalle. Se il premier vuole davvero farcela deve andare al di là delle suggestioni e delle proposte estemporanee. Deve trovare una buona soluzione tecnica. Essa è già a disposizione. È reperibile nei primi tre capitoli della relazione finale della «Commissione per le riforme costituzionali» presieduta dall’allora ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello: la commissione che i mass media battezzarono, impropriamente, dei quaranta «saggi» e che svolse i suoi lavori tra il giugno e il settembre dello scorso anno. … Si toglie al Senato il potere di dare la fiducia al governo e se ne fa luogo di vera rappresentanza delle autonomie territoriali (il che implica che si intervenga anche sul Titolo V, sui rapporti centro-periferia). Nel rispetto della tradizione italiana, si preservano dignità e ruolo della Camera alta mediante un’accorta differenziazione delle funzioni dei due rami del Parlamento. A Renzi converrebbe riprendere quel progetto alla lettera, senza modificarne nemmeno una virgola. Per due ragioni. Perché è tecnicamente solido. E perché promette di esserlo anche politicamente: il partito di Alfano, di cui Quagliariello è un esponente di primo piano, non potrebbe non sostenerlo. A sua volta, Berlusconi non avrebbe motivo per opporvisi. Risultati delle elezioni europee permettendo, non si intravvede altra strada per uscire dal pasticcio in cui ci troviamo.”
Il Senato non è stato ancora riformato e già si comincia ad averne nostalgia, come accadde per la messa in latino. Si comincia qua e là a parlare della sua storia, come se fosse una storia gloriosa; si ricomincia a chiamarlo Camera Alta, mentre di alto non ha avuto mai niente. Questo residuato dell’Italia dei notabili, democratizzato nel dopoguerra per portare quasi a mille il numero dei parlamentari ha il solo pregio che, avendo la metà dei componenti della Camera, lavora meno lentamente. Quanto all’idea di conferirgli analoghe a quelle della Camera è stata nociva fin dall’inizio e la nocività è andata continuamente crescendo. Quindi va messo in condizione di non nuocere e l’alternativa sarebbe solo l’abolizione della Camera dei deputati. La soluzione ragionevole prospettata dai saggi di Napolitano credo che rimarrà nel cassetto perché il treno della riforma costituzionale meditata è tramontato quando non si dette retta a Cossiga che proponeva la istituzione di una assemblea costituente. I due rami del parlamento che ci ritroviamo non sono in grado di tirar fuori niente di meditato. Hanno altro per la testa. Il loro scopo è quello di durare fino al 2018. Matteo Renzi l’ha capito e gioca sul fatto che le elezioni anticipate deputati e senatori non le vogliono, compresi coloro che le chiedono un giorno sì e l’altro pure. Mandare a Palazzo Madama alcune decine di presidenti di regione e di sindaci costerà poco, anche se sarà utile soltanto per evitare che il governo venda il Palazzo.