Dal locale …
Le preoccupanti rassicurazioni dell’assessore Pizzo
Caro Pier,
ti confesso che in un primo momento avevo pensato di proporti per il commento di questa settimana qualcosa che riguardasse la lotta in corso per diventare sindaco della nostra città. Ma poi, considerando l’attuale fluidità del tema, la sensazione di incontrollabile repulsione che induce ormai la politica politicante, e non ultimo il fatto stesso che tu hai già dedicato a questo argomento un graffiante corsivo al succo di Aristotele, ho cambiato settore di interesse. Ho scoperto, venerdì scorso, questo pezzo di OrvietoSi dedicato all’assessore al bilancio Piergiorgio Pizzo. Credo che lui abbia voluto rassicurare in qualche modo i cittadini circa i livelli di tassazione per il 2014. Io però non mi sono sentito affatto rassicurato, su nessuna delle questioni. E poi mi chiedo: possibile mai che non ci si possa porre l’obiettivo di rendere stabilmente equo il prelievo, ad esempio controllando perché due case uguali paghino imposte differenti, o verificando se non sia possibile legare la tassazione dei rifiuti alla quantità e alla tipologia prodotta piuttosto che alla metratura delle superfici abitate, o dichiarando lotta senza quartiere, vera ed efficace, ai furbi di ogni tipo, evasori, elusori, inquinatori, imbrattatori e seminatori di rifiuti? E infine, perché non ci si pone sul serio il problema di come fare sviluppo, che vuol dire anche progettare contemporaneamente la diminuzione del prelievo e il miglioramento dei servizi? Sto sognando un mondo impossibile? Tu che ne dici?
Franco
“L’assessore al Bilancio Piergiorgio Pizzo anticipa il quadro del nuovo sistema tributario. Nell’ottica della stesura del bilancio 2014, l’Amministrazione e gli uffici comunali stanno lavorando all’introduzione della nuova imposta unica comunale IUC comprendente, come è noto: IMU (seconde case e stabilimenti industriali), TARI (la vecchia Tarsu sui rifiuti) e TASI (IMU prima casa e servizi indivisibili).
Ad anticipare il quadro del nuovo sistema delle tariffazioni tributarie è l’Assessore al Bilancio e Tributi Piergiorgio Pizzo che afferma: “per non gravare ulteriormente i cittadini, l’Amministrazione Comunale non adotterà la maggiorazione d’imposta per finanziare le detrazioni. Relativamente alla TARI, grazie ai successi raggiunti dalla Raccolta Differenziata, nel 2014 ci sarà una riduzione sensibile del tributo rispetto al 2013, specie per le attività produttive. Dopo la parentesi del 2013 con la mini-Imu, con la TASI, che di fatto è una IMU prima casa mascherata, non ci saranno sostanziali aumenti rispetto all’IMU prima casa che era stata pagata dagli orvietani nel 2012, piuttosto in alcuni casi, ci saranno delle riduzioni”.
“In pratica – conclude – con la IUC la pressione fiscale non aumenterà nel 2014, anzi per le imprese che nel 2013 hanno pagato IMU e TARSU si verificherà una riduzione sostanziale”.
Le dichiarazioni dell’assessore Piergiorgio Pizzo fanno girare il capo; prima di tutto a lui stesso. La legislazione nazionale in materia di tributi locali è un prodotto abortivo scaturito dalla impotenza del parlamento, dalla inefficienza del governo e dalla crudeltà della burocrazia che non sa e non vuole fornire al governo dati reali e previsioni credibili. Molti si meravigliano che i contribuenti ancora non abbiano appiccato il fuoco ai municipi e fatto saltare in aria le sedi di Equitalia. Tento una spiegazione. I contribuenti sopportano lo stress della confusione e pesantezza fiscale comunale perché si consolano condividendo i benefici dell’evasione di imposte dirette e indirette con agricoltori, ristoratori, professionisti e commercianti. No, caro Franco, non ritengo possibile, nel contesto attuale, programmare alcunché fino a quando la legislazione tributaria non avrà raggiunto un minimo di stabilità.
… al globale
Reddito di cittadinanza, il modello sociale europeo che l’Italia ignora
Caro Franco,
Un articolo di Giovanni Perazzoli pubblicato qualche anno fa dalla rivista Micro Mega mi sembra che sia oggi attualissimo perché mette il dito in una piaga tutta italiana: protezione delle corporazioni di ogni genere e abbandono a se stessi di poveri e disoccupati nel presupposto che in qualche modo si arrangiano, anche dando una mano alle mafie. Possibile che una delle nazioni più avanzate del mondo non riconosca a tutti il diritto di avere (senza accattonare, senza gravare sulle spalle delle famiglie e senza delinquere) di che sfamarsi, vestirsi, ripararsi dal freddo e curarsi? Ce lo deve ricordare Beppe Grillo?
Pier
“… In Italia non si sa neanche che chi in Europa (Francia, Germania, Gran Bretagna e non solo Danimarca, Svezia…) non guadagna abbastanza ottiene un’integrazione del reddito, e anche chi lavora part time ottiene un’integrazione del reddito. Poi si scopre che in Italia il reddito medio è da miseria. E tutti si sorprendono. Ma veramente in Italia si ignora l’abc dello stato sociale? Mi pare strano da credere. L’esistenza di quello che di fatto è un reddito di cittadinanza in Europa spiega molte cose che in Italia vengono riproposte, lasciatemi dire, in modo del tutto assurdo. Spiega la flessibilità europea (peraltro di gran lunga minore che in Italia), spiega l’assenza di lavoro nero, spiega l’assenza delle massicce raccomandazioni, spiega anche il fatto che le persone competenti occupino in genere il posto che compete loro (mentre così non è in Italia). Non capisco perché nonostante l’Europa raccomandi dal lontano 1992 all’Italia di introdurre un reddito di cittadinanza questo non succede neanche con la crisi. E soprattutto è incomprensibile che a sinistra nessuno ne parli chiaramente. A chi giova? Evidentemente a qualcuno gioverà.… Possibile che nessuno abbia capito che quello che manca in Italia è quella sicurezza economica che viene dalla rete dei sussidi che permette alle persone di cambiare lavoro con relativa tranquillità soprattutto da giovani? … Possibile che non si capisca il significato di apertura del mercato e della protezione sociale? Non significa licenziare in massa la gente, significa fare in modo che i giovani possano sperimentare le loro possibilità e le loro idee in un mercato aperto e non controllato dalla corporazioni e dalle varie rendite (vera potenza italiana). È per questo che l’Europa chiede le liberalizzazioni, non certo per perseguitare i tassisti… Liberalizzare significa aprire l’accesso alle professioni senza doversi fare un tessera di partito, pagare tangenti, essere parte di un sistema di potere, di una lobby famigliare, politica, religiosa ecc. Significa che in Italia uno che vuole fare il giornalista o il notaio non debba essere figlio di un giornalista o di un notaio, significa che se vuole aprire un negozio si viene aiutati (come avviene in tutta Europa) e non ostacolati. È così difficile da capire? Aprire il mercato significa andare un po’ a vedere come si fa carriera nella televisione di stato, alla Rai. Significa andare a vedere quanti sono i figli di papà dentro le università. Magari dei papà “riformisti”. Ma veramente nessuno capisce che una cosa è la precarietà con la certezza del reddito e dell’alloggio, e un’altra è la precarietà con il niente? … Ho capito che il reddito minimo garantito è come un punto archimedeo: sembra piccolo, ma in realtà è il punto d’appoggio di due concezioni della società completamente diverse.”
D’accordo con te, l’articolo di Perazzoli, pur pubblicato diversi anni fa (nel 2004 su Il Sole 24 Ore e nel 2005 su MicroMega), mantiene ancora un forte sapore di attualità. Il fatto è che le questioni che affronta e i temi che vi sono collegati sono quelli stessi di dieci anni fa, semmai aggravati. Quali sono? Coppie di concetti che vanno insieme (diritti di cittadinanza e reddito minimo, liberalizzazioni e protezione sociale) e coppie che collidono (mercato aperto e corporazioni, merito e rendita).
La grande questione, la si conosce bene da tempo, è come mai non si riesce a far prevalere le prime sulle seconde. Il che equivale però anche a domandarsi perché non riusciamo a fare quello che altri in Europa fanno con successo (mica solo la Germania): appunto liberalizzazioni e protezione sociale, responsabilità del cittadino e garanzie di cittadinanza. Ma diciamocelo, alla fine significa chiedersi com’è che l’Italia è così, e oggi, con l’accelerazione delle trasformazioni economiche e sociali indotte sia dalla crisi che dallo sviluppo impetuoso della tecnologia, la mondializzazione e la scomparsa dei modelli culturali tradizionali, chiedersi perché ci stiamo allontanando dalle punte avanzate dello sviluppo e rischiamo di avvitarci in una irrazionale corsa al declino.
Le posizioni di Perazzoli erano minoritarie dieci anni fa come lo sono oggi. Potremmo limitarci a dire che in un Paese come l’Italia in cui il welfare è stato inteso da sempre, da una parte come settore pubblico che fa da ammortizzatore sociale, e dall’altra come organizzazioni ecclesiali e di volontariato che si occupano dei poveri e degli emarginati, questa situazione è semplicemente ovvia. Ma questa sarebbe una spiegazione troppo parziale per essere convincente. Dov’è infatti una cultura affermata, praticata e continuamente rinnovata, dei diritti e dei doveri di cittadinanza? Anzi, come si sono costituite e modificate nel tempo le classi dirigenti? E come si sono comportate non solo esse, ma i cittadini? Quale è il modello di cittadinanza che nel tempo si è depositato nelle menti e che oggi dai più viene ritenuto ovvio? È quello del cittadino responsabile di sé e della comunità o quello che sa esercitare al livello giusto l’arte di arrangiarsi? Ovvio, non sto incolpando i singoli, e in verità nemmeno cose astratte come la società, la storia o il destino cinico e baro.
Insomma il problema è di tipo generale e investe la politica, la cultura e la società. Ed è questo il livello a cui andrebbe portata la discussione e la ricerca delle soluzioni. Che non vedo come molto facili. Spero solo che non mi si dica che ora è arrivato chi sa come fare alla svelta.