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Home LETTERE PROVINCIALI

Tu che ne dici? del 27 gennaio 2014 n°24

Redazione by Redazione
28 Gennaio 2014
in LETTERE PROVINCIALI, Archivio notizie
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Dal livello locale …

Chi nega l’acqua nega la vita

Caro Franco,

ti propongo il seguente intervento di Ciro Zeno, segretario del PdCi di Orvieto che solleva il drammatico problema dell’acqua potabile per uso domestico. A me sembra che non debba essere confusa l’acqua come bene pubblico con l’acqua che qualcuno ti porta dentro casa. Il principio dell’acqua come bene pubblico, oggetto del referendum, attiene alla gestione dell’acqua che il popolo, me compreso, vuole affidata all’ente pubblico e non all’impresa privata. Ma l’acqua portata dentro casa, indipendentemente dalla gestione pubblica o privata, deve essere pagata. Il problema pratico è il seguente: l’utente che non paga l’acqua, a parte le azioni per il recupero (se possibile) della tariffa evasa, può essere privato di un bene vitale? Gli si può impedire di dissetarsi e di lavarsi, e di dissetare e lavare i propri familiari, compresi i bimbi e i vecchi disabili? Forse perché sono condizionato dalla seconda opera di misericordia corporale, “dar da bere agli assetati”, a me ripugna l’interruzione del servizio idrico. La strada che ho sempre proposto per evitare abusi non dovuti alla stretta necessità è quella di ridurre, per i morosi, l’erogazione al minimo indispensabile. Tu come la vedi?

Pier     

“Gli hanno staccato l’acqua in casa e il ripristino gli è costato oltre 400 euro. Soldi non facili da trovare in pochi giorni. Tutto ciò è accaduto a una cittadina orvietana, madre di un bambino, che soldi proprio non aveva. Si trattava di vecchie bollette che non aveva pagato alla SII, bollette non pagate per vivere e, ritrovandosi morosa nei confronti dell’ente, la settimana scorsa la SII ha proceduto a staccargli il contatore. Il contatore è nell’atrio del condominio, insieme con quello degli altri inquilini, e così i tecnici, senza neppure avvisarla, le hanno staccato l’acqua. La signora si è rivolta presso la nostra segreteria la quale  sconcertata su quanto accaduto dato anche il periodo di crisi, e non credendo che la legge permetta di staccare completamente l’acqua senza lasciarne nemmeno un filo, ha contattato la SII, ci hanno detto che la legge è dalla loro parte, e che dunque ci si deve rassegnare a pagare per riavere l’acqua in casa. In effetti, Il gestore ha sempre il diritto di far ispezionare in qualsiasi momento gli impianti e gli apparecchi all’interno di proprietà private ma la fornitura, però, non può essere sospesa a seguito d’intervento dell’autorità competente se il servizio è necessario per primarie necessità sanitarie o di sicurezza, intervento che potrà, però, avvenire solamente a cosa fatta. Il PDCI è ostinato a far valere le proprie ragioni nelle sedi politiche preposte a cambiare la legge che la SII semplicemente applica, affinché si ridetermini immediatamente la condizione di acqua pubblica, non soggetta alle leggi di mercato vista questa essere fonte di vita e che in questi casi  sia sempre garantita una fornitura minima per la sopravvivenza. E’ surreale che in Italia dopo un referendum che ha sancito la volontà del popolo di rifar diventare tale bene pubblico, ancora questo non lo sia. Vogliamo essere protagonisti di questo cambiamento lottando affianco ai cittadini per rifar valere questo principio sacrosanto.”

barbabella 200Commento di F.R. Barbabella

Io credo che la posizione espressa da Ciro Zeno sia logica e giusta, e mi pare chiaro che anche tu la pensi così. In effetti, se è vero che nessuna società evoluta può permettersi servizi che non siano economicamente sostenibili, è parimenti vero che una società che non consideri prioritario garantire la sussistenza dei cittadini (e che non si organizzi per garantirli) non può essere considerata legittimata ad esistere.

Non vi può essere dubbio che l’acqua sia indispensabile alla sussistenza di ogni persona, e dunque che sia parte integrante del diritto alla vita. Trovo perciò semplicemente sconcertante che sia avvenuto quanto denunciato da Ciro Zeno, perché vuol dire che il lungo percorso verso una civiltà fondata sul rispetto e la promozione umana è ben lungi dall’essere concluso, ché anzi, per molti versi si deve considerare interrotto. Non mi riferisco certo alle persone che hanno attuato legittime procedure, ma alla logica che le prevede, al diritto che le giustifica e all’organizzazione istituzionale e sociale che le tollera. Che fare allora?

L’adeguamento della legge alla volontà popolare di considerare l’acqua un bene pubblico primario mi trova completamente d’accordo. Anzi, voglio ricordare di aver dato a suo tempo il mio sostegno alla battaglia che su questo punto condusse per anni il caro amico Giulio Montanucci, che voleva appunto che si tornasse alla gestione pubblica dei beni primari. Giulio si ricordava di come avevamo gestito questo tipo di servizi quando amministravamo il nostro comune, e anche per questo, oltre che per orientamento politico generale, era convinto che si dovesse tornare alla gestione diretta.

La mancanza di cultura politica di questi anni, aiutata dai numerosi e perduranti esempi di mala gestione della cosa pubblica, ha permesso che si diffondesse nel nostro Paese una nevrotica tendenza a distruggere anche ciò che nel pubblico funzionava e a considerare salvifico dovunque e comunque il passaggio dalle gestioni dirette alle aziendalizzazioni e alle privatizzazioni. La storia reale però si è incaricata di dimostrare che in questo, come in altri settori, le cose sono tutt’altro che semplici e le soluzioni tutt’altro che schematiche.

Non sto dicendo che bisogna tornare al bel tempo che fu, perché quel tempo non c’è mai stato, ma che bisogna ripensare il modello di governo della cosa pubblica. Ciò che non può riguardare solo il livello nazionale e quello regionale, perché il livello locale è altrettanto importante e spesso, come nel caso dell’acqua, tocca direttamente la vita delle persone. Anzi, io credo che la ridefinizione della gerarchia dei valori e delle priorità nelle scelte di governo dovrebbe avere il suo punto di inizio e di forza proprio nel livello locale e territoriale.

… al livello globale

La strage dell’Italicum

Caro Pier,

che sulla nuova legge elettorale ora in discussione, frutto dell’accordo fino a poco tempo fa inusitato Berlusconi-Renzi, mi interessasse il tuo parere non ho avuto dubbi da subito data l’importanza dell’argomento, ma ti confesso che sono stato incerto se proporti come base di commento l’ottimo articolo dell’avvocato Gianluigi Pellegrino “Il pericolo Porcellinum” comparso su “la Repubblica” mercoledì scorso o quello di Piergiorgio Odifreddi, intitolato “La strage dell’Italicum”, che in effetti alla fine ho deciso di scegliere e che riproduco nella sua interezza. Il motivo dell’incertezza è presto detto: Pellegrino affronta in modo magistrale la questione delle liste bloccate, che, nonostante i danni fatti con il Porcellum, vengono riproposte come uno degli assi portanti della nuova legge (che appunto potrebbe anche essere definita Porcellinum, prevedendo liste bloccate più corte), mentre Odifreddi affronta con altrettanta efficacia di analisi l’altro aspetto cruciale, quello della soglia di sbarramento, che per come è formulato avrà come risultato “l’imposizione della volontà di un terzo della popolazione sui rimanenti due terzi”, che non è certo il massimo della democrazia. E pensare che delle liste bloccate si era detto da tutti fino a ieri peste e corna e che tutti avevano giurato che mai più ci sarebbero state “liste di nominati” e che sempre “il popolo sovrano deve poter scegliere i propri rappresentanti”!. E pensare anche che nel 1953, quando fu proposta dal governo De Gasperi e poi approvata dal Parlamento la proposta di correggere la legge elettorale proporzionale con un premio di maggioranza del 15% alla lista o al raggruppamento di liste che avesse raggiunto il 50% più uno di voti validi, la sinistra, e segnatamente il PCI, gridò alla “legge truffa”! Oggi si prevede di assegnare oltre il 18% di premio a chi raggiunge appena il 35% dei voti. Ah, che cosa non si farebbe per conquistare il potere e governare a lungo in nome e per conto della stabilità, la nuova dea stabilità! Scusando la lungaggine, tu che ne dici?

Franco

“La montagna Renzi ha partorito il topolino dell’italicum, una debole variazione del porcellum accusato dalla Corte Costituzionale di incostituzionalità per due motivi: l’assurdo premio di maggioranza al possessore del maggior pacchetto di minoranza, e le liste bloccate di candidati decisi dai partiti. Entrambe le caratteristiche della vecchia porcata rimangono nella nuova, nonostante le iperboli di apprezzamento si sprechino sui media.

Il problema proposto dalla legge elettorale è ovviamente irresolubile: coniugare democrazia e governabilità è infatti impossibile, e bisogna scegliere tra l’una e l’altra. Le parti politiche (sostanzialmente il M5S e l’ala di sinistra del Pd) che avversano il compromesso raggiunto tra Renzi e Berlusconi, scelgono la democrazia. Le parti politiche (sostanzialmente, Forza Italia e l’ala destra del Pd) che lo sostengono, preferiscono la governabilità.

La divisione è nell’ordine delle cose. Chi ambisce a governare, cioè appunto Renzi e Berlusconi, si preoccupa di riuscirci, anche a scapito della democrazia: cioè, è favorevole a una legge truffa che permetta a un terzo dell’elettorato (il 35 per 100 della soglia per il premio di maggioranza) di imporre la propria volontà ai rimanenti due terzi (il 65 per 100 dell’elettorato), in una vera e propria dittatura della minoranza.

Chi sa già fin da ora che non potrà governare (Grillo e Cuperlo), si preoccupa invece di salvare il salvabile: cioè, vorrebbe che la maggioranza degli elettori, che sarà minoranza in parlamento, non venga zittita in una farsa democratica che privilegia il sostantivo all’aggettivo. E ha ragione, perché non si vede su quale principio democratico si fondi l’imposizione della volontà di un terzo della popolazione sui rimanenti due terzi.

In fondo, la tanto vagheggiata “governabilità” non è altro che la pretesa di imporre alla maggioranza della popolazione misure che essa non accetta, sulla base del principio che esse sono “necessarie”, o anche solo auspicabili, in base al parere di una minoranza. Strano modo di intendere la democrazia, appunto, che sa molto invece della dittatura. Magari non di uno solo, ma certamente di tanti, dal Presidente della Repubblica all’Unione Europea, dalle banche alla Confindustria: tutta gente che, insieme ai loro vocali portavoce, intende la democrazia come imposizione del proprio pensiero, quando non direttamente dei propri interessi, a tutti gli altri.

Anche il lodato “decisionismo” di Renzi rientra in quest’ottica, mutuata e condivisa da Berlusconi. Entrambi hanno velleità e modi dittatoriali, o almeno padronali: parlano la stessa lingua, usano gli stessi trucchi retorici, e hanno gli stessi obiettivi. E sono obiettivi antidemocratici, che non diventano più accettabili solo perché ora, invece di essere proposti da un vecchio satrapo, vengono suonati da un giovane fauno”.

leoniping200 Commento di P.L. Leoni

Che la democrazia rappresentativa, come tutte le cose di questo mondo, non sia perfetta è un dato di fatto. Ma che si debba cercare di renderla il meno imperfetta possibile è un dovere morale. Allora sgombriamo il campo dai preconcetti. Il primo è che il parlamento rispecchi realmente la volontà del popolo. Questa è ovviamente una balla colossale, se non altro perché la volontà è un fenomeno psichico e né il popolo né il parlamento hanno una psiche. Esistono invece opinioni prevalenti nel popolo e nel parlamento che mai e poi mai possono pienamente coincidere, sia perché le opinioni popolari sono estremamente mutevoli, come dimostrano i sondaggi di opinione, sia perché anche quelle dei parlamentari sono piuttosto instabili. Mai si è verificata una coincidenza tanto forte tra le opinioni prevalenti degli Italiani e quelle dei detentori del potere politico come durante i famosi “anni del consenso” in epoca fascista. Per non parlare della Germania e del nazismo. Vogliamo riportare in auge quel tipo di armonia? In democrazia, al di sopra della mutevolezza delle cosiddette volontà popolare e parlamentare, vi sono dei principi basilari largamente e spontaneamente condivisi: la libertà di pensiero e la libertà di manifestarlo con la parola e con la vita nei limiti del rispetto della libertà altrui. Le libere elezioni sono un corollario della libertà, nel senso che nessuno deve autoinvestirsi del potere politico. Ma il potere politico deve essere acquisito attraverso un rito che coinvolga solennemente il popolo. E si tratta di un rito che non ha niente di religioso, ma consiste in un procedimento regolato in modo sempre discutibile e discusso. Chi propende per i sistemi elettorali il più possibile proporzionali (quasi una fotografia delle opinioni popolari prevalenti nel giorno delle elezioni) tende a sottovalutare che esigenza primaria della società, che sta prima e al di sopra della democrazia, è di essere governata, perché gli esseri umani temono la disgregazione della società (che ha consentito la loro nascita e consente la loro sopravvivenza) quasi quanto la loro stessa morte personale. Data questa esigenza primaria, nel contesto della democrazia non bastano i riti elettorali, ma sono indispensabili i partiti, se e in quanto collaborino alla formazione dell’opinione pubblica. Gli elettori hanno bisogno di sapere con chi hanno a che fare sia prima che dopo le elezioni. Senza l’aiuto dei partiti, che offrono l’occasione di maturare ed esprimere le proprie opinioni sia prima che dopo le elezioni, allo stato democratico mancherebbe respiro, anzi la stessa possibilità di respirare. Quindi, dato per scontato che non esistono sistemi elettorali perfetti, le liste bloccate sono obiettivamente una forzatura che tende a valorizzare i partiti, mentre le preferenze sono obiettivamente un’altra forzatura per limitare la forza dei partiti ad opera di chi nei partiti non ha o non vuol avere voce in capitolo. Entrambe le soluzioni hanno i pro e i contra che tutti conoscono. La mia modesta opinione è che sarebbe opportuno reintrodurre la preferenza unica per andare incontro a un’esigenza largamente diffusa. E immagino che, se non si sono bevuti il cervello, i responsabili dei maggiori partiti molleranno sulla preferenza unica per semplici ragioni di opportunità. Certo, per chi è impegnato convintamente e tenacemente nei partiti che hanno il maggiore successo popolare, giocandosi in quegli ambiti le proprie chances, la preferenza può essere un boccone amaro.

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