20 gennaio 2014 n. 23
Dal locale ….
Eppur si muove!
Caro Pier,
il 9 gennaio scorso si poteva leggere su OrvietoSi il primo dei due articoli che parzialmente riproduco sotto per il tuo commento, e il 17 gennaio il secondo. Qualcuno dalle nostre parti, meravigliato di tanta grazia, potrebbe dire: “Chi se lo sarebbe mae creso!”. In effetti la novità non è di poco conto, se, come abbiamo potuto leggere martedi scorso sul Giornale del’lUmbria, Gianni Codovini definisce l’iniziativa dei 5 comuni dell’Alto Orvietano di livello nazionale ed europeo. E non è trascurabile nemmeno la presa di posizione del Consiglio provinciale di Terni, che, udite udite, si premura di ciò che sarà Terni dopo la fine della Provincia, spingendosi fino alle soglie dell’‘Umbria dopo l’Umbria’. Nessuna pretesa da parte nostra, è ovvio, di aver influito sulla maturazione di questa esigenza di “superare i confini” che oggi diventa azione istituzionale, ma certo come COVIP abbiamo anticipato i tempi se non altro a livello di analisi e di stimolo alla riflessione. Possiamo dunque dire galileianamente “Eppur si muove!”. Forse è il caso di ritornare sul tema. Tu che ne dici? Qui l’e-book L’umbria dopo l’Umbria edito da LibrosiEdizioni per Covip.
ranco
1. Iniziato il processo di fusione dei comuni dell’Alto Orvietano
“Prende consistenza il progetto del comune unico dell’alto orvietano con l’avvio di un percorso di partecipazione e di confronto che vedrà impegnati cittadini, forze economiche e sociali e amministrazioni sin dalle prossime settimane. Le amministrazioni dei comuni di Fabro, Ficulle, Montegabbione, Monteleone d’Orvieto e Parrano hanno concordato documenti tecnici e politico-amministrativi per esprimere l’indirizzo di fondersi in un unico Comune sulla base di una relazione di fattibilità, che mette in evidenza le potenzialità della scelta di questo innovativo modello istituzionale, al fine di creare un Ente locale di dimensione media (di ca. 8000 abitanti, che copre una superficie di oltre 200 Kmq) che sia capace di sviluppare una politica di governo del Territorio più efficace. “Questa – affermano i sindaci di Monteleone d’Orvieto, Montegabbione, Fabro, Ficulle e Parrano – è una proposta ambiziosa. In un momento di crisi economica sistemica sarebbe più facile usare la retorica delle piccole patrie e del ripiegamento sul microcosmo paesano. Peccato che, così facendo, non si reca un buon servizio alle nostre comunità locali, che hanno invece bisogno di servizi efficienti, di capacità di progetto e di amministrazioni autorevoli, per la prima volta la politica non moltiplica le poltrone, ma le sottrae per governare meglio!”.
2. Consiglio provinciale. Disegnare gli scenari post Provincia
“Affrontare in maniera organica gli scenari post Provincia tenendo conto che l’area vasta del Ternano acquisterà ancora maggior rilievo nella fase successiva alle amministrazioni provinciali, completare le direttrici viarie verso Civitavecchia e Roma per favorire lo sviluppo economico ed evitare il declino dei grandi asset industriali ed ampliare le infrastrutture a servizio dello sviluppo con altre iniziative oltre a quelle della piastra logistica”. Sono queste le principali proposte del Consiglio provinciale di Terni contenute in un documento relativo alla discussione e all’approvazione del Dap regionale. “Dobbiamo superare – dice il documento – la logica strettamente centralizzata senza porre solamente questioni di carattere finanziario. C’è bisogno di proposte organizzative e istituzionali, anche per il “dopo Provincia”. Favorire solamente le Unioni dei Comuni non sembra essere il modello adeguato alla sfida che abbiamo di fronte. Questa modalità di organizzazione dei servizi sopracomunali non sembra essere la sola e più adeguata risposta per il nostro futuro ed è positiva la proposta di fusione di alcuni comuni della provincia di Terni. Il Dap potrebbe sostenere ulteriormente questi processi attraverso la definizione di un percorso strategico per tutte le realtà regionali”.
Ogni volta che si tira in ballo la storia c’è chi arriccia il naso. Proprio come quando si ricorre ai motti latini. Infatti la dimenticanza del latino è un aspetto della dimenticanza della storia. Tutti, per definizione, siamo ignoranti. «Hoc unum scio, me nihil scire» (so soltanto che non so niente) diceva Isocrate… e mi guardo bene dal citare l’originale greco; ma, in fatto d’ignoranza, si tende a esagerare. Però noi, cioè tu, io e i nostri lettori, ce lo possiamo dire: non si risolve il problema dell’organizzazione amministrativa se non si tiene conto di ciò che la storia d’Italia ha in comune con la gran parte del mondo e di ciò che ha di particolare. Ebbene, il fenomeno dell’organizzazione dei popoli in centri abitati delle più varie dimensioni, è diffuso in quasi tutto il mondo. Sui villaggi gravitano le case sparse, insieme gravitano su centri più popolosi e così via fino alle metropoli. Anche la popolazione, come l’Universo, si distribuisce in base a forze centripete e centrifughe che tendono a una sempre più complessa organizzazione. La relazione fra la struttura demografica e quella amministrativa, con le reciproche influenze, è ben regolata nei Paesi con più antica organizzazione statale e in quelli che li hanno copiati. Se dunque ci decidessimo a imitare la Francia o la Spagna o l’Inghilterra o gli USA, risparmieremo molta fatica e molte chiacchiere. Poi vi sono le peculiarità storiche dell’Italia centro-settentrionale, dove si deve tener conto della tradizione del libero comune, un fenomeno quasi unico che ha lasciato il segno nella nostra psiche e che, dato il suo fascino, ha influenzato anche piccole comunità che del libero comune hanno sperimento solo l’illusione. Da ciò deriva quel fenomeno per cui villaggi di tremila abitanti guardano dall’alto villaggi di trecento abitanti e vantano il ruolo di città e sono gelosi di avere le stesse competenze del comune di Roma. La qual cosa non avviene in Francia, dove piccoli e grandi villaggi sono ben felici di conservare il rango di comuni e di collaborare tra di loro. Che motivo c’è di cercare di distruggere questo retaggio storico? Quando la Repubblica Italiana ha abolito i titoli nobiliari ha ottenuto pochi effetti. Ancora oggi chi discende da conti e marchesi va fiero del suo titolo, anche se si tratta ormai solo di un’aggiunta al cognome. Che c’è di male? Perché Fabro, Ficulle, Montegabbione, Monteleone d’Orvieto e Parrano dovrebbero fondersi in un comune unico? Perché non dovrebbero conservare ciascuno il nome di Comune e collaborare secondo i rispettivi interessi? C’è molta più storia a Parrano che a Brasilia. Quanto alle future ex province, il discorso è diverso. La storia c’entra poco, come c’entra poco con le regioni. Forse sarebbe bene ripensare il tutto come rimedio a errori storici che hanno prodotto solo danni.
…. al globale
Non conviene scherzare col fuoco. Ma chi scherza col fuoco?
Caro Franco,
nel seguente intervento di Roberto Alesse, Presidente dell’Autorità di garanzia per gli scioperi nei servizi pubblici essenziali (http://www.huffingtonpost.it/, 16 gennaio 2014), leggo un messaggio criptato (volontario o involontario?): cari sindacati, non scherzate col fuoco, perché il fuoco non c’è più. Tu come la vedi?
Pier
«L’anno che si è appena concluso ha confermato un numero significativo di proclamazioni di sciopero nei servizi pubblici essenziali: 2323; in linea con il trend già rilevato negli ultimi anni e stabile rispetto alle 2330 proclamazioni del 2012. L’Italia è, con la Spagna e la Francia uno dei pochi Paesi europei a riconoscere dignità di diritto costituzionale allo sciopero; si è trattato (e si tratta) di un importantissimo dato di cultura democratica, che, però, occorre valorizzare con una parallela cultura delle relazioni industriali.
Bisognerebbe, in altre parole, evitare che tale strumento diventi una sorta di “rituale sindacale”, da invocare sempre, a prescindere dall’esigenza, insostituibile, di favorire il dialogo sociale. L’effetto principale di questa tendenza, fortemente contenuta grazie al ruolo incisivo dell’Autorità di garanzia, è che il ricorso eccessivo allo sciopero rischia di depotenziarlo e di rendere inutili gli sforzi finalizzati a “raffreddare” il conflitto collettivo, a danno, peraltro, dei cittadini utenti, che subiscono ripetutamente la mancanza dei servizi.
Sarebbe, pertanto, opportuna una riflessione a tutto campo dei sindacati più rappresentativi e delle istituzioni competenti per materia per trovare forme alternative e più efficaci del ricorso indiscriminato allo sciopero, a partire dalla valorizzazione delle procedure (in parte già esistenti) di conciliazione e di raffreddamento del conflitto collettivo.
Diversamente, il rischio concreto è che forme anomale ed improvvise di protesta nei settori più delicati (a partire dai trasporti) scavalchino l’esigenza della mediazione sindacale, ritenuta debole e inefficace, scardinando il principio stesso di legittimità su cui si fonda l’esercizio del diritto di sciopero.»
Il ragionamento di Roberto Alesse mi pare si possa sinteticamente tradurre in questo modo: cari sindacati più rappresentativi fate sciopero quando è strettamente necessario e dimostrate di saper ottenere risultati, sennò depotenziate un essenziale strumento di tutela di diritti costituzionalmente garantiti e di fatto legittimate le forme di protesta del disagio sociale più o meno spontaneo.
Direi preoccupazione sacrosanta, che deriva da una storia che certo parla di un costume consolidato nel periodo delle vacche grasse, ma che a mio avviso non dice solo questo. Ad esempio dice che lungo l’arco di molti decenni ci si è abituati a credere che la democrazia l’hanno conquistata i nostri padri e a noi non ce ne può fregar di meno, che ciò che è pubblico non è roba mia, che se sei più furbo la vinci, che i diritti non hanno alcuna relazione con i doveri. Dunque la questione non riguarda solo i sindacati, ma un po’ tutti, con in testa ovviamente chi si è assunto l’onere di un ruolo di rappresentanza.
Come ho detto altre volte, siamo di fronte oggi al tema della vera e propria ricostruzione di un Paese in fase avanzata di disgregazione, che essendo, prima che economica, culturale, richiederebbe una rapida, razionale, intelligente, riconversione degli orientamenti complessivi. Temo che invece il processo sarà lento, contraddittorio e ad esito niente affatto garantito. Perciò è bene di sicuro porre il problema. Quanto all’esito dipenderà da tante circostanze oggi niente affatto chiare.