Dal globale …
Quanto costa uscire dall’euro?
Caro Pier,
sul Sole 24 Ore dello scorso 8 gennaio si poteva leggere un interessante articolo di Riccardo Barlaam di cui riproduco qui le parti principali per il tuo commento. Il titolo rende evidente il tema trattato. Si tratta di un argomento diventato di interesse comune da quando la crisi ha svuotato le tasche, oltre che dei ceti popolari, anche di quei ceti medi che hanno rappresentato storicamente la capacità reattiva ed espansiva delle società europee. Un argomento talmente coinvolgente che ha reso nota anche l’esistenza dell’Europa e generato la voglia di risolverne in quattro e quattr’otto i problemi accumulatisi in più di cinquant’anni di storia. Non solo in Italia, ma soprattutto in Italia, dove notoriamente la preparazione storica e quella politica sono il pane quotidiano e la classe dirigente mangia tutti i giorni pane e coraggio e mette sempre al primo posto gli interessi del popolo. Fuor d’ironia si sarà capito che io non sono per buttar via con l’acqua sporca anche il bambino, e penso che se si è sbagliata politica bisogna correggerla con tutta la possibile determinazione, senza cedere tuttavia di un millimetro alle pulsioni irrazionali e nient’affatto disinteressate. I pericoli ci sono. Tu che ne dici?
Franco
“È sbagliata, lo dicono in molti, la ricetta con cui si sta cercando di guarire il malato Europa. Una ricetta basata solo sul rigore, sul perseguimento ottuso del pareggio di bilancio. … La teoria del pareggio di bilancio è stata abbandonata progressivamente dalla gran parte dei governi occidentali dopo la Grande depressione del 1929. Si capì allora che per tornare a crescere bisognava perseguire politiche economiche espansive. … Le stesse politiche espansive che gli Stati Uniti di Barack Obama stanno cercando di attuare ora per vincere la crisi. L’economia americana è ripartita grazie alle forti politiche di stimolo fiscale e monetario. La combinazione tra tagli alla spesa pubblica e stimoli monetari e fiscali hanno riportato in breve tempo il paese alla crescita e ridotto il disavanzo pubblico. Mentre l’Europa è ferma. Immobile. In politiche focalizzate solo sul controllo del rigore di bilancio e dell’inflazione. … Le politiche rigoriste dai paesi del Nord Europa stanno cancellando il destino delle giovani generazioni nei paesi del Sud Europa. È la ricetta che va cambiata. Per farlo non occorre uscire dall’euro o dall’Europa come gridano (e grideranno ancora di più nei prossimi mesi) i leader populisti e nazionalisti, in un’insolita unità d’intenti disgregatrice (Marine Le Pen che dice le stesse cose di Beppe Grillo). Se ne esce con un coraggio politico non più visto negli ultimi 13 anni sotto la commissione Barroso. Per assurdo, c’è bisogno di più Europa (e non di meno Europa) per tornare a crescere. La soluzione di un consolidamento dell’euro passa attraverso una decisa sterzata delle politiche comunitarie in favore della crescita, degli investimenti e dell’occupazione. Il rafforzamento dell’euro presuppone, insomma, un cambio di marcia a Bruxelles, una politica meno germano-centrica. Presuppone che Berlino accetti il nuovo statuto della Bce, per attuare una strategia monetaria espansionista in cambio di riforme strutturali dei paesi con debito e deficit elevati (come l’Italia). La zona euro è uscita dalla recessione ma resta sotto la minaccia della deflazione, della disoccupazione (12,2% della popolazione attiva) e dei debiti eccessivi degli Stati (93% del Pil, con l’Italia che spicca tra i meno virtuosi). I populismi si incendiano, alimentati nei paesi del Sud Europa dall’odio verso le politiche di austerità e, all’inverso, nei Paesi del Nord dalle spinte verso una mancata solidarietà verso il Sud. Accanto a questo stato di cose, non ci sono che due soluzioni: l’uscita dell’euro o una sua rifondazione attraverso una integrazione rafforzata. … In Italia una svalutazione del 20-30% causata dal ritorno alla moneta nazionale, la vecchia lira, farebbe perdere da un giorno all’altro valore ai patrimoni di tutti gli italiani. … Tornerebbero a frotte gli investimenti esteri attirati, come in Grecia, dalla svalutazione dei nostri asset. Ma diventeremmo Terra di conquista per chi ha liquidità, più di quanto non stia avvenendo ora. Un Paese in saldo. Con la svalutazione che deriverebbe dal ritorno alla moneta nazionale, inoltre, da un giorno all’altro l’Italia si ritroverebbe con un debito pubblico enormemente aumentato. Un altro rischio grande, è che il Paese con un’uscita traumatica dall’euro e la ripresa della sovranità monetaria sarebbe, almeno in un primo momento, alla mercé della speculazione dei mercati finanziari, con probabile fuga di capitali e disintegrazione del sistema bancario. …”.
Stando ai miei studi accademici, alla mia esperienza e all’opinione di illustri personaggi come, ad esempio, Indro Montanelli, le tesi degli economisti valgono esattamente quanto quelle di Marine Le Pen e di Beppe Grillo, cioè di una reazionaria e di un comico. Disquisire di Europa dal punto di vista economico è ovviamente indispensabile, ma ci si perde nelle nebbie se non si introducono altri elementi di razionalità, come la storia, la cultura e la globalizzazione dell’informazione e degli scambi. Dal punto di vista economico (ma anche culturale) la Germania e i Paesi nordici sono più affini al Canada che al resto d’Europa. Così l’Italia meridionale è molto più affine alla Colombia che alla Svizzera. Vale a dire che i discorsi sull’Europa cominciano ad essere riassorbibili nella prospettiva del governo planetario: un futuro che è già presente in numerosi ad efficaci accordi internazionali sulle comunicazioni, sui trasporti marittimi, aerei e terrestri, sui commerci, sui servizi bancari ecc. ecc. Gli esempi che portano gli economisti, come quelli degli Stati Uniti e del Giappone, andrebbero esaminati nelle prospettive a lungo termine. Così come l’idea fissa dello sviluppo andrebbe ripensata tenendo conto dell’inquinamento ambientale e psichico. Per gli economisti le terapie del cancro sono una branca della medicina che progredisce in proporzione della ricchezza investita nella ricerca, e i farmaci antidepressivi sono un settore sempre più florido dell’industria farmaceutica. Tutto qui? La teoria di moda è che, riprendendosi la libertà di stampare soldi, si riavvia lo sviluppo. E l’inflazione, che è la più ingiusta e subdola delle imposte, ben venga. Si dimentica che l’inflazione brucia il risparmio, che è alla base degli investimenti e della sicurezza dei rapporti economici. E si dimentica che, se una moneta diventa instabile, le transazioni internazionali avvengono con una moneta stabile, che è ancora il dollaro, sempre più soppiantato dall’euro. Si dimentica insomma che la storia non è andata avanti secondo le teorie degli economisti, le quali, se hanno tappato qualche buco, non hanno mai evitato che se ne aprissero altri.
… al locale
E che politica è mai questa! Dove pensiamo di stare, ad Orvieto?
Caro Franco,
il Sindaco di Orvieto, nella conferenza stampa dell’8 gennaio, si è dichiarato disponibile a concorrere nuovamente per la carica, anche se, correttamente, non ha parlato di ricandidatura, dato che non ci si può ricandidare da soli. Dalle affermazioni del Sindaco ho ricavato il seguente brano che mi sembra inquietante. È sicuramente vero che in Orvieto è molto forte, sia a destra che a sinistra, l’opinione che il commissariamento prefettizio sia la meno peggiore delle soluzioni per uscire da un impasse che dura da anni. E non si tratta di una opinione tanto strana. Mi sembra invece piuttosto eccentrico partecipare alle elezioni per il gusto di annullarle. Tu come la vedi?
Pier
“Ieri il segretario cittadino del PD mi ha (come si dice in gergo pallavolistico) alzato una bella palla, affermando con forza che la prima cosa che il PD farebbe in caso di successo elettorale sarebbe quella di chiamare il commissario prefettizio! Cosa che non ho inteso fare nel 2009 per salvaguardare come possibile gli interessi sociali, culturali, occupazionali della città, nonostante forti spinte in questo senso anche all’interno della maggioranza!
Ebbene il segretario cittadino lo farebbe come primo eventuale e speriamo improbabile atto di governo! Senza rendersi conto delle conseguenze devastanti di questa fantastica decisione!”
Il 7 gennaio il segretario del PD orvietano Andrea Scopetti dice: “Noi non faremo come Concina. Il giorno dopo le elezioni apriremo i cassetti ed eventualmente il commissariamento lo chiederemo subito. Non aspetteremo cinque anni a prendere provvedimenti come ha fatto l’attuale amministrazione”. Il 9 gennaio il sindaco Toni Concina risponde come sopra. Nello stesso giorno esce un commento di Massimo Gnagnarini, che a sua volta afferma: “Siccome il maggior partito di opposizione, a distanza di 100 giorni o poco più dal voto, dice di doversi ancora chiarire le idee, ammesso che siano solo confuse e non invece completamente assenti come in molti sospettano, la strada verso la riconferma dell’amministrazione uscente appare sgombra come la pista di un aeroporto al momento del decollo.”
Che dire di più? Questa è la situazione. E passa la voglia anche solo di commentare. Vedo però che Massimo, dopo il grido di dolore dell’altra settimana, immagino inascoltato, rischia di scivolare ora forse verso un preoccupante stato di depressione se non si limita più a denunciare lo stato di inerzia del PD e a preconizzare il regalo a Concina di una nuova insperata vittoria, questa volta addirittura senza combattere, ma appare quasi tentato di scrivergli il programma. Che la realtà superi quasi sempre la fantasia lo so, ma questo esito francamente mi parrebbe esagerato. Anche perché voglio sperare che Concina, per quanto sia convinto di aver fatto bene, non può pensare che la seconda volta sarà la ripetizione della prima. Sento perciò l’obbligo morale di invitare l’amico Massimo a pazientare un po’: che so, ci potrebbe essere il risveglio improvviso dal letargo dell’amato Pd e la magica soluzione delle primarie che gli piacciono tanto, o l’arrivo del papa straniero che agli orvietani piace anche più delle primarie, o addirittura l’avvento del dantesco cinquecentodiecicinque che stupirebbe persino chi fa diuturno esercizio di scetticismo su e giù per il Corso. Pazienza dunque, prego pazienza!
E che dire poi del commissariamento? Qui c’è davvero poco da ironizzare. Lo sai come la penso, da sempre: se non si è obbligati, non si deve mai arrivare a tanto, nemmeno nel caso di ‘spudorati’ vantaggi, che peraltro con tutta evidenza non ci sono. Che cos’è questa, se non una pulsione di fuga dalle responsabilità? Si faccia piuttosto quello che comandano le regole prime della democrazia: quando non va bene un governo ci si organizza per sostituirlo con un altro migliore. Altrimenti a casa. Nessuno obbliga nessuno a fare politica senza farla. E che politica è mai questa! Dove pensiamo di stare, ad Orvieto?
La foto in home è di Piero Piscini