di Massimo Maggi
Il virtuosismo ragionieristico da solo non basta alla risoluzione del bilancio cittadino quando manca la capacità politica necessaria a far ripartire la vera ed utile economia, improntata sul benessere equo e sostenibile. Dire di essere stati bravi nel far risultare i conti in colonna (e non è il caso orvietano) è assimilabile all’esperto dell’unità di crisi aerospaziale che con assoluta e competente analisi ci informa di quanto ossigeno disponiamo ancora prima di morire. In generale una comunità si associa ad uno stato nazionale quando, pur rinunciando a delle proprie specifiche libertà, trae vantaggio dai ritorni in termini di sicurezze e assetti collettivi. Ma ahimè non è quanto sta avvenendo ormai da decenni. Il quadro è ben altro: la continua ed estenuante riduzione dei trasferimenti in bilancio ha causato una miopia politica nell’inseguire soluzioni contabili per far quadrare i conti perdendo di vista il patrimonio umano e paesaggistico del nostro comune. Di contro la riduzione dei trasferimenti non ha prodotto delle politiche nazionali (e men che meno regionali) che sostituissero in meglio quelle comunali, anzi si può tranquillamente asserire che è successo esattamente l’opposto sobbarcando i comuni delle incapacità, quando non peggio, dello stato centrale. Di fronte a simile scenario l’unica via possibile sembra essere il progressivo distacco da una associazione fallimentare per favorire un sano associazionismo tra cittadini e città. Questo non può e non deve essere letto come isolamento campanilistico o propensione all’autarchia ma come forte impulso ad una municipalità liberale compiuta al fine di riappropriarsi della necessaria forza ed autonomia per contrattare servizi collettivi con l’esterno. Orvieto in questo, in termini di patrimonio, ha ancora un gran vantaggio prima che questi o altri curatori fallimentari svendano anche l’aria. Abbiamo ancora attività artigianali di massimo prestigio, abbiamo ancora una città d’arte e cultura, abbiamo ancora un’agricoltura ed una enogastronomia che può ripartire, abbiamo ancora un territorio che può essere salvato dalla cementificazione e dalla idiozia mercantilistica, abbiamo ancora un fiume amico che ci ha avvisato più volte di quanto non si possa abusare della natura, invitandoci nuovamente a liberare quelle sponde. C’è molto da fare e molto da rimettere in funzione ed il capitale necessario non è monetario ma umano. Partiamo ad esempio dal capitale umano ad oggi inutilizzato e censito su computer di un Centro per l’Impiego, che impiega solo chi ci lavora, trasformando quest’inutile e dannoso istituto burocratico in un volano di rinascita municipale. Che sia gestito in partecipazione dal comune, e non da una lontana ed amorfa provincia, con i cittadini inoccupati o interessati a nuova occupazione e che gli siano trasferiti i cespiti comunali disponibili. Che sia istituito un coordinamento cittadino per l’elaborazione di progetti comunali che investano, producano e creino lavoro sul territorio anche tramite il ricorso a fondi regionali o europei. Facciamo, ad esempio, della ex Caserma Piave una filiera agroalimentare permanente che ridia linfa al territorio in termini di qualità, benessere, sostenibilità, ambiente, salute e cultura. Riattivando l’agricoltura a filiera corta sarà possibile destinare gli spazi a terra per i laboratori di lavorazione alimentare a Km0 coadiuvandoli con botteghe artigianali per le attività a supporto della distribuzione ed imballaggio ecologico (ad esempio: confezioni, utensili, contenitori, etc.). Inoltre sarebbe etico, oltre che necessario, un punto di raccolta per vuoti e rifiuti che avrebbe la doppia finalità di riuso-recupero-riciclo e di educazione civica. Il piano intermedio potrebbe essere utilizzato per laboratori didattici sull’agroalimentare, sull’artigianato e sulla formazione ecosostenibile in generale anche attivando collaborazioni con la facoltà di agronomia. Spazi disponibili per attività ricreative, artistiche e culturali in genere troverebbero un habitat favorevole e stimolante. Non ultimo, in questo scenario, la disponibilità di strutture ricettive (di vario livello) e punti di degustazione e ristorazione a km0.
Così facendo forse potremo dare un motivo ai nostri ospiti (diversamente turisti) per pagare il biglietto di ingresso in una città altrimenti morta (o diversamente viva).
Ma questi sono solo degli esempi estrapolati da un progetto per la città di più ampio respiro che le cittadine e cittadini orvietani hanno sviluppato nel corso degli ultimi due anni sopperendo alla completa assenza di istituzioni e partiti politici locali. Ed è per questo che la pista di decollo, o di atterraggio, non sarà lasciata per nulla sgombra a chi vuol riproporsi per completare la distruzione o per chi vuol far finta di essersi rinnovato per riprendere la distruzione da dove la aveva lasciata. Ad oggi l’offerta politica orvietana è composta solo da curatori fallimentari e/o da demagoghi inseguitori di una crescita competitiva al buio. Non è questo il film che vogliamo vedere nella nostra Orvieto nella prossima legislatura ed è per questo che nelle prossime settimane prenderà definitivamente corpo la costituzione di una Lista Civica il cui programma, che è stato abbondantemente discusso e condiviso, rimane aperto a nuovi contributi. Nella completa disattenzione della politica nostrana abbiamo già operato un profondo cambiamento con le primarie di programma producendo un documento di visione della città reale e sostenibile. Ora è necessario procedere alla ricerca delle donne e degli uomini migliori e capaci di dare gambe e forza alla rinascita della nostra città. Cominceremo dalle primarie per gli assessorati poiché saranno loro a dar sostanza al progetto e subito dopo alle primarie per il consiglio cittadino. La candidata o il candidato sindaco sarà l’immagine della città e non “ l’uomo della provvidenza ” che sappiamo bene non esistere.