di Pier Luigi Leoni
L’iniziativa fusionista dei Comuni di Fabro, Monteleone d’Orvieto, Montegabbione, Parrano e Ficulle è coraggiosa soprattutto perché la legislazione italiana in materia di autonomie locali è sconclusionata e instabile, riflettendo il marasma della politica nazionale. Gli amministratori giocano la carta della fusione perché non ce la fanno più a far quadrare i conti per ragioni oggettive, non certo perché si ritengano inetti. Se si fossero trovati in Francia, dove i 36.500 Comuni, rispetto agli 8.000 italiani, funzionano egregiamente, non li avrebbe mai sfiorati il problema. Non so se riusciranno ad attuare la fusione, che deve passare per un referendum, ma stanno giocando d’azzardo perché non è detto che il nuovo Comune di 8.000 abitanti che risulterebbe dalla fusione farebbe miracoli; così come non fanno miracoli gli altri Comuni italiani di tale dimensione demografica, che sono scassati in proporzione analoga a quella dei Comuni minori. Comunque auguri.
Ma un intervento del segretario regionale della CISL, molto ponderato nella forma, è duro nella sostanza: «È nostra convinzione che solo attraverso l’elaborazione di documenti che sappiano dare una visione territoriale di insieme del progetto stesso, delle ricadute nel breve, medio e lungo periodo e un’analisi dei costi e benefici di prospettiva sia possibile creare i presupposti per una reale e solida integrazione dei cinque Comuni interessati e di un risultato positivo referendario in modo diffuso. Quindi, il progetto politico di intenti, ad oggi elaborato dai Sindaci e approvato con delibera nei cinque Consigli Comunali, dovrà essere accompagnato da un puntuale documento di fattibilità che sappia tecnicamente e in senso propositivo definire, in una visione di insieme, gli elementi di concretezza dello stesso.»
Dietro alla presa di posizione del sindacato non può non esserci il grido di dolore dei dipendenti comunali, che non possono vedere di buon occhio questi impulsi riformisti per una serie di comprensibili ragioni, a cominciare da quella che, razionalizzando gli uffici, scompariranno varie posizioni organizzative, cioè funzioni di responsabilità di servizi e relative prebende, conferite a impiegati dai singoli comunelli. «Melius primus in pago quam secundus Romae, meglio essere primo in un villaggio che secondo a Roma» diceva Giulio Cesare e così pensano i funzionari comunali, che preferiscono essere i direttori solo di se stessi che finire agli ordini di un altro. E poi ci sono le scomodità che ogni riorganizzazione comporta, soprattutto in tempi di penuria, quando non possono essere messi sul tavolo sostanziosi incentivi come premi in denaro, pensionamenti anticipati e promozioni. Chi pensa che i dipendenti facilmente soccomberanno alla politica non conosce i dipendenti dei piccoli Comuni e le loro relazioni con la politica.
Invece sarà brillantemente superato il problema del nome del nuovo Comune. Ovviamente l’espressione “Alto Orvietano” fa venire la pelle d’oca da quelle parti, più orientate su Perugia, Città della Pieve e Chiusi che su Orvieto. Ma un bel nome se lo dovranno inventare, visto che a nessuno storico e a nessun geografo è mai venuto in mente che quelle cinque piccole realtà potessero costituire un insieme.