Dal locale ….
Ranchino “riciccia” la Tuscia per salvare il Tribunale. Ma non è fuori tempo massimo?
Caro Pier,
ti propongo di commentare questa posizione di Angelo Ranchino così come emerge da un articolo pubblicato lo scorso 4 settembre su OrvietoSi perché a me sembra che essa sia come la metafora dell’impotenza della classe dirigente orvietana di fronte ad ogni problema complesso che esce dall’ordinario battibeccare entro le mura cittadine e che dovrebbe essere affrontato per tempo, con lungimiranza e con la capacità di tessere rapporti vasti e solidi. Insomma, si protesta, si manifesta, si minaccia la secessione, si grida alla cattiveria degli altri, ma in fondo non ci si chiede mai quali sono le responsabilità nostre, perché da tempo scivoliamo verso un isolamento e un declino che appare inarrestabile, e perché non emerge uno sforzo serio per rovesciare questa tendenza. Tu che ne dici?
Franco
“Le scelte politiche in ogni ambito, dalla sanità al turismo, dalla definizione degli ambiti territoriali ai rifiuti, hanno sempre penalizzato la zona orvietana, asservita quando necessario a territori diversi (si veda la collocazione della discarica d’ambito) e mai destinataria di provvedimenti di crescita, neanche in settori, quali il turismo, nei quali senza dubbio Orvieto rappresenta di gran lunga l’eccellenza del territorio. Questa condizione di sudditanza rispetto ad altri territori della Regione ha raggiunto livelli di inaccettabilità; anche sfruttando le nuove normative che consentono ai Comuni di ridefinire in accordo tra di loro la fornitura dei servizi pubblici essenziali prescindendo dai limiti territoriali regionali, necessita pertanto assumere una presa di posizione radicale che consenta di uscire dai confini regionali nei quali per mero decreto il nostro territorio è stato storicamente relegato, al fine di aprirsi verso la Toscana e il Lazio, chiedendo il riconoscimento di un’area nuova e l’annessione dei nostri territori nei confronti di chi ne saprà comprendere l’importanza storica e le possibilità di sviluppo futuro. Su tali temi si chiede che la politica locale e Regionale si confronti senza ulteriore dilazione, predisponendo quanto necessario alla formalizzazione di un referendum che consenta ai cittadini di esprimere direttamente il proprio parere. E’ costituito pertanto un comitato referendario che, intorno a tale tema, intende portare avanti ogni iniziativa e riflessione utile allo sviluppo dell’idea e di altre a vantaggio di un territorio del quale si rivendica la centralità”.
Il disagio degli Orvietani contro l’antistorica, antigeografica e anticulturale collocazione nella Regione dell’’Umbria si manifesta periodicamente. E’ accaduto già negli anni Ottanta dell’Ottocento, col tentativo di aggregazione alla provincia di Siena, e negli anni Ottanta del Novecento col movimento Nuova Tuscia. Quindi l’iniziativa di Angelo Ranchino non mi stupisce. Mi stupisce molto di più la spocchia con cui molti Orvietani guardano a Viterbo e all’Alto Viterbese, anche se parlano lo stesso dialetto e se Orvieto è dalla gente di quelle parti ammirata e amata. Ovviamente, essendo stato partorito a Montefiascone e allevato a Farnese, sono cresciuto nel culto di Orvieto e nel disinteresse per l’Umbria. Quando, oltre mezzo secolo fa, la mia famiglia si trasferì a Orvieto, ci sentimmo tutti a casa. Ma sentimmo l’Umbria profondamente estranea. Non posso quindi essere insensibile all’insofferenza nei confronti all’Umbria; ma col tempo ho maturato la convinzione che il superamento degli errori storici nella ripartizione politico-amministrativa dell’Italia possono trovare la loro soluzione nello smontaggio di tutte le regioni italiane e nel loro rimontaggio in macroregioni dimensionate al progresso delle comunicazioni. L’assetto regionale attuale è costoso e irrazionale perché ha ereditato gli errori ottocenteschi. Tuttavia, in attesa delle condizioni culturali e politiche per la realizzazione della grande riforma, Orvieto non si risolleva se non riacquista la coscienza di essere una città decaduta e non comincia a comportarsi come una città che vuole risorgere. Occorrono visioni e prospettive ampie sia da parte della popolazione che della politica, dato che l’una e l’altra sono strettamente collegate.
… al globale
Quel diavolo di Berlusconi una ne fa e cento ne pensa
Caro Franco,
ti sottopongo un pezzo di Ettore Colombo pubblicato il 3 settembre su Orvietosì. Si tratta di uno scherzo per sfottere la Giunta che si sta occupando di Berlusconi, di una minaccia o di una cosa seria? Per quel che ne so, Berlusconi è molto apprezzato nei Paesi ex comunisti; e ancora di più sono apprezzati i suoi soldi. Tu che ne dici?
Pier
“La pazza idea va spiegata. Come si sa, ove Giunta e Aula di palazzo Madama dovessero dichiararlo decaduto, il Cavaliere perderebbe il diritto all’elettorato attivo e passivo. Ma nulla vieta che possa presentare la sua candidatura alle europee in un altro Paese dell’Unione dove la legge Severino, appunto, non vale (…) Ma dove li prenderebbe, i voti, Berlusconi? Magari non in Lettonia né Lituania, ma, chissà, in Estonia sì. Per pura combinazione, infatti, a Tallin, capitale della ridente repubblica baltica, ha il suo quartier generale Ernesto Preatoni. Immobiliarista di fama e peso, titolare del gruppo Domina, che vanta grossi insediamenti turistici in Italia come in Egitto; Preatoni è chiamato il Gianni Agnelli estone, ma soprattutto è un grande e sincero amico del Cav: procurargli i voti sarebbe un gioco da ragazzi. Ma perché il Cav dovrebbe fare tutta questa fatica? «Perché – spiega Formisano – al Parlamento Ue lo scudo dell’immunità parlamentare è altissimo come dimostra il caso De Magistris. Quando era parlamentare europeo, usò le sue prerogative e il suo status per difendersi da semplici rinvii a giudizio, entrambi rispediti al mittente dal Parlamento di Strasburgo, che non accetta mai sui suoi membri richieste di indagine, figurarsi di arresto, da parte dei giudici locali». Insomma, per Berlusconi si tratterebbe, né più né meno, dell’uovo di Colombo. Chissà se ci pensa”.
Sì, circola quest’idea, non si capisce bene se seria o faceta, se frutto di strategia o di disperazione. Ma nulla ci può ormai meravigliare se non il fatto, come abbiamo detto la volta scorsa, che qualcuno ancora si meraviglia di che cosa ci si può inventare di qua e di là dal fiume, ridotto ormai ad un fosso che trasporta fango. Non ci possono essere dubbi che alla fine, come è logico che sia, rebus sic stantibus, la decadenza di Berlusconi da senatore ci sarà, o per voto di Giunta e Aula del Senato o per sentenza attesa del Tribunale di Milano. Trovo perciò illogico e insensato il comportamento di Berlusconi, che invece di dimettersi per autonoma decisione continua a inchiodare i suoi sostenitori e gli altri ad una sfida impossibile. Trovo però parimenti illogico e insensato (e non certo per quello che di solito si chiama esercizio di bilancino) il comportamento di gran parte della sinistra, inchiodata per suo verso al moralismo d’ogni taglia e ad un massimalismo politico-ideologico che trova giustificazione non tanto nella realtà delle cose (dico le cose, non i giudizi, che spesso sono pre-giudizi) quanto nell’ancoraggio storico stancamente ripetitivo alla formula Pas d’ennemis à gauche! lanciata da René Renoult, fondatore all’inizio del secolo scorso del partito radicale francese. Io dunque mi colloco tra coloro che non si appassionano a questa lunga, bugiarda, deleteria gara pro o contro la decadenza di Berlusconi da senatore, che di fatto è solo per sapere a chi alla fine resterà in mano il cerino acceso. Una specie di rubabandiera massmediatico che ha già prodotto e produrrà guai seri a tutti noi nell’immediato e nel lungo periodo. Chi intende fare politica così, riproducendo all’infinito il familismo amorale (quell’atteggiamento per cui ci si schiera con la propria parte pregiudizialmente, indipendentemente dal merito delle questioni e soprattutto al di là e al di sopra dell’interesse generale) tipico della tradizione italiana, lo faccia pure. A costui vorrei però ricordare la terza legge fondamentale della stupidità (o legge aurea) formulata alcuni anni fa dallo storico dell’economia Carlo M. Cipolla, che leggermente parafrasata dice così: “È stupida qualunque persona e qualunque azione che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita”. Dimmi tu se il familismo (nell’accezione che ho detto) non è esattamente questo e se non è dovere di ciascuno di noi contribuire a debellarlo nei tempi più rapidi e nei modi più efficaci.
In home la foto che Piero Piscini ha così titolato : Lisca di coregone. Sfortunati i Popoli spolpati e senza teste pensanti per il loro bene.