Dal globale ….
Matteo Renzi. Democristiano, e molto ambizioso
Caro Pier,
questa settimana ti propongo di commentare questo articolo di Carlo Galli pubblicato lo scorso 5 settembre sulla rivista “il Mulino”. Mi è sembrato interessante l’approccio che collega la persona alla storia e la storia all’attualità. Peraltro ritengo che non possiamo esimerci dal dire la nostra su un personaggio di cui si discute e di cui noi stessi discutiamo. C’è tuttavia un aspetto che non mi convince nell’argomentare di Galli: sono le ultime righe in cui dice che la gente vuole Renzi perché cacci via “gli altri” e rivolti il partito come un calzino. Mi chiedo infatti: e che succede se, come sembra, “gli altri” (gli attuali maggiorenti) salgono in massa sul carro del vincitore? Sarà allora una falsa vittoria e un cambiamento di facciata? Oppure per cambiamento dovremo intendere non solo un ricambio generazionale ma anche e soprattutto un cambiamento di fini, di idee e di metodi?
Franco
“Sia chiaro: ‘democristiano’ non può e non vuole essere una connotazione negativa; designa semmai il moderatismo politico unito a un perfetto know how di potere. Né ambizioso può valere come insulto – se non, ipocritamente, in bocca ad Antonio nel Giulio Cesare –, ché anzi l’ambizione personale è il sale della politica; piuttosto, si vuole sottolineare che se Matteo Renzi ha molto sale (non è sciocco, come si dice dalle sue parti), non è ancora chiaro quale pietanza ne sia insaporita. Quale piatto, insomma, si appresta a servirci il nuovo aspirante capo-cuoco, pur bravo maneggiatore di spezie. La sua indeterminatezza è tanto affascinante quanto ambigua, e non ha in sé alcuna caratteristica ascrivibile alla sinistra, comunque questa possa essere declinata. Eppoi, Renzi non è neppure un moderato per scelta – come invece è Letta –; lo è per necessità, perché vuole parlare a una platea così vasta da essere costretto a lanciare messaggi indeterminati e generici, messaggi in cui la forma prevale di gran lunga sul contenuto. La forma è l’entusiasmo e lo sdegno, con un po’ di vittimismo e molta sfrontatezza; è l’acuto che strappa l’applauso, è la mossa che ammicca e conquista, il luccichio dello slogan furbetto. Il contenuto è: il cambiamento è necessario, e io sono il cambiamento; le vecchie oligarchie, le vecchie correnti, hanno fallito e stanno distruggendo l’Italia con la loro incapacità politica, mentre la soluzione sono io, con la mia corrente che è una non-corrente perché le sostituirà tutte. E non per un conflitto di idee, perché le mie idee sono più forti; sì, perché io sono più forte, perché ho dalla mia la giovinezza (è vero, beato lui), la novità (non è vero, ma non importa), e ho i voti perché ho fatto innamorare mezza Italia dicendo agli italiani quello che vogliono sentirsi dire (è vero, soprattutto dopo i silenzi e i vaneggiamenti dei vecchi oligarchi, dalle cui parole e dalle cui azioni gli italiani si sono sentiti respinti, rifiutati). Il moderatismo generico coesiste con un forte espressionismo comunicativo.
Insomma, abbiamo un leader carismatico, che, come tutti quelli come lui, esprime discontinuità, e presenta come prima proposta politica se stesso, la propria novità, la propria sintonia con i ‘nostri’; e la propria ostilità a ‘loro’, i vecchi, i traditori (in questo caso, del Pd, che ‘loro’ hanno sequestrato e che ‘lui’ restituirà al popolo, suo legittimo proprietario; ma forse il concetto va esteso a tutta l’Italia, che attraverso lui viene restituita a se stessa). In certe circostanze, i leader carismatici si propongono come lo strumento di un’Idea che grazie a loro si afferma nella Storia; in questo caso l’Idea coincide con il leader stesso: non c’è nessuno che voti Renzi per adesione al pallido blairismo un po’ vintage di cui è portatore; chi lo vota vuole proprio lui come persona, perché cacci gli altri, perché rivolti il partito come un calzino e ne faccia una macchina di consenso a disposizione del leader”.
Matteo Renzi con la sua comunicativa, la sua prontezza e la sua energia è il contrario del professore universitario Carlo Galli portato dal PD in parlamento. Che all’antipatico Galli sia antipatico il sindaco di Firenze non sorprende. Sarebbe strano il contrario. Però Galli coglie una evidenza: una vittoria di Renzi sarebbe una sconfitta della sinistra, o almeno della sinistra come si è determinata in Italia, specialista in sconfitte sonore e in mezze vittorie. La sinistra italiana si trova a scegliere tra la propria trasformazione e una nuova sconfitta. Come Renzi intenda trasformare la sinistra forse non lo sa bene nemmeno lui, ma, essendo concittadino di Machiavelli, sa che quando acciuffi il potere puoi permetterti il lusso di aggiustare le idee strada facendo. Che fece Blair? Che sta facendo Obama?
… al locale
Caro Franco,
ti propongo un pezzo uscito su Orvietosì, che esprime meraviglia per il silenzio sul Centro Studi. Vorrei dire al Direttore, come diceva Dante Duranti: «Mi meraviglio che tu ti meravigli!» Tu ti meravigli?
Pier
“Il 27 agosto i capigruppo del Consiglio comunale di Orvieto hanno ricevuto il documento dei sette saggi incaricati di salvare il Centro Studi. Tutti i componenti del comitato hanno sottoscritto la relazione senza riserve, anche se appartengono a formazioni politiche avversarie (il consiglieri Pier Luigi Leoni e Davide Melone fanno parte del gruppo del PDL; la consigliera Adriana Bugnini fa parte del gruppo del PD e la consigliera Cecilia Stopponi del gruppo della Rifondazione Comunista) o ad esperienze professionali e politiche di vario genere come il prof. Franco Raimondo Barbabella, l’avv. Stanislao Fella e il dott. Vittoriano Calistroni. Il documento da cui dovrebbe risorgere il Centro studi non ha suscitato in città alcuna reazione. Tutti i partiti sono soliti offrire alla stampa comunicati stampa su ogni argomento e anche senza argomento, ma del Centro studi e della sua possibilità di salvezza, dopo mesi di polemica e di pressione perché si trovasse una soluzione, non c’è in giro uno straccetto di comunicato. Indica negli amministratori comunali e nei partiti un atteggiamento di estrema cautela o segnala disinteresse? oppure soltanto c’è ancora uno scampolo di vacanza? Il documento prodotto dai saggi è piuttosto lungo, 22 pagine, ma merita un po’ di sacrificio, tanto più che comunica una bella notizia: se ci fosse una classe dirigente capace il Centro studi città di Orvieto potrebbe salvarsi.”
No, non mi meraviglio affatto! E perché poi i partiti dovrebbero discutere la relazione del Comitato? Non si tratta forse di una proposta costruttiva, analitica, corretta, approfondita, rispettosa dei compiti e delle responsabilità istituzionali? Non indica forse una strada possibile? Non suona forse come una sfida positiva? Non esce forse dal politichese? Non sottende forse una concezione alta della politica? È possibile che non si sia preparati a discutere roba di questo tipo. O forse più semplicemente non si vuole dare importanza alla incontrovertibile dimostrazione che tra diversi si può lavorare per il berne comune. Perché in questa nostra amata città se non litighi non sei nessuno. Se metti in cima alle tue preoccupazioni la città e non le fazioni come minimo sei un traditore. Se poi cerchi di elevarti ad almeno un palmo da terra e di dimostrare che non si vive di solo lamento, allora davvero sei uno che mangia tutte le mattine pane e arroganza. È per questo che da un pezzo non mi meraviglio del fatto che di fronte a proposte serie la parola d’ordine è ignorare. Si dirà: ma se ne discuterà in Consiglio comunale! È vero. Perciò attendiamo con fiducia. Forse le perplessità e le considerazioni amare espresse qui risulteranno allora del tutto infondate. Forse il confronto istituzionale darà il via a quella politica di largo respiro che da tempo auspichiamo e che è il fondamento primo del rilancio del CSCO. Allora sì che ci meraviglieremo!