Franco Raimondo Barbabella e Pier Luigi Leoni esordirono coi 100 numeri di “A destra e a manca”, continuarono coi 50 numeri di “Ping pong”, hanno insistito coi 50 numeri di “Diciamocelo”. Dopo quasi quattro anni provano con “tu che ne dici?”. Un modo analogo e diverso di coltivare la loro amicizia e di cercare l’amicizia dei Lettori.
Tu che ne dici?
19 agosto 2013 n. 1
Dal locale ….
Il capogruppo del PdL Orvieto sulla lotta all’evasione: “Una vittoria di Concina”
“In questi ultimi tempi – scrive Olimpieri – una delle principali questioni su cui la politica, i media e – soprattutto – la pubblica opinione dibatte e si confronta riguarda l’evasione. … Aggredire l’evasione è una priorità assoluta delle pubbliche amministrazioni, ed in questi anni l’Amministrazione Concina ha dimostrato con provvedimenti concreti di aver fatto passi da gigante. Centinaia e centinaia di migliaia di euro recuperati dalla evasione ICI e TARSU, oltre ad aver azzerato totalmente l’evasione in merito alle mense ed agli scuolabus…. In buona sostanza, possiamo dire con forza che è ormai definitivamente superato il modello assistenzialista e clientelare che era alla base del sistema che per troppi decenni è stato usato per “comandare” la città. Il superamento di quel modello “parassita” ha contribuito a stabilizzare i fondamentali del bilancio ed è stato funzionale nel creare liquidità di cassa per pagare i fornitori ed i prestatori d’opera del Comune. … Per anni la sinistra ha fatto della lotta all’evasione una bandiera da sventolare nei convegni, sui manifesti, nei comunicati stampa; purtroppo quelle grandi teorie e quei fiumi di parole e di inchiostro rimanevano tali e non producevano nulla di concreto. Doveva arrivare Toni Concina – Conclude Olimpieri – per azzerare l’evasione tributaria dai servizi a domanda individuale e per accertare, negli ultimi tre esercizi, qualche milioncino di euro di evasione” (Orvietonews 15.08.2013)
Laura Ricci ha osservato: “… la lotta all’evasione avrà pure contribuito al pagamento dei fornitori e dei prestatori d’opera del Comune, ma va anche ricordato che per pagare ulteriori debiti il Comune ha avuto un’anticipazione di liquidità (in parole povere un mutuo) per l’importo di 7.187.612,44 euro dalla Cassa Depositi e Prestiti”
Leonardo Brugiotti a sua volta ha così commentato: “Olimpieri ha pubblicato l’ennesimo lungo monologo a sua personale gratificazione, così come i suoi occhi risplendono quando ci può parlare delle sue creature…i parcheggi… Ma come al solito all’orizzonte non si vede alcuna sua proposta concreta per risollevare questa città. Settembre sta arrivando e la giunta dovrà presentare il mitico bilancio; per cui alcune domande ad Olimpieri (o a chiunque voglia rispondere)”. Seguono 9 domande su altrettanti problemi non risolti.
(Segnalato da F.R. Barbabella a P.L. Leoni)
È troppo facile ricorrere alla metafora della “commedia della vita” di fronte alla polemica politica, nella quale ciascuno recita la sua parte. Almeno Stefano, Laura e Leonardo stanno sul palcoscenico e ci mettono la faccia; e ce la mettono con passione e tenacia. Chi sta seduto a fischiare o ad applaudire si faccia l’idea che vuole. Ma un dato mi sembra certo: Orvieto è una città in crisi sia per riflesso della crisi nazionale, un po’ attutito dalla forte propensione degli Orvietani al risparmio e quindi dalle riserve disponibili, sia per motivi endogeni. Si tende a focalizzare l’attenzione sulla crisi delle finanze comunali e sulla conseguente insufficienza della pulizia e della manutenzione delle aree e degli impianti pubblici, ma anche sulla paralisi di sperati o auspicati o sognati interventi comunali per la ripresa dell’economia locale. Mi sembra che la strada maestra per lo sviluppo che i più vorrebbero fosse imboccata consista nella valorizzazione del patrimonio culturale. A tal proposito, vorrei sintetizzare alcune personali considerazioni:
a) è fuor di dubbio che Orvieto sia una pregiata città d’arte egregiamente posizionata;
b) è altrettanto indubbio che il patrimonio culturale possa essere più efficacemente valorizzato;
c) ma è anche vero che, come disse il sottotenente orvietano Spartaco Ricchi al superiore che lo minacciava di sbatterlo in Sardegna, «L’Italia è bella tutta»
d) ed è anche vero che non è facile tirar fuori milioni da dove escono oggi poche centinaia di migliaia di euro, senza metterci idee, denaro e lavoro;
e) se il patrimonio culturale è poco e male utilizzato qualche ragione c’è; è tutta colpa degli amministratori comunali passati e presenti, o non c’è un po’ da meditare su questo popolo molto efficiente nell’organizzare sagre e feste, ma poco nell’esprimere una classe dirigente e nel sostenerla?
f) fortunatamente la tendenza all’aggregazione sta ultimamente evolvendo in associazionismo civile e si constata un crescente fiorire di idee e un emergere di persone seriamente impegnate.
… al globale
La dittatura del computer
“Un medico di Fino Mornasco (Como), Mario Tagliabue, è stato licenziato (poi il provvedimento è rientrato) perché si rifiutava di utilizzare il computer nell’esercizio della professione (…). La lettera di benservito, inviata dalla Asl, è stata affissa dall’interessato sulla porta dello studio, in modo che la «clientela» ne prendesse visione. Alla fine il neodisoccupato ha ceduto alle pressioni di tanta gente che si fida di lui e ha accettato, obtorto collo, di smanettare sul pc. Cosicché l’esonero è stato revocato (…) . Oggi, per aggiornarti, o ti assoggetti alle regole del cervello elettronico o ti rassegni alla rottamazione del tuo (…). Ciò detto, occorre però stare attenti a non cadere nell’errore opposto, i cui pericoli sono sati bene enucleati dal dottor Tagliabue nel motivare la propria avversione al pc quale strumento obbligatorio nella professione medica. Egli sostiene giustamente che il suo mestiere è quello di fare diagnosi e di trovare terapie opportune. Aggiunge: il paziente va studiato, visitato, interrogato. Tutto ciò comporta un rapporto umano che non può essere disturbato da un terzo incomodo ovvero il computer, che costringe il dottore a distrarsi dal malato e a concentrarsi sul monitor per non sbagliare. Tagliabue a mio avviso ha centrato il problema. O palpi e ausculti il paziente o ti dedichi alla tastiera (…) Molti suoi colleghi, dopo cinque anni di lavoro svolto meccanicamente, non sono più capaci di distinguere una bronchite dalla dissenteria, però hanno acquisito una tale dimestichezza col mezzo elettronico da suscitare l’ammirazione dei dirigenti Asl. I quali hanno la fissa del risparmio e non si accorgono che se il medico non fa più il medico, ma l’operatore tecnico alla tastiera, i costi salgono vertiginosamente: meno visite e più analisi (spesso inutili, tutte carissime) significano un aumento esponenziale delle spese. Nel mio piccolo, quando scrivo un articolo – bello o brutto che sia – sono impegnato al massimo per limitare le brutte figure: ma il mio sforzo non è quello tipico del dattilografo, cercare cioè di rispettare le leggi grafiche, bensì quello di esprimere con chiarezza alcuni concetti, badando magari a non annoiare il lettore. Ora mi domando: non ci sarà il rischio che l’adorazione della macchina alla fine prevalga sugli scopi che attraverso di essa si vorrebbero ottenere, per cui nei prossimi anni, forse già domani, l’umanità si dividerà in due categorie di stupidi: noi analfabeti elettronici e le generazioni successive schiave (non padrone) del computer? In attesa di una verifica, poiché nelle guerre bisogna schierarsi di qua o di là, mi alleo col dottor Tagliabue cui auguro di vincere. E voi amici, come la pensate?” (Vittorio Feltri, Il Giornale, 15 agosto 2013 – Segnalato da P.L. Leoni a F.R. Barbabella)
Come la penso? Io ho avuto da sempre un rapporto positivo con le tecnologie. D’altronde vengo dalle campagne di Allerona, dove nella mia infanzia ho sperimentato due condizioni: da una parte, che cosa significa non avere la luce elettrica, attraversare a piedi i fossi in piena per mancanza sia di ponti che di altri mezzi di locomozione, attendere che arrivasse il medico con il cavallo (sempre con i fossi in piena) quando avevi la polmonite; dall’altra come cambia la vita quando tuo padre, animato dall’idea socialista del progresso, porta a casa una radio a pile o una Balilla con cui puoi andare facilmente in città.
Questo rapporto positivo con le tecnologie si è poi sviluppato nel tempo con riferimento a tutto ciò che la scienza e le sue applicazioni producono, dal trasporto all’informazione e alle comunicazioni. Il mondo delle TIC non mi ha mai spaventato: sono stato e resto un autodidatta, che si avvale delle competenze altrui quando ha bisogno di saperne di più per risolvere qualche problema.
Nelle mie molteplici attività ho sempre cercato di stimolare la ricerca delle soluzioni più avanzate per organizzare progetti e iniziative o dare servizi o permettere o facilitare l’acquisizione di competenze. L’ho fatto nella veste di amministratore pubblico così come in particolare come preside (mi picco di ricordare che l’informatizzazione sistematica del Comune di Orvieto e della città cominciò con l’Amministrazione da me diretta e che il liceo Majorana è diventato una delle scuole più dotate di tecnologie avanzate e di competenze diffuse per il loro uso consapevole).
Questa apertura tranquilla all’uso delle tecnologie, in particolare quelle informatiche, naturalmente non mi ha impedito di riflettere sul loro uso. Trovo dunque familiare le riflessioni di Vittorio Feltri, talmente familiari che mi sembrano datate e talmente datate che mi sembrano francamente inutili. Come si può non essere d’accordo con un esercizio della professione medica che sia fondato sul rapporto diretto con il paziente? Ma chiedo: perché rifiutarsi di usare il computer per tutti i vantaggi che dà al medico se non altro in termini di informazione, autoaggiornamento, organizzazione del lavoro, e anche rapporti con il paziente?
Certo, il pericolo di affidarsi totalmente alla macchina esiste, come esiste la tendenza a dare alla meccanizzazione una finalizzazione totalizzante per l’ossessione del risparmio. Ma qui entriamo nel campo dei pensieri e delle azioni equilibrate, che appartengono sia agli individui che agli organismi che governano i processi. E come si sa, l’equilibrio, oltre che difficile da mantenere, è difficile da raggiungere. In fondo è un problema di menti riflessive, aperte e sicure. Per cui c’è di mezzo inevitabilmente la formazione e la crescita. Appunto, roba complessa e sempre a rischio.