Caro amico, questa settimana ti scrivo …
Pier Luigi Leoni
Caro amico, così ti rispondo …
Franco Raimondo Barbabella
Memoria di Nello
Ciao Nello Riscaldati, va e riposa in pace! / Senza di te, da oggi, Orvieto tace / e continuerà a perdere decoro / senza la tua voce fuori dal coro! (Giuseppe San Giorgio, Orvietosì, 3 luglio 2013).
P. Ho avuto la fortuna di essere buon amico di Nello Riscaldati, che annovero tra i grandi orvietani della nostra epoca. Quando mi arrabbio con gli Orvietani, compreso me stesso, penso a persone come Nello e mi rassereno; mi riappacifico con la nostra città. Non ho certo aspettato la sua morte per dirgli quanto gli ho voluto bene. Ho cercato di dimostraglielo collaborando con lui nella redazione del Comune Nuovo e seguendolo in quell’avventura che, con l’aiuto dei comuni amici Cesare Perali e Renzo Orsini, fu il “Paese dei balocchi”, anzi il Paese dei… e qualcos’altro che Nello inventava ogni mese per eludere la incivile e illiberale legge sulla stampa che obbliga i periodici a registrarsi in tribunale pagando una gabella allo Stato e un compenso a un direttore responsabile. Per il momento rendo omaggio a Nello elencando quei titoli sotto i quali sfottemmo a lungo i nostri concittadini (esplicitamente) e noi stessi (implicitamente).
Il Paese dei Balocchi; dei Baiocchi; degli Allocchi; degli Gnocchi; degli Imbocchi; dei Pastrocchi; dei Brillocchi; degli Accrocchi; dei Pinocchi; degli Scrocchi; dei Rintocchi; dei Berluscocchi; dei Batalock ’n roll; della Magagna; del “o Franza o Spagna”; della Lagna; della Sciampagna; della Lansagna; della Cecagna; della Pedagna; del Magna Magna; della Scarfagna; della Cuccagna; degli Ortaggi; degli Arrembaggi; degli Ingranaggi; degli Incasinati; degli Arrovellati; degli Ammanicati; degli Assatanati; degli Insaponati; degli Affaccendati; degli Affumicati; degli Attapirati; dei Rintorcinati; degli Ammanicati; degli Spaparacchiati; degli Intossicati; dei Giuggioloni; dei Bidoni; dei Paciocconi; dei Tromboni; dei Paperoni; dei Bottiglioni; dei Cialtroni; dei Rompicoglioni.
Ma non finisce qui.
F. Certo, per un personaggio come Nello Riscaldati, il ricordo non può finire con i titoli del “Paese dei balocchi” né, ritengo, con i ricordi personali, anche se questi alla fine sono ciò che conta per ciascuno di noi. Ad essi anch’io comunque ora mi attengo visto che in tal senso mi stimoli. Io, com’è naturale, ho ricordi diversi dai tuoi anche perché riferiti a situazioni ed esperienze diverse. Innanzitutto mi viene in mente il maestro, l’educatore, e in particolare il docente di filosofia e storia che citava spesso la “Storia della filosofia occidentale” di Bertrand Russell, sintesi chiara e veloce del pensiero occidentale dai presocratici al primo novecento che lega teorie e autori al loro contesto storico-sociale. Ricordo anche il pungente atteggiamento, un misto di scetticismo e di contrarietà, nei confronti dell’amministrazione comunale, che era la posizione assunta dal gruppo del “Comune nuovo” quando io ero sindaco, atteggiamento che mi ha prodotto amarezza in più di un’occasione, ma di cui non ho mai serbato rancore. Ricordo poi il poeta, lo scrittore, il pittore, insomma l’artista, e poi il medico, e l’attore, e il pubblicista. Ecco, sopra ogni altra cosa mi piace ricordare questa poliedricità di Nello, espressione di inesausta curiosità intellettuale e umana, roba sempre più rara nell’incombente desertificazione dell’anima. No, credo anch’io che il ricordo non può esaurirsi qui.
Bill Gates cafonal
Poco tempo fa Bill Gates è stato riconfermato da Bloomberg “uomo più ricco del mondo”. I soldi, tantissimi, non sono mai mancati al creatore di Microsoft. Gli ultimi 8,7 milioni di dollari ( quasi 7 miliardi di euro) sono stati spesi per un ranch in Florida, nei dintorni dell’esclusiva Palm Beach. L’umile dimora misura 7234 piedi quadrati, circa 672 metri quadrati, ha quattro camere da letto, quattro bagni, un maneggio di 1,78 acri, 7.203 metri quadrati, e un numero imprecisato di scuderie. Il magnate dell’informatica, cuore di papà, avrebbe acquistato la tenuta per rilassarsi, ma anche per cavalcare assieme alle sue figlie, appassionate di equitazione. Una svolta cafonal che stride con l’understament e l’attenzione al sociale portati avanti fino ad oggi. Gates è da tempo impegnato nella lotta all’Aids, soprattutto nei Paesi del terzo mondo e ha sempre promosso attività umanitarie. Le sue case sono sempre state più hi tech che Rococò, ma l’ultima sembra fare eccezione. Nel 2008, al Forum economico mondiale di Davos, in Svizzera, Gates aveva invocato l’inizio di una nuova era in cui i progressi tecnologici compiuti dalle aziende non sarebbero stati sfruttati solo per la logica del profitto, ma anche per portare sviluppo e benessere ai più bisognosi. Ribattezzò questo ammirevole, ma ipotetico, nuovo corso come “capitalismo creativo”. Nel nuovo ranch di Gates di creatività ce ne è molta, pure troppa: mogano nero, abbinato a moquette bianca, tende fiorate abbinate a divani a scacchi, paralumi demodé e sedie di desing. L’intento filantropico, però, a questo giro, sfugge. (Micol Scarfatti, L’Huffington Post, 3 luglio 2013).
P. Il fatto che Bill Gates spenda molto in attività filantropiche non ha niente di originale. Fa parte della tradizione filantropica del turbocapitalismo statunitense. Si tratta di investimenti in reputazione con riflessi positivi sull’attività imprenditoriale e anche sulla coscienza. Tutto sommato niente di male. Ma niente di strano neanche negli atteggiamenti da nababbo, propri degli arricchiti non solo statunitensi.
F. Nel pezzo di Micol Scarfatti si nota quella venatura moralistica che è direi strutturalmente presente nell’Huffington Post ed in genere nella pubblicistica che coccola quella spocchiosa tendenza piccolo-borghese a pretendere la perfezione dei comportamenti quasi sempre negli altri e quasi mai per se stessi. Nemmeno io provo una qualche meraviglia per ciò che fa Bill Gates, anzi, mi meraviglio che vi sia ancora qualcuno che si meraviglia che lui, come altri prima di lui e insieme a lui, non si sia del tutto votato alla santità in vita. In realtà mi consola proprio il fatto che la santità è cosa rara e che, almeno da quando se ne occupò Platone nei dialoghi socratici, nessuno può sentirsi autorizzato ad improvvisarsene giudice.
Monopoli privati e monopoli pubblici
Il detentore di un monopolio controlla tutta l’offerta di un certo bene o servizio, e pertanto tenderà a farsi pagare di più di quanto farebbero imprese in concorrenza. Per la stessa ragione (o mangi questa minestra o salta questa finestra), non potendo i consumatori rivolgersi altrove, le loro pretese circa la qualità di ciò che acquistano faticheranno a trovare udienza. Più ancora del monopolio, è proprio la politicizzazione di servizi come la sanità o l’istruzione a far vincere la logica del salario (della tutela, cioè, di chi li fornisce più di chi ne usufruisce) sulle ragioni della qualità. (Alberto Mingardi, Il Sole24Ore, 23 giugno 2013).
P. I monopoli dei servizi pubblici hanno avuto un grande ruolo storico nella estensione alla generalità dei cittadini dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria. Essi sono nati da una visione semplificata della realtà sociale e politica: la competizione del mercato, cioè la libertà economica, assicura nel modo migliore la produzione di beni e servizi e l’accumulazione della ricchezza, ma lascia indietro chi per qualsiasi motivo soccombe nel gioco della competizione; lo Stato e gli altri apparati pubblici hanno il compito di rendere la società più equa prelevando, con imposte progressive, una parte delle ricchezze di chi nel mercato si arricchisce per ridistribuirle a favore di chi, nell’economia di mercato, rimane o diventa povero. Però questo meccanismo, che si chiama Stato assistenziale (in inglese Welfare State), è entrato in crisi quando la progressiva globalizzazione del mercato ha portato in ballo Paesi che il sistema politico collettivistico o lo stato endemico di arretratezza tenevano fuori dal gioco. Così il nostro Paese si trova a competere non più soltanto con altri Paesi dell’Occidente industrializzato, partecipando con essi al saccheggio del resto del mondo, ma se la deve vedere con un numero sempre crescente di Paesi emergenti. Nell’Europa Orientale, in Asia e persino in Africa, grazie alla circolazione delle informazioni, si sono resi conto che gli Occidentali non nascono più intelligenti degli altri e che con loro si può competere. Negli anni del nostro miracolo economico, i nostri vecchi, che avevano sperimentato un tenore di vita paragonabile a quello dei nordafricani di oggi, ci dicevano che eravamo nati con la camicia. Adesso quella camicia ce la dobbiamo sempre più contendere con miliardi di poveracci che navigano non solo sui gommoni, ma anche con internet. Scopriamo così che ogni sciopero non è una conquista, ma un favore ai nostri assedianti; che ogni settimana bianca lasciando i vecchi con le badanti ucraine è un lusso in via di estinzione; che ogni ospedale e ogni scuola ci stanno costando troppo; che ogni pensionato con una buona pensione è una palla al piede ed è guardato di traverso dai giovani che la pensione non se la possono nemmeno sognare. Allora non è il caso di cominciare a disseppellire quel terzo valore che la Rivoluzione francese ipocritamente sbandierò senza crederci? Non è il caso di prendere coscienza che la liberté e l’égalité non stanno in piedi senza la fraternité?
F. La tua analisi delle origini e del ruolo storico del Welfare State, una delle più importanti conquiste della civiltà occidentale nel novecento, è senz’altro condivisibile. Non altrettanto però la conclusione del ragionamento. Per due ragioni. La prima è che non è vero che i rivoluzionari francesi sbandierarono ipocritamente la fraternité senza crederci. Essi (ovviamente con diversità rilevanti ed eccezioni) credettero (semmai ingenuamente) sia nella liberté e nell’égalité che nella fraternitè, ma probabilmente non si resero conto subito di quale fosse la portata dei cambiamenti di cui si erano fatti promotori e di quale forza avrebbe avuto la reazione che dal loro avanzare sarebbe derivata. La seconda è che io non credo né che sia facilmente superabile la funzione di garanzia sociale del Welfare né che tale superamento sia possibile affidandosi alla fraternité. Concettualmente fraternité fa riferimento agli ideali umanitari, è insieme orientamento intellettuale individuale e disposizione dell’animo, ed ha perciò un forte connotato di ambiguità: è cosa affidata alla persona, per cui può esserci in particolari circostanze, può esserci e può anche non esserci. Invece le esigenze di garanzia sociale ci sono comunque e vanno dunque considerate e disciplinate con norme. In sostanza la natura sociale dell’istruzione, della sanità, della previdenza e di quant’altro distingue lo stato preoccupato del benessere dei cittadini (che è la traduzione più appropriata di Welfare State), non sono aspetti opzionali delle società democratiche moderne, ma il loro tratto distintivo. Il welfare sarà da cambiare, da modernizzare, da rendere meno assistenziale e più responsabile, ma non può esser affidato alla bontà di menti illuminate e alla oscillante generosità degli individui.