Caro amico, questa settimana ti scrivo …
Franco Raimondo Barbabella
Caro amico, così ti rispondo …
Pier Luigi Leoni
Ma che fine ha fatto la nostra civiltà giuridica?
“Non si placano le reazioni e i commenti alla sentenza del Tribunale di Milano che ha condannato in primo grado Silvio Berlusconi a sette anni di detenzione e alla interdizione perpetua dai pubblici uffici per concussione e prostituzione minorile, relativamente al “caso Ruby”. Si tratta di una sentenza pesantissima che – sebbene ci sia ora un processo di appello – non potrà non avere ripercussioni sia sul governo sia sul futuro delle aziende che fanno capo a Berlusconi. Ma è anche una sentenza che ha provocato reazioni caratterizzate da un’indebita confusione di piani tra l’aspetto morale della vicenda, i suoi eventuali profili penali e le inevitabili conseguenze politiche”. (Riccardo Cascioli, La nuova bussola quotidiana, 26.06.2013)
F. Questo è l’incipit di una lunga intervista che Cascioli ha fatto al prof. Mauro Ronco, ordinario di diritto penale all’Università di Padova e già componente del Consiglio Superiore della Magistratura. Le risposte del prof. Ronco alle precise domande di Cascioli fanno davvero riflettere. Tento di riassumere fedelmente. Alla domanda se la condanna sia fondata su “prove inoppugnabili” il professore risponde che bisogna considerare due aspetti: la quaestio facti (esistenza o meno dei fatti) da risolversi mediante valutazione probatoria (se i fatti hanno o no valore di prova) e, nel caso che i fatti siano ritenuti probatoriamente esistenti, la fondatezza giuridica di ritenerli una concretizzazione dei reati contestati.
Alla prima questione egli dice che si può rispondere solo in base ad una conoscenza diretta degli atti processuali. E però aggiunge: “Tuttavia, a una visione dall’esterno, appare chiaro che le prove testimoniali erano tutt’altro che allineate rispetto alla ipotesi dell’accusa, tanto è vero che il Tribunale ha ritenuto la falsità delle numerosissime fonti di prova che hanno riferito cose in contrasto con tale ipotesi. E’ molto raro, se non addirittura costituente un unicum, che un così alto numero di testimoni sia messo in disparte in forza di una accusa di falsità”.
Sulla seconda questione afferma: “Sul piano giuridico mi sento di esprimere opinioni in assoluta divergenza con quelle accolte dal Tribunale di Milano. Ritengo infatti che né il delitto di concussione, né quello di prostituzione minorile siano sussistenti. La prostituzione minorile postula infatti l’esistenza della nota fondamentale dello sfruttamento sessuale a fini commerciali che, nella vicenda in oggetto, è del tutto assente”. E l’accusa di concussione “poi è addirittura paradossale. Per la prima volta, credo, in Italia o in qualsiasi paese del mondo, l’invito a un funzionario di tenere un comportamento di minor rigore verso un minore, ben frequente nell’esperienza ordinaria, è stato ricondotto entro i parametri di un reato gravissimo, che si realizza quando un Pubblico ufficiale minacci un danno ingiusto a taluno per ottenerne un vantaggio patrimoniale o comunque di tipo economico”.
Di fronte a pareri come questi cadono gli apparati pregiudiziali da cui ciascuno di noi si lascia spesso condizionare per non riuscire a tenere sempre ben distinti, come pure sarebbe necessario, i diversi piani di giudizio: quello morale, quello politico e appunto quello giudiziario. Qui però sta il fondamento della nostra civiltà giuridica, e di conseguenza non possiamo evitare di chiederci dove stiamo andando. Perché, se i giudici ci danno l’impressione di giudicare senza fondamento giuridico e se noi ci abituiamo a considerare questa condizione come normale cade il fondamento stesso del patto sociale. In verità non ci può essere antipatia, giudizio morale o politico che possa giustificare un allontanamento dei giudici dai fondamenti del diritto quando viene giudicato un cittadino. Se questo avviene, non solo si producono condanne ingiuste e conseguenti vittime, ma si va dritti verso terre di cui si può unicamente dire “hic sunt leones”.
P. Rispetto i giudici come rispetto gli insegnanti e gli operatori ecologici. Rispetto tutti fino a quando meritano di essere rispettati. Sui magistrati italiani ho una opinione che dipende dalla mia esperienza, dalla quale non posso prescindere, anche perché non mi restano abbastanza anni per farmene un’altra. Mio padre, della cui integrità ho un concetto sempre più alto a mano a mano che m’invecchio, fu vittima della giustizia. Io stesso, della cui integrità sono sempre più sicuro a mano a mano che m’invecchio, sono stato vittima della giustizia. Dopo la laurea in legge, non ho mai voluto provare a fare il concorso da magistrato perché, data la carenza di opportunistiche relazioni sociali che la mia famiglia aveva sempre disdegnato, non avevo altre carte da giocare che studiare come un matto rischiando di rovinarmi la salute. Ho visto amici bruciati dall’ambizione che si sono rovinati la vita e i nervi per diventare magistrati, a volte senza riuscirci. Un’altra cosa che mi spaventava era che mentre un aspirante poliziotto veniva selezionato con una procedura estremamente rigorosa per quanto riguarda la salute fisica e mentale, per fare il magistrato bastava un certificato del medico condotto, come per fare la dattilografa. Una volta Berlusconi disse che la magistratura era piena di matti; è stata una delle rare volte in cui mi è riuscito simpatico. Ma glie la stanno facendo pagare cara. Credo a poco di quel che dice Berlusconi, ma gli credo quando dice che la magistratura lo sta perseguitando. Il processo Ruby passa il segno e la misura perché mescola una spericolata interpretazione della legge e dei fatti con un plateale femminismo e col più vieto moralismo. Certo, Berlusconi è un narcisista e un erotomane e non può fare a meno di fare in grande anche le cose più squallide, circondandosi di donne corrotte e di ruffiani; però inventare un processo senza costrutto giuridico trasforma un personaggio vizioso, ma di grande intelligenza e fascino mediatico, nonché dotato di enormi mezzi, in una vittima. Questo processo approfondisce il solco dell’odio che storicamente divide gli Italiani compromettendone la riconquista del ruolo di Nazione civile; alimenta la guerra civile strisciante che combattiamo ogni giorno. È talmente insidioso questo processo che, se e quando Berlusconi sarà assolto, l’effetto sarà ancora quello dell’approfondimento dell’odio. La magistratura fa parte di questo clima.
Il ritorno del burocratese
“Uffici pubblici: la lingua chiara non è più un obbligo. La norma era stata introdotta 12 anni fa: i cittadini dovevano capire senza essere costretti a decifrare. Era prevista la nascita di una task force di esperti con un numero di telefono “sos lingua”. Ma tutta l’operazione è stata soltanto una sconfitta. Hanno abolito l’obbligo della chiarezza e dunque uno sfrattato non può più protestare quando lo chiamano “cittadino passivo di provvedimenti esecutivi di rilascio”. Ma forse è l’ora di reagire. Darebbe certamente il via alla rivolta linguistica quel cameriere di bar che segnasse l’ordinazione dell’ex ministro Patroni Griffi usando il burocratese che gli piace tanto. E che consiste nello scrivere caffè senza mai chiamarlo caffè, ma “altresì assumendo che il liquido in oggetto non sia da iniettare e tenendo conto che trattasi di connubio tra acqua e piccoli semi tropicali”. Conosco una signora che ha due codici fiscali. Le hanno chiesto “la cerzioriazione” per stabilire “la anteriorità al fallimento di formazione del documento di garanzia” e ovviamente con riferimento “al diritto ex adverso azionato”. Ebbene, i funzionari che (non) le hanno spiegato come uscire dalla doppia identità da due giorni non violano più il codice di comportamento dei dipendenti pubblici. Dopo dodici anni infatti è stata cancellata la norma che li obbligava “ad adottare un linguaggio chiaro e comprensibile”. (Francesco Merlo, La Repubblica, 28.06.2013)
F. Di fronte a notizie come questa forse l’unica cosa sensata che si può dire è che siamo in Italia, la parte del mondo in cui tutto è possibile, ma dove in genere si cambia per non cambiare niente. In verità dunque burocratese c’era e burocratese c’è, perché quasi nessuno si è preoccupato di applicare quella norma finché è stata in vita. E naturalmente se qualcuno lo facesse osservare, chiunque fosse lo guarderebbe con gli occhi sgranati e gli direbbe che al momento ci sono cose ben più importanti, ciò che magari è anche vero, ma il punto è che per questioni di questo tipo (e non solo, come ben sappiamo) il momento non arriva mai.
Va detto peraltro che il burocratese non coincide necessariamente con l’ignoranza o con la stupidità ed è magari piuttosto frutto di pigrizia, furbizia e conservazione castale. Anzi, esso segue regole molto precise. Ad esempio: “non usare mai una sola parola quando al suo posto se ne possono usare almeno due, e meno chiare”; “mai seguire una strada dritta e breve quando se ne possono seguire almeno quattro storte e lunghe”; e così via.
Tutto normale dunque? Beh sì, siamo in Italia! Però mi sia consentita almeno una domanda: poiché con questo provvedimento si incentivano oggettivamente le “virtù bizantine” della pubblica amministrazione, che succede quando all’oscurità e all’incomprensibilità del burocratese si congiungono le espressioni fumose, arzigogolate, furbesche, e sempre più spesso sciatte e scorrette, del linguaggio politico? Non è detto tuttavia che questa sia una domanda sensata. Infatti, la cosa più probabile è che nessuno se ne accorga e che, anzi, a tutti in fondo stia bene così. Perciò evviva, evviva!!!
P. Forse perché sono un burocrate a riposo, ma quando vedo attaccato il burocratese m’infastidisco un po’. Mi sembra un’ingiustizia attaccare i burocrati senza prendersela anche coi magistrati, coi notai, con gli avvocati, coi filosofi, coi medici, con gl’informatici e così via. Comunque la battaglia contro l’arroganza dei linguaggi settoriali è destinata a essere persa perché la fumosità serve ad economizzare le energie. Scrivere con chiarezza è molto difficile: richiede cultura, attenzione, esercizio e spirito di sacrificio; richiede soprattutto un grande rispetto di se stessi e del prossimo. Si tratta di qualità e virtù piuttosto rare.
Il maltempo continua e gli allagamenti pure. Quando si farà quello che il buon senso suggerisce?
“Con 28 millimetri di pioggia caduti in meno di un’ora nel tardo pomeriggio di mercoledì, Orvieto scalo, dopo la drammatica alluvione del 12 novembre scorso, è finita di nuovo sott’acqua. Un incubo che ha rischiato di ripetersi per quelle attività che hanno impiegato settimane per pulire il fango e mesi per rimettersi in piedi. Per questo dal Comune di Orvieto parte un appello forte a Sii e Provincia di Terni per gli interventi che, a distanza di oltre sette mesi, non sono ancora stati fatti. Ovvero, nel caso del Sii, il potenziamento non più rinviabile delle pompe di sollevamento del sistema fognario nella zona di Santa Letizia che si è rivelato ancora una volta del tutto insufficiente e, nel caso della Provincia di Terni, la rimozione dei detriti e dei rifiuti portati dalla piena di novembre e mai portati via. Il violento temporale di mercoledì oltre a costituire un fatto particolarmente eclatante in rapporto alla stagione, ha infatti nuovamente determinato allagamenti”. (Notizia di OrvietoSi, 28.06.2013)
F. Io sono stanco, e con me credo tanti altri, di assistere impotente al ripetersi degli stessi fatti senza che si veda un vero cambiamento (come richiederebbe la gravità della situazione) nel comportamento reale dei soggetti pubblici cui spetta il dovere di intervento per la salvaguardia di persone e beni nella valle del Paglia. L’assessore Margottini protesta e richiama alle loro responsabilità SII e Provincia. Mi permetto di chiedere: tutto qui? Che cosa si aspetta a prendere in considerazione sul serio quanto da tempo propone l’associazione “Valle del Paglia bene comune”? È stato proposto infatti un metodo che vale per tutti e per sempre, cioè il coordinamento degli interventi sulla base di una progettualità condivisa. Ed è stata fatta la richiesta alla Regione di istituire per questo un osservatorio operativo da subito. Quanto vogliamo scommettere che appena si agirà così le cose prenderanno una piega diversa?
P. Gli esseri umani, prima di decidersi a comportarsi razionalmente, devono provare tutte le alternative. Temo che dovremo assistere ad altri guai perché alluvione chiama alluvione, come frana chiama frana. L’acqua e le rocce si “affezionano” alle strade che hanno sperimentato nella loro dinamica. L’uomo deve umilmente prendere atto di ciò e governare l’acqua e le rocce. Non è possibile eliminare ogni rischio, ma rischiare perché non si riesce a mettere in riga i vari centri di competenza è un comportamento criminale. La popolazione non s’illuda. O perde la pazienza e mostra i pugni, o finisce di nuovo sott’acqua.