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Home LETTERE PROVINCIALI

Diciamocelo n. 47 – 22 luglio 2013

Redazione by Redazione
23 Luglio 2013
in LETTERE PROVINCIALI, Archivio notizie
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Caro amico, questa settimana ti scrivo …

Pier Luigi Leoni

Caro amico, così ti rispondo …

Franco Raimondo Barbabella

 

I ragazzi di sessant’anni

 

“A seguito del mio libro «I ragazzi di sessant’anni», molto spesso mi sono sentito chiedere cosa fanno i sessantenni di oggi. La risposta che mi sembra più veritiera è che le soluzioni adottate sono molto variegate: non esistendo più un modello consolidato e buono per tutti, quello che si basava sulla tripartizione della vita in: giovane – adulto – anziano, ciascuno va alla ricerca della propria strada. A parte chi continua a lavorare senza averne alcuna voglia per via delle nuove norme pensionistiche, le storie che ho raccolto e che continuo a raccogliere raccontano, ad esempio, di persone che hanno fatto della continuità della vita lavorativa di sempre la loro scelta. Di fianco ai «continuisti» si trovano coloro che mantengono un focus alto su un’attività lavorativa, ma diversa rispetto a quella di sempre.  Poi ci sono coloro che danno la priorità ad attività non remunerate: sono ad esempio numerosi quelli che danno senso alla loro esistenza coltivando passioni che smuovono energia e motivazione. Infine, una percentuale significativa dei nuovi senior (anzi, le ricerche dicono che è la percentuale maggioritaria), si reinventano la propria quotidianità dedicandosi a servizi utili agli altri e non remunerati. In questa percentuale rientrano fondamentalmente due categorie: coloro che fanno attività di volontariato in una delle tante associazioni non profit in circolazione e coloro che si dedicano alla famiglia (i nonni che si prendono cura dei nipoti, oppure i figli sessantenni che si prendono cura dei genitori over80 non più autosufficienti), unendo così al servizio utile una forte dimensione affettiva”. (Enrico Oggioni, huffingtonpost.it,  19 luglio 2013).

 

P. Siamo entrambi abbondantemente ultrasessantenni, in una fase della vita e in uno stato di reddito e di salute che ci consentono di essere ancora utili alle nostre famiglie e alla società; magari con un po’ d’insofferenza da parte della società. Come noi ce ne sono tantissimi, grazie al progresso della medicina; se ci organizzassimo, diventeremmo un partito potente. Perché non lo facciamo? Perché la vita non ci ha reso abbastanza saggi da considerare nullità le fissazioni che ci hanno diviso fino ad ora? Perché ci facciamo dettare l’agenda dai più giovani, impaniati in una società che sanno criticare ma non aggiustare? Che siamo vicini alla decrepitezza e alla morte è fuori discussione; ma per non pensarci ci agitiamo, come fanno un po’ tutti gli anziani studiati da Enrico Oggioni. Mi sovvengono i versi di Francesco Berni quando descrive le prodezze d’Orlando con l’affilatissima Durlindana:
Onde ora avendo a traverso tagliato
Questo Pagan, lo fe’ sì destramente,

Che l’un pezzo in su l’altro suggellato

Rimase senza muoversi nïente:

E come avvien quand’uno è riscaldato,

Che le ferite per allor non sente,

Così colui, del colpo non accorto,

Andava combattendo ed era morto.

F. Sì, certo, la vita può essere anche interpretata come una partita a scacchi con la morte (Bergman, “Il settimo sigillo”) o anche come una perenne rinuncia ad ogni evento in attesa dell’unico degno di nota, quello finale. Insomma, una vita come non-vita. Io penso al contrario che la vita sia un dono e che, proprio per essere tale, vada rispettata e vissuta per come è possibile, comunque al massimo delle proprie possibilità. Anche a sessant’anni. E naturalmente oltre, qualora sia consentito. Io non saprei inserirmi in una sola delle categorie elencate da Enrico Oggioni, avendo molteplici interessi e svolgendo molteplici attività, alcune scelte, altre imposte dalla realtà. In alcune ci siamo ritrovati insieme e così ci è data spesso l’occasione di verificare che non ci fa difetto né la vivacità intellettuale né la voglia di essere utili. Allora perché paragonarci a chi “andava combattendo ed era morto”? Ci sono tanti morti che camminano per conto loro, e non certo per età!

Omosessuali all’altare

 “Era una pura formalità. Ma l’emozione per la comunità gay è stata grande: già, perché la governatrice della Chiesa d’Inghilterra nonché Regina Elisabetta ha firmato il Marriage Bill, il provvedimento che rende il matrimonio tra appartenenti allo stesso sesso legale, in Inghilterra e Galles. Così funziona nei paesi più civili del nostro: un conflitto d’interessi si sbroglia in fretta, non lo si nasconde sotto il tappeto o, peggio, si rimanda all’infinito.  Sono 14, ora, le nazioni che accettano il matrimonio gay e lo hanno comparato in tutto e per tutto all’istituto delle nozze comunemente conosciuto, in sede civile e non. E tra questi, come sappiamo, non c’è l’Italia, che tra Pacs e Dico non è stata neanche capace di salvaguardare un livello minimo di dignità politica ed etica su questo tema, ostaggio di un pensiero religioso, omofobo e retrogrado sfruttato da una Chiesa invadente, nonostante dovrebbe essere libera in libero Stato, per costituzione (e viceversa), e dalle parti peggiori del nostro Parlamento (e anche fuori), quelle ali estreme che si riconoscono soprattutto nella Lega e nelle formazioni di destra più antidemocratiche. E invece ce la sogniamo la maggioranza schiacciante che ha avuto il Marriage Bill. Che, ovviamente, consente alla Regina di non perdere la faccia (la Chiesa d’Inghilterra non potrà celebrare nozze gay, secondo la legge) e ai conservatori di non venire emarginati”. (Boris Sollazzo, blogo.it, 18 luglio 2013).

 

P. Confesso che la prospettiva dell’istituzione, anche in Italia, del matrimonio gay mi lascia indifferente, come mi lascia indifferente lo scioglimento sempre più facile del matrimonio. Questi fenomeni rappresentano un problema solo perché ci si ostina a considerare ancora, in ambito civile, il matrimonio come un istituto ancora sostenibile. Una volta accettato il principio della tolleranza, non c’è alcun motivo di non considerare l’accordo di convivenza come un qualsiasi contratto. I contratti si stipulano e si sciolgono con la volontà delle parti; e non c’è alcun motivo per non equiparare al contratto di convivenza di un uomo e di una donna eterosessuali, quello di due omosessuali; ma nemmeno c’è motivo di non equiparare a tali tipologie i contratti di convivenza di più di due persone con varie combinazioni di tendenze sessuali. Del resto tutto questo avviene ormai dovunque, matrimonio o non matrimonio. Quando vedo la celebrazione di un matrimonio gay, ciò che mi stona è lo scimmiottamento di un matrimonio tradizionale, che rivela un latente perbenismo e uno spasmodico desiderio di intenerire ed essere accettati dalla società. Quindi gli omosessuali facciano quel che loro aggrada e rispettino i matrimoni  cristiani, musulmani e di altre religioni. Questo mi sembra l’unico modo per allentare le tensioni sociali. Chi poi, come e me e come tanti altri, crede che il matrimonio sia un istituto di diritto naturale imperniato sull’unione stabile di un uomo e di una donna, alimentato dalla speranza di generare altri esseri umani, di allevarli e di educarli, lo pratichi bene e dimostri che il resto sono capricci.  Quanto alle adozioni di bambini, mi preoccuperei più della sanità mentale degli adottanti che di altro. Vi sono sempre stati bambini generati da maniaci sia eterosessuali che omosessuali: è questo il fenomeno che va combattuto. I bambini sono sacri, sia quelli in mano agli eterosessuali che agli omosessuali.

 

F. Le tue considerazioni sono in gran parte condivisibili. Perciò faccio solo poche sottolineature. Innanzitutto sul matrimonio di coppie omosessuali. Non capisco la resistenza ad una regolamentazione giuridica moderna in analogia con quella di altri paesi: come dici tu, si tratta di un contratto che libere persone liberamente hanno il diritto di scegliere, ivi incluso, io ritengo, quello di sanzionare l’atto con una cerimonia del tipo che più aggrada (comprese quelle di elevato livello pacchiano). D’altra parte le società moderne hanno elevato il pluralismo a principio sia etico che giuridico e politico, e chi tenta di negarlo di sicuro può creare qualche problema ma la partita l’ha persa in partenza. Invece sarei prudente sull’adozione dei figli, non tanto in linea di principio, quanto in considerazione del fatto che, essendo del tutto prevalente il diritto di tutela del minore, va evitato che l’adozione serva a soddisfare un bisogno egoistico per quanto sincero possa essere.

 

I partiti sono ferri vecchi?

 

“A pochi mesi dalle amministrative sarebbe nell’insieme interessante capire quali e quante siano le diverse anime del PD locale, unico partito che per ora parla e agisce come forza di governo. E anche quali siano, al di là delle parole, la sua idea di futuro, la visione, gli indirizzi, gli strumenti, i metodi. Ma nell’esprimere questo sarebbe bene che fosse chiarito anche con il contributo di chi e come.  Con la maschera della partecipazione si chiederà l’approvazione-ratifica di proposte ormai blindate o si cercherà veramente di costruirle insieme quelle proposte, costi quello che costi, con tutti coloro che hanno qualcosa da dire e dare? I fermenti sono tanti, il vento politico cambia in continuazione. Si potrebbe creare un’onda lunga il cui obiettivo non sia solo vincere le elezioni ma costruire una nuova stagione di progettualità sostenibile attorno a cui far rifiorire questa vasta, bellissima e un po’ dimenticata area dell’Italia centrale.  Può essere questa una speranza? Possiamo far crescere consapevolezza e senso di partecipazione in questa direzione?”. (Filippo Belisario, orvietosi.it, 16 luglio 2013).

 

P. Belisario pone il problema della partecipazione in un articolo permeato di delusione nei confronti del PD. Il momento è delicato e la preoccupazione è giustificata. Ciò che mi sorprende è come si possa ancora, benché lontanamente, sperare nel PD. Quali sono i titoli storici, morali, intellettuali di questo partito per aspirare ad elaborare e a proporre qualcosa nuovo? Certo, gli altri partiti sono assenti, silenti e inconsistenti, ma non  perché i loro elettori sono più stupidi, ignoranti e incoscienti di quelli del PD. Ma semplicemente, a mio avviso, perché le proposte politiche maturano altrove. Il mondo è cambiato e i partiti sono ferri vecchi, anche quando organizzano feste e i loro esponenti si svenano nel tentativo di farsi la festa.

 

F. Posso capire il senso di ciò che dice Belisario, anche perché, soprattutto all’avvicinarsi di scadenze elettorali, persone che sentono esigenze di cambiamento e vogliono capire come trasformarle in proposta politica si chiedono naturalmente con chi possono farlo. Belisario sceglie come interlocutore potenziale il PD e noi dobbiamo rispettare la sua scelta, avvertendolo semmai che se sarà deluso non potrà prendersela che con se stesso. Certo, hai ragione, il PD non è né migliore né peggiore di altri e credo che oggi sarebbe disposto ad ammetterlo anche il dirigente più ostico ai cambiamenti, magari aggiungendo un purtroppo. Il fatto è che una società frammentata produce anche fenomeni di frammentazione politica, ed ecco che i partiti (e con essi i movimenti che imitano i partiti) diventano più contenitori di gruppi e cordate spesso in lotta tra loro per interessi particolari che non centri di elaborazione delle strategie della trasformazione sociale e del governo della collettività. Ferri vecchi? Si, non c’è dubbio. La distanza tra il bisogno della realtà di essere governata e l’incapacità dei partiti così come sono oggi a soddisfare tale bisogno è talmente forte che ripeterlo è come sparare sulla croce rossa. Ma che cosa c’è in sostituzione di essi? Purtroppo ancora nulla di determinato e tanto meno di rassicurante. Siamo in una fase di grandi cambiamenti. Speriamo di vedere in tempo utile nuovi modi di organizzare la volontà popolare più trasparenti, efficienti e democratici di quelli che abbiamo conosciuto. Non sarà facile. Per intanto sarebbe bene che i cittadini che hanno qualcosa da dire non si arrendessero all’ovvio, perché in questa fase non c’è nulla di ovvio.


 

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